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SAMI DI
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TATO
2016
Nuova Secondaria - n. 4 2016 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582
Tipologia B
- Redazione di un saggio breve
o di un articolo di giornale
CONSEGNE
Sviluppa l’argomento scelto o in forma di «saggio breve» o di «articolo di giornale», utilizzando, in tutto o in parte,e nei modi che ritieni op-
portuni, i documenti e i dati forniti.
Se scegli la forma del «saggio breve» argomenta la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio.
Premetti al saggio un titolo coerente e, se vuoi, suddividilo in paragrafi.
Se scegli la forma dell’«articolo di giornale», indica il titolo dell’articolo e il tipo di giornale sul quale pensi che l’articolo debba essere pub-
blicato.
Per entrambe le forme di scrittura non superare cinque colonne di metà di foglio protocollo.
L
a traccia ministeriale, per la sezione che riguarda
il saggio breve di ambito storico artistico si limita
a indicare da quale edizione ha tratto le citazioni da
commentare e nel caso di Kafka anche il traduttore.
L’anno è quello della pubblicazione, in una delle tante ri-
stampe per editori nazionali e di facile consultazione.
Così che solo il quadro di De Chirico ha la sua data ef-
fettiva di realizzazione, il 1922. Una notazione che po-
trebbe sembrare marginale ma ricopre, invece, a mio av-
viso, una importanza fondamentale, considerata la
tendenza odierna di appiattire qualsiasi informazione in un
intruglio di facile consultazione, senza riflessi, contesti,
condizionamenti.
La prospettiva storica
I ragazzi della maturità dovrebbero saper collocare Tozzi
o Kafka almeno a grandi linee in un contesto storico, pur
tuttavia occorre dare l’esempio e indicare con precisione
la data della prima pubblicazione e di seguito, semmai,
quella di una edizione corrente. Un dato utile anche per
un accostamento più consapevole al saggio breve di ca-
rattere multidisciplinare per non lasciarlo intendere con un
libero flusso indifferenziato nella cultura di ogni epoca.
Il rapporto tra la tradizione e la modernità è fondamentale,
specialmente quando si tratta di una tematica così ampia
e potremmo dire, archetipica, fondamento del vivere
umano e quindi, anche secondo il brano di Umberto Eco
scelto per l’altro ambito della prima prova di italiano, og-
getto privilegiato della letteratura, capace di esplorare
profondamente l’esperienza umana secondo lo specifico
di un linguaggio che ha formato l’identità nazionale non
solo dell’Italia. Ritengo, insomma, egualmente importanti,
in una dialettica stringente, la sottolineatura della pro-
spettiva storica in cui si inserisce il contenuto letterario e
la potenzialità eterna, dunque attuale, della letteratura
che parla al cuore dell’uomo di ogni epoca.
Il Figliol prodigo: un tema archetipico
Puntualizzato questo aspetto non secondario, la traccia del
ministero è molto suggestiva e istruttiva, con la coraggiosa
introduzione del quadro di De Chirico sul Figliol prodigo
e le altre citazioni.
Un tema, quello del Figliol prodigo svolto in quegli anni
dalle personalità più diverse, a dimostrazione, appunto, di
come un archetipo, questa volta inscritto nella realtà
evangelica, si presti alle interpretazioni più diverse, a se-
Ambito artistico-letterario
Padri e figli, tradizione e modernità
Fabio Pierangeli
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Nuova Secondaria - n. 4 2016 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582
ARGOMENTO
Il rapporto padre-figlio nelle arti e nella letteratura
del Novecento
DOCUMENTI
Mio padre è stato per me “l’assassino”
Mio padre è stato per me “l’assassino”,
fino ai vent’anni che l’ho conosciuto.
Allora ho visto ch’egli era un bambino,
e che il dono ch’io ho da lui l’ho avuto.
Aveva in volto il mio sguardo azzurrino,
un sorriso, in miseria, dolce e astuto.
Andò sempre pel mondo pellegrino;
più d’una donna l’ha amato e pasciuto.
Egli era gaio e leggero; mia madre
tutti sentiva della vita i pesi.
Di mano ei gli sfuggì come un pallone.
“Non somigliare - ammoniva - a tuo padre”.
Ed io più tardi in me stesso lo intesi:
eran due razze in antica tenzone.
(Umberto Saba, Il canzoniere sezione Autobiografia,
Einaudi, Torino 1978).
«Dei primi anni ricordo bene solo un episodio. Forse anche tu lo ri-
cordi. Una notte piagnucolavo incessantemente per avere dell’acqua,
certo non a causa della sete, ma in parte probabilmente per infastidire,
in parte per divertirmi.
Visto che alcune pesanti minacce non erano servite, mi sollevasti dal
letto, mi portasti sul ballatoio e mi lasciasti là per un poco da solo, da-
vanti alla porta chiusa, in camiciola. Non voglio dire che non fosse giu-
sto, forse quella volta non c’era davvero altro mezzo per ristabilire la
pace notturna, voglio soltanto descrivere i tuoi metodi educativi e l’ef-
fetto che ebbero su di me. Quella punizione mi fece sì tornare obbe-
diente, ma ne riportai un danno interiore.
L’assurda insistenza nel chiedere acqua, che trovavo tanto ovvia, e lo
spavento smisurato nell’essere chiuso fuori, non sono mai riuscito a
porli nella giusta relazione. Ancora dopo anni mi impauriva la tor-
mentosa fantasia che l’uomo gigantesco, mio padre, l’ultima istanza,
potesse arrivare nella notte senza motivo e portarmi dal letto sul bal-
latoio, e che dunque io ero per lui una totale nullità».
(Franz Kafka, Lettera al padre, traduzione di C. Groff,
Feltrinelli, Milano 2013).
«Pietro, gracile e sovente malato, aveva sempre fatto a Domenico un
senso d’avversione: ora lo considerava, magro e pallido, inutile agli
interessi; come un idiota qualunque! Toccava il suo collo esile, con un
dito sopra le venature troppo visibili e lisce; e Pietro abbassava gli oc-
chi, credendo di dovergliene chiedere perdono come di una colpa. Ma
questa docilità, che sfuggiva alla sua violenza, irritava di più Dome-
nico. E gli veniva voglia di canzonarlo. […] Pietro stava zitto e di-
messo; ma non gli obbediva. Si tratteneva meno che gli fosse possi-
bile in casa; e, quando per la scuola aveva bisogno di soldi, aspettava
che ci fosse qualche avventore di quelli più ragguardevoli; dinanzi al
quale Domenico non diceva di no. Aveva trovato modo di resistere,
subendo tutto senza mai fiatare. E la scuola allora gli parve più che al-
tro un pretesto, per star lontano dalla trattoria. Trovando negli occhi
del padre un’ostilità ironica, non si provava né meno a chiedergli un
poco d’affetto. Ma come avrebbe potuto sottrarsi a lui? Bastava uno
sguardo meno impaurito, perché gli mettesse un pugno su la faccia,
un pugno capace d’alzare un barile. E siccome alcune volte Pietro sor-
rideva tremando e diceva: - Ma io sarò forte quanto te!- Domenico gli
gridava con una voce, che nessun altro aveva: - Tu?- Pietro, piegando
la testa, allontanava pian piano quel pugno, con ribrezzo ed ammira-
zione».
(Federigo Tozzi, Con gli occhi chiusi,
BUR Bibl. Univ., Rizzoli, Milano 1986).
TRACCIA MINISTERIALE
Giorgio de Chirico, Il figliol prodigo, 1922,
Milano, Civico Museo d’Arte Contemporanea.
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