Dicembre 2016 e ditoriale



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Nuova Secondaria - n. 4 2016 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

I

n anni recenti è cresciuto significativamente il di-



battito intorno alla necessità di superare il Pil, se-

condo altri, di affiancargli nuovi indicatori che dicano

di altre dimensioni del benessere. Ciò deriva dal bisogno,

avvertito da significative componenti della società civile,

di arrivare a un indicatore più significativo del benessere

delle nazioni e tutto questo sta avvenendo in parallelo alla

riscoperta della differenza tra i concetti di crescita e di

sviluppo. L’idea di sviluppo rinvia, letteralmente, al-

l’espressione “liberare dai viluppi”, cioè dalle catene

che impediscono alle persone la possibilità della propria

fioritura. Invero, la categoria di sviluppo comprende tre

dimensioni: quella quantitativa, cioè quella della cre-

scita misurata dal Pil, quella socio-relazionale e quella

spirituale. Si badi, però, che queste tre dimensioni stanno

tra di loro in relazione moltiplicativa, non additiva;

quanto a dire che non sono ammessi trade-off del tipo:

per aumentare la crescita si è disposti a sacrificare la re-

lazionalità o la spiritualità, o viceversa. Si può pertanto

affermare che ama lo sviluppo chi ama la libertà positiva

(la libertà di), mentre si può crescere anche in condizioni

di servitù.

Gli indicatori di benessere

Nel 2010, dalla collaborazione tra Cnel e Istat è sorta, nel

nostro paese, l’iniziativa di pubblicare annualmente in-

dicatori di benessere, in aggiunta all’indicatore del Pil. Si

tratta del Bes (Benessere Equo e Sostenibile) che costi-

tuisce la risposta italiana a quanto già altri paesi (Uk,

Francia, Germania, Usa, …) avevano realizzato per rea-

gire alla cosiddetta “dittatura del Pil”. C’è ormai ampio

consenso tra studiosi e policy-makers sul punto che la

scienza economica “ufficiale” è una buona guida per il



prospering, cioè per la crescita, ma è uno scomodo com-

pagno di viaggio per il flourishing, cioè per lo sviluppo

umano integrale. Invero, nella stagione della post-mo-

dernità, gli indicatori oggettivi del benessere non sono più

sufficienti (se mai lo sono stati) per esprimere lo star-bene

della gente, uno star-bene che dipende sempre di più da

elementi non monetari quali la qualità dell’ambiente, la di-

sponibilità di beni relazionali, la fruizione culturale, la

qualità della democrazia e altri ancora. Un caso, ormai da

manuale, è quello del piccolo regno del Bhutan, il cui Pil

è uno dei più bassi del mondo, ma che nell’arco di pochi

anni ha visto aumentare la vita media degli abitanti di

quasi 19 anni. E ciò in seguito all’introduzione di un in-

dicatore denominato Fil (Felicità Interna Lorda), e del-

l’implementazione di adeguate politiche.

Giorgio Fuà (1919-2000), economista anconetano, è lo

studioso che, assai prima che esplodesse la stagione delle

critiche al Pil e dei nuovi indicatori, aveva posto al cen-

tro della sua ricerca il tema della misurazione della feli-

cità pubblica. E ciò in piena continuità con la linea di pen-

siero dell’Economia Civile – una linea squisitamente

italiana affermatasi nella seconda metà del ‘700 all’epoca

dell’Illuminismo napoletano e milanese. Lo stesso si può

dire dell’economista francese François Perroux, che fu tra

i primi a denunciare i limiti del Pil: «Il prezzo della vita

proviene da cose senza prezzo. Nella sfera dell’atto gra-

tuito, del dono di ciò che possiede e di ciò che è, l’uomo

raggiunge la sua dignità più incontestabile» (Le capita-



lisme, 1962: sei anni prima del celebre discorso di Robert

Kennedy del 18 marzo 1968!).



Il Pil, un indicatore incompleto …

Il Pil dice molte cose, ma non il benessere delle persone,

né la qualità di vita, né i diritti di libertà di un paese. Il Pil

indica il valore dei beni e dei servizi prodotti in un paese

in un certo anno, espressi in termini di prezzi di mercato.

Un tempo, prima dell’avvento della globalizzazione, era

anche indicatore di posti di lavoro e forse di benessere (in

società che uscivano dall’indigenza aumentare merci e

servizi voleva dire aumentare anche il benessere delle fa-

miglie). Oggi, indica sempre meno e sempre peggio. Che

cosa hanno di buono la pornografia, la prostituzione, il

gioco d’azzardo, …? Nulla, ma concorrono ad accre-

scere il Pil. Più la gente si rovina giocando alle slot ma-

chine più aumentano i posti di lavoro nel settore, più si ac-

cresce il (troppo piccolo) gettito fiscale e più aumenta il

Pil; e quel che è più grave è che parte di questi profitti sba-

gliati finiscono per finanziare organizzazioni non profit,

che magari si occupano di curare le vittime di quelle di-

pendenze. «È il capitalismo, bellezza!» – si obietterà da

parte dello sciocco –, ma non per questo è meno triste e

preoccupante. A partire dagli anni 1990, l’Onu racco-

gliendo l’insistente richiamo di Amartya Sen, ha intro-

dotto nelle sue statistiche l’Indice dello Sviluppo Umano

(Isu), che affianca al Pil due altri indicatori di centrale ri-

Ambito socio-economico

Stefano Zamagni

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levanza: lo stato di salute della popolazione e il grado di

alfabetizzazione della stessa.

… e uno strumento obsoleto

Dal punto di vista storico, il Pil è un algoritmo relativa-

mente recente: si sviluppa pienamente nel periodo tra le

due guerre mondiali a opera di economisti fuoriusciti

dall’Urss quali W. Leontief e S. Kuznets, oltre che da stu-

diosi inglesi quali J. Hicks e R. Stone. Questo per sotto-

lineare che la critica più seria che oggi va rivolta al Pil è

la sua obsolescenza: è paradossale che la realtà economica

di oggi, radicalmente diversa da quella di novant’anni fa,

continui a essere descritta servendosi della stessa meto-

dologia di calcolo. Che fare, allora? Oltre che aggiornare

le tecniche di misurazione del Pil, assai poco adeguate a

dar conto di una ricchezza sempre più materiale e sempre

meno legata alle merci, occorre affiancare alla contabilità

dei flussi (il reddito è un flusso), quella degli stock (ca-

pitali, patrimoni, ambiente naturale). Nell’era dei beni co-

muni (commons) nella quale siamo entrai con il terzo mil-

lennio, sono gli stock che tornano a occupare il centro

della scena economica, sociale e politica. In verità, il

tema ambientale, ma anche quello relazionale e sociale

(flussi migratori, inclusione, terrorismo …) sono fac-

cende di stock, di forme di capitali, e non di flussi. Anzi,

i flussi di reddito, inclusi i grandi flussi finanziari che oggi

hanno superato di ben dodici volte i flussi di beni e ser-

vizi reali, stanno producendo effetti molto seri sugli stock

del nostro pianeta. (Nel 1980, il Pil mondiale era all’in-

circa eguale al complesso degli attivi finanziari, sempre

a livello mondiale. Nel 2014, quest’ultima cifra è salita a

700.000 miliardi di dollari, dodici volte superiore al Pil

globale).



Superare la logica del profitto

C’è, infine, una questione più generale di carattere cultu-

rale e politico, a un tempo. C’è bisogno di un cambia-

mento culturale che sappia “vedere” i nuovi indicatori e

poi li sappia prendere sul serio. A cominciare dal mondo

della business community: finché gli unici indicatori di

successo delle imprese sono i profitti conseguiti – per di

più, di breve periodo – e finché si continuerà a confondere

la meritocrazia con il principio di meritorietà – come

purtroppo continuano a fare anche personaggi collocati in

posizioni di alta responsabilità – sarà assai difficile che

l’ethos pubblico giunga ad apprezzare e valorizzare indi-

catori diversi dal Pil. È una questione culturale, la cui so-

luzione non può che partire dalla scuola, dal luogo, cioè,

dove si formano le mappe cognitive dei giovani e dove si

svolge il fondamentale processo educativo.



Nuova Secondaria - n. 4 2016 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

ARGOMENTO

Crescita, sviluppo e progresso sociale. È il Pil mi-

sura di tutto?

DOCUMENTI

Prodotto Interno Lordo – La produzione come ricchezza. 

Il prodotto interno lordo è il valore di tutto quello che produce un paese

e rappresenta una grandezza molto importante per valutare lo stato di

salute di un’economia, sebbene non comprenda alcuni elementi fon-

damentali per valutare il livello di benessere. […] Il Pil è una misura

senz’altro grossolana del benessere economico di un paese. Tuttavia,

anche molti dei fattori di benessere che non rientrano nel calcolo del

Pil, quali la qualità dell’ambiente, la tutela della salute, la garanzia di

accesso all’istruzione, dipendono in ultima analisi anche dalla ric-

chezza di un paese e quindi dal suo PIL. 



Enciclopedia dei ragazzi -2006- Treccani on-line 

di Giulia Nunziante (http://www.treccani.it/enciclopedia/

prodotto-interno-lordo_(Enciclopedia-dei-ragazzi))

«Con troppa insistenza e troppo a lungo, sembra che abbiamo rinun-

ciato alla eccellenza personale e ai valori della comunità, in favore del

mero accumulo di beni terreni. Il nostro Pil ha superato 800 miliardi

di dollari l’anno, ma quel Pil – se giudichiamo gli Usa in base a esso

– comprende anche l’inquinamento dell’aria, la pubblicità per le si-

garette e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle car-

neficine dei fine settimana. Il Pil mette nel conto le serrature speciali

per le nostre porte di casa e le prigioni per coloro che cercano di for-

zarle. Comprende il fucile di Whitman e il coltello di Speck, e i pro-

grammi televisivi che esaltano la violenza al fine di vendere giocat-

toli ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e

testate nucleari e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ri-

costruiscono i bassifondi popolari. Comprende le auto blindate della

polizia per fronteggiare le rivolte urbane. Il Pil non tiene conto della

salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o

della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della

nostra poesia, la solidità dei valori famigliari o l’intelligenza del no-

stro dibattere. Il Pil non misura né la nostra arguzia, né il nostro co-

raggio, né la nostra saggezza, né la nostra conoscenza, né la nostra

compassione, né la devozione al nostro Paese. Misura tutto, in poche

parole, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta.

Può dirci tutto sull’America ma non se possiamo essere orgogliosi di

essere americani». 

Dal discorso di Robert Kennedy, ex-senatore statunitense, 

tenuto il 18 marzo del 1968; 

riportato su «Il Sole 24 Ore» di Vito Lops del 13 marzo 2013

(http://24o.it/Eqdv8)



TRACCIA MINISTERIALE

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