L’O
PERA DI
P
ECHINO
RIVISITATA DAL TEATRO SPERIMENTALE CONTEMPORANEO
M. Cristina Pisciotta
L’Opera di Pechino, fra le diverse forme di teatro classico, è sicuramente quella
che ha avuto una maggiore continuità e una maggiore presenza sulla scena cinese
nel corso del ‘900 fino ad oggi, sia a causa della sua particolare flessibilità sia
perché nel cuore del pubblico rappresenta lo specchio e la forza della tradizione.
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Quando, all’inizio del ‘900, sotto la spinta occidentalizzante, nasce il teatro di
prosa (huaju)
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destinato a dominare le scene cinesi, l’Opera di Pechino, per
continuare a catturare l’attenzione del pubblico, viene sottoposta a continui
tentativi di modernizzazione che ne investono tutti gli aspetti. Erano per esempio
di moda strane forme di fusione di vecchio e nuovo (si pensi ad esempio al Liantai
benxi molto in voga a Shanghai)
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in cui dominavano ambientazioni realistiche,
costumi bizzarri, effetti scenici volgari ma eccitanti che di certo abbassavano il
valore artistico dell’Opera di Pechino.
C’erano anche tentativi più qualificati per introdurre dei cambiamenti nei
circoli conservatori del teatro tradizionale, tentativi che venivano non solo dai
nuovi commediografi, ma anche dagli attori più influenti e dalle scuole di teatro
più innovative. I loro sforzi pionieristici per adattare le forme tradizionali al
pubblico contemporaneo senza distruggere l’entità artistica del teatro classico
raggiunsero un effetto notevole soprattutto su specifici metodi di recitazione nel
periodo repubblicano (ad esempio la Scuola di recitazione Nan Tang,
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organizzata
da Ou Yang Yuqian
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).
E’ tuttavia solo dai
Discorsi di Yenan (1942) di Mao e dall’avvento dei comunisti
al potere nel 1949 che avvennero le maggiori trasformazioni dell’Opera di Pechino.
Il punto finale del movimento di riforma del teatro classico da parte del
governo comunista sembra nel complesso essere stato la sostituzione del vecchio
repertorio con temi contemporanei. Dai Discorsi di Yenan fino alla Rivoluzione
Culturale viene attuato un progetto a lungo termine nel campo del teatro
tradizionale e in particolare nell’Opera di Pechino che si realizza attraverso tre
stadi: nel primo stadio viene realizzata una riforma delle pratiche di scena
tradizionali, la revisione e la proscrizione degli elementi feudali ed arretrati del
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Sull’Opera di Pechino esiste una vasta bibliografia, mi limito qui ad indicare alcuni testi fondamentali
di riferimento: Hervé, 2004; Mackerras, 1997; Roy, 1955; Halson, 1966; Wichmann, 1991; Huo, 1997.
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Sulla nascita e la storia dello huaju vedi sop.: Mackerras, 1975.
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Cfr. Yang Daniel Shih-p’eng, 1968, p. 13.
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Cfr. Yang Daniel Shih-p’eng, 1968, p. 51.
5
E’ uno dei più significativi commediografi di fine secolo che ha avuto un ruolo fondamentale nella
nascita dello huaju. Per la biografia e le opere vedi Eberstein, 1990.
M.
C
RISTINA
P
ISCIOTTA
2026
vecchio repertorio.
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Nel secondo stadio si procede alla scrittura di nuove opere in
stile tradizionale che segnano la transizione dal vecchio al nuovo. Nel terzo ed
ultimo stadio si assiste infine alla creazione dell’Opera di Pechino a tema
rivoluzionario contemporaneo,
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che segna la realizzazione finale dell’idea maoista di
creare una nuova forma teatrale per un pubblico proletario che abbia una forte
funzione politica e propagandistica.
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Al contrario di quello che è avvenuto in Occidente dove, dal teatro realista
sempre più ci si avvicina al concetto di teatro totale, in Cina, in cui l’Opera di
Pechino era appunto la sintesi perfetta di tutti gli elementi del teatro, c’è stato un
cammino inverso, un cammino cioè crescente verso il realismo, come ben si vede
coll’emergere dell’Opera di Pechino a tema rivoluzionario contemporaneo.
L’incongruenza e la mancanza di equilibrio evidenti nel nuovo stile fra
recitazione e canto ruppero, anche se solo in parte, la continuità simbolica
dell’Opera di Pechino e la fusione dei molteplici elementi che caratterizzavano
l’unicità artistica di questa forma teatrale.
La concessione alla tradizione che si vede nelle forme del nuovo stile è però
temporanea e, alla fine del decennio della Rivoluzione Culturale, le cose cambiano.
Col rifiuto della Rivoluzione Culturale la tradizione ritorna, prima cautamente, poi
come un torrente.
Dal ’76 si assiste al tentativo di far rivivere una cultura perduta e il termine più
in voga in campo teatrale è huifu , cioè restaurare, riscoprire, soprattutto per quello
che riguarda le forme tradizionali bandite per un decennio.
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Però si tratta di molto
di più che una restaurazione: infatti ciò che si tenta di far rivivere non è tanto la
tradizione, quanto il tipo di tradizione culturale che prevaleva prima della
Rivoluzione Culturale. Virtualmente tutte le opere classiche sono oggi
arrangiamenti fatti nel periodo comunista, sia prima che dopo il ’49. L’estensione
degli arrangiamenti varia, ma non troveremo mai oggi un’opera classica
rappresentata esattamente come un secolo fa.
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L’Opera di Pechino post ’76 porta tuttavia, rispetto al periodo comunista, nuovi
temi neppure immaginabili precedentemente e una produzione molto fertile e
accelerata. I nuovi temi sono per esempio storici ma con un approccio più moderno
(enfasi nuova sulla lotta, sulla figura femminile ecc.): si utilizzano scenografie
grandiose e coloratissime, costumi antichi sfarzosi, metodi spettacolari.
L’umorismo e la commedia, così centrali tradizionalmente nell’opera regionale e
nel quyi; la tragedia, anche se diluita, tipica dei finali tradizionali, ritornano
insieme al tema amoroso con un ruolo centrale. Ritornano non solo nella fase della
letteratura delle cicatrici, ma in tutta la fase della Nuova Letteratura. La
caratterizzazione, che nei ritratti stereotipati delle yangbanxi era molto decisa,
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Cfr. Yang Daniel Shi-p’eng, 1968, p. 230. Questo primo movimento di riforma dell’Opera di Pechino
veniva definito “Movimento per ripulire la scena”.
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Si tratta delle cosiddette “opere-modello” (yangbanxi) sulla cui creazione e diffusione Jiang Qing ebbe
un ruolo fondamentale. Cfr., a questo proposito, Balestrini e Sanguineti (a cura di), 1971.
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Cfr. Yang F. S. Richard, 1969.
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Cfr. Wichmann, 1990.
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Cfr. Yu, 2005.