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spagnolo Juan Gonzalez de Mendoza, che è subito tradotto in altre cinque lingue
europee, e con la Historia de las Missiones… en la India Oriental, y en los Reynos de la
China y Iapon, Alcalá 1601, del Gesuita spagnolo Luis de Guzmán.
Le Historiae Indicae, Firenze 1588, del Gesuita Giovanni Pietro Maffei,
descrivono la situazione del Giappone sulla base della documentazione del
Visitatore Alessandro Valignano e diffondono il particolare, che diverrà uno
stereotipo, circa l’appartenenza della scrittura cinese alla medesima tipologia
dell’egiziano geroglifico.
2
La Historia natural y moral de las Indias, Siviglia 1589, del Gesuita spagnolo José
de Acosta, separa all’interno della
idiomatum tam multiplex sylva
3
le grafie delle
lingue amerindiane, della Cina e del Giappone dalla notazione alfabetica,
applicando alla rappresentazione grafica o pittografica lo schema semiotico
aristotelico riguardante il diverso ordine di relazioni con il concetto.
4
Una serie di
circostanze avverse non permette invece la pubblicazione della
História de Japam
redatta in Giappone dal p. Luís Fróis.
5
I Commentari di Matteo Ricci sono resi noti in Occidente nella elaborazione di p.
Nicholas Trigault (“De christiana expeditione apud Sinas”, Augusta 1615), il quale
tradusse in latino l’originale ricciano “Della entrata della Compagnia di Giesù e
Christianità nella Cina”.
6
La
Tabula chronologica (Parigi 1686) di Philippe Couplet e il
Confucius Sinarum
Philosophus (Parigi 1687) di Prospero Intorcetta, coadiuvato da Couplet e dai padri
Christian W. Herdtrich e François Rougemont, tentano di armonizzare gli
avvenimenti cinesi con i dati della Bibbia (inseruimus Tabulae huic nostrae
Chronologicae, et quae a Sinis accuratissime texitur) e forniscono un’interpretazione di
quella lontana nazione basata su dati documentari originali.
7
Athanasius Kircher tenta l’interpretazione dei geroglifici incisi sugli obelischi
egiziani rinvenuti a Roma e poi dei materiali sinologici di Propaganda Fide per
rinvenirvi i contenuti di una pasigraphia universale che si svilupperà nel progetto di
lingua cifrata della steganographia.
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Alcune linee di pensiero cercano le certezze appoggiandosi alle nuove
conoscenze acquisite.
Nell’ambito della rifondazione dei saperi, Bacone e, con lui, il Royal Society
ritengono di individuare nel cinese la lingua originaria in cui è ancora impresso il
rapporto univoco e stabile fra l’ordo rerum e l’ordo nominum. Nel De dignitate et
augmentis scientiarum (VI, 5), Bacone guarda agli ideogrammi come a un codice di
natura, composto di “caratteri reali”, e non di nomi, che “non esprimono né lettere
né parole, bensì cose e nozioni”, al punto che i popoli dell’Estremo Oriente “che
pur differiscono per lingua, ma s’accordano nell’usare questi caratteri […]
2
Cfr. anche di Matteo Ricci la Lettera al p. Lelio Passionei, Nanchang 9 settembre 1597 (Ricci, 2001).
3
Sievernich, 1990, pp. 306 s.
4
Schreyer, 1992.
5
Wicki, 1976-1984.
6
Ricci, 2000.
7
Lundbæk, 1983.
8
Marrone, 1986.
Per comprendere la “terra incognita”
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comunicano fra di loro con la scrittura, così che un libro vergato con questi
caratteri può venir letto da qualsiasi popolo di quei paesi e può essere interpretato
nelle loro diverse lingue”.
La referenzialità del cinese è dunque basata sugli ideogrammi, servendosi dei
quali si evita il tramite della componente vocale del linguaggio, per riportarsi
direttamente al concetto e facendo delle parole una pittura delle cose.
Tale ipotesi viene avvalorata anche dalle ricerche antiquarie che stanno
affascinando l’Europa, allorquando si assumerà che il cinese è collegato alla lingua
dei discendenti di Noè i quali, dopo essersi salvati dal diluvio, sarebbero emigrati
nell’Estremo Oriente e avrebbero colà preservato l’isomorfismo fra i due ordines che
l’avvenimento babelico aveva altrove ovunque confuso. Per altro, i Commentari di
Ricci, nel riferire di “un Giudeo di natione e di Professione, della Provincia e
Metropoli di Honan, di cognome Ngai, che haveva già conseguito il grado di
Licentiato nelle lettere della Cina”, non testimoniano circa la presenza ebraica in
Cina?
La ricerca delle comuni radici epistemiche della Cina e dell’Occidente, tali da
permettere di riconoscere tracce di Rivelazione nei testi classici confuciani, in
particolare nel Yi Jing, “Libro dei mutamenti”, diverrà materia di vivaci discussioni
negli ambienti filosofici soprattutto a seguito delle istanze prodotte dai Gesuiti
“simbolisti” – soprannominati da Nicolas Fréret “figuristi” – rappresentati da
Henri-Marie de Prémare, Joachim Bouvet, Jean-François Foucquet e da altri Padri
francesi inviati a Pechino da Luigi XIV. Al di là della dinamica degli opposti, la
Verità soggiacente agli avvenimenti contenuta negli antichi testi cosmologici può
essere disvelata dalla interpretazione basata sulle Scritture giudaico-cristiane nella
dimensione di un annuncio profetico che costituisce il momento incipitario
comune a ogni tradizione.
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Con il Settecento, l’Occidente cambia l’oggetto del suo interesse, comincia ad
apprezzare il pensiero civile della Cina ed esalta lo spirito fondamentalmente
“deista” di una filosofia che ha creato una propria ragion di Stato e che dimostra di
avere un atteggiamento laico nei confronti della morale.
I maggiori teorizzatori degli aspetti comunicativi della pastorale, che presso i
Gesuiti viene ad assumere caratteri di specificità apostolica e di originalità
dialogica, sono Francesco Saverio, de Acosta e Valignano. Valignano, nel realizzare
il metodo inculturativo di Saverio,
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si applica con prudenza ed equilibrio, e
riuscirà a caratterizzare tutta la missionologia gesuitica dell’Estremo Oriente.
Il successo della missione cinese è prodotto da un gruppo di pianificatori quali
Ricci, Nicola Longobardo e Dias Sr. Questi compila, nel 1624, un manuale del
mandarino basato sull’adattamento ai contesti pragmatici della Cina (Ratio
studiorum para os nossos que ham de estudiar as letras e lingua da China). Le
annotazioni in portoghese a margine del manoscritto e la trasposizione del
significante in lettere latine – secondo la prassi instaurata da Michele Ruggieri e da
9
Pinot, 1932, pp. 347-366; Rule, 1986.
10
Witek, 2004.