1-4 ottobre Gogol’ nel cinema 6-14 ottobre Enzo G. Castellari, l’architetto dell’azione



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La grande scrofa nera (1972)

Regia: Filippo Ottoni; soggetto e sceneggiatura: F. Ottoni; fotografia: Pasqualino De Santis; musica: Luis Enriquez Bacalov; montaggio: Ruggero Mastroianni; interpreti: Mark Frechette, Rada Rassimov, Alain Cuny, Flora Robson, Francisco Rabal, Liana Trouché; origine: Italia; produzione: Nuova Linea Cinematografica; durata: 87’



«In una famiglia contadina (definita dalla nonna di casa “una grande scrofa nera intollerante e repressiva”) guidata da un patriarca autoritario e moralista (in realtà vizioso), vivono i cinque figli (uno peggiore dell’altro, femmina compresa). L’unico che si ribella alla gretta tradizione che vi regna sovrana è il più giovane: Enrico, che osa portare fra le mura domestiche, sposandola, una donna di città. I familiari le rendono la vita impossibile» (Poppi-Pecorari). Narrato in flashback, attraverso un espediente di grande attualità (una giornalista che avvicina il protagonista, Enrico, ormai anziano, per farsi raccontare i fatti), un melò che colpisce allo stomaco facendo a pezzi il mito della civiltà contadina e della famiglia patriarcale. Prima de L’albero degli zoccoli e dopo Teorema, un film ambizioso che pochi videro all’epoca e quasi nessuno negli anni successivi, ma che merita di essere riscoperto. Per la stessa casa di produzione, guidata dal geniale Giuseppe Zaccariello, Ottoni era stato fra gli sceneggiatori di Reazione a catena, film cult di Mario Bava. Grandissimo cast (ci sono anche Claudio Volonté, Rik Battaglia e Marcella Michelangeli). Ultimo film di Mark Frechette, protagonista di Zabriskie Point, mentre la nonnina terribile Flora Robson era stata candidata all’Oscar nel 1947 per Saratoga di Sam Wood.
a seguire

Relazione dello psicanalista Anna Nicolò e incontro moderato da Fabio Castriota con Filippo Ottoni



Ingresso gratuito
domenica 25

Storie d’attori: Janusz Gajos

Corso Polonia 2009 - Festival della cultura polacca

“Storie d’attori”, il primo appuntamento della 7° edizione del festival della cultura polacca Corso Polonia 2009, presenta la figura di Janusz Gajos, considerato da molti il maggior attore del cinema e del teatro polacchi degli ultimi decenni, attraverso i due recenti film Andata e ritorno (2001) di Wojciech Wójcik e Il male minore (2009) di Janusz Morgenstern. La mini rassegna è organizzata dall’Istituto Polacco di Roma in collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia - Cineteca Nazionale.

Come tutti i grandi attori, Janusz Gajos (classe 1939) rifugge i luoghi comuni e le definizioni facili. «Intendo tradire tutti quelli che vogliono che me ne stia buono», ha confessato in un’intervista. È vero, quello che stupisce, per prima cosa, è la sua profonda e vera capacità di fare tutto, recitare tutto, dal cabaret alla tragedia greca. Janusz Gajos ha interpretato tantissimi ruoli, senza mai preoccuparsi di fabbricarsi un’immagine: poco importa interpretare uno scrittore, un medico, un idraulico, perché come dice lui stesso «interpreto sempre l’uomo».

In carriera debutta nel cinema nel 1964, ma il vero successo arriva un anno dopo con la serie televisiva Quattro carristi e un cane (Czterej pancerni i pies), dove interpreta il giovane carrista Jan Kos. Le avventure di guerra dell’equipaggio del carro armato “Rudy”, composto da tre polacchi, un georgiano e il cane Szarik, nonostante gli evidenti accenti propagandistici conquistano una tale popolarità che vengono proiettate anche al cinema. Un successo però a doppio tranchant, che confina il suo giovanissimo protagonista in un spazio troppo piccolo per lui. Per quasi dieci anni Janusz Gajos deve fare i conti con l’ombra di Jan Kos. Se ne libera interpretando ruoli sempre più complessi. Nel 1981 interpreta il ruolo di un uomo malato e depresso nel film di Filip Bajon Il pendolino (Wahadelko) per il quale ottiene il premio per il miglior ruolo maschile al Festival del cinema di Gdynia. Nello stesso anno lavora con Andrzej Wajda ne L’uomo di ferro. Un anno dopo è uno dei protagonisti del film L’interrogatorio (Przesluchanie) di Ryszard Bugajski, un film divenuto leggenda, vietato fino a 1989 per le accuse che muoveva al regime comunista (il film fu tra l’altro una delle cause della chiusura dello studio di produzione di Andrzej Wajda). L’interpretazione nel film di Bugajski vale a Janusz Gajos il premio per il miglior attore a Gdynia, per la seconda volta in pochi anni (1990). La piena consacrazione viene però dal teatro: nel 1987 Gajos recita nella pièce Storie da Hollywood (Opowiesci Holywoodu) di Christopher Hampton. «Dopo questo spettacolo fu chiaro a tutti che Gajos è un grande attore» – confessò il regista della pièce Kazimierz Kutz. La sua collaborazione con i più grandi registi polacchi gli fa acquisire una certa notorietà anche all’estero: tra gli altri, ha lavorato con Krzysztof Zanussi in Il contratto (Kontrakt, 1980) e L’anno del sole quieto (Rok spokojnego slonca, 1984); con Krzysztof Kieslowski in Decalogo IV (Dekalog, cztery, 1988), Tre colori. Bianco (Trzy kolory: Biały, 1993); con Wojciech Marczewski in La fuga del cinema Libertà (Ucieczka z kina Wolnosc, 1990); con Kazimierz Kutz in La morte come un pezzo di pane (Smierc jak kromka chleba, 1994); con Janusz Morgenstern in La sciarpa gialla (Zolty szalik, 2000) e Il male minore (Mniejsze zlo, 2009); con Andrzej Wajda in Il direttore d’orchestra (Dyrygent, 1979), L’uomo di ferro (Czlowiek z zelaza, 1981) e La vendetta (Zemsta, 2002). Accanto alla sua carriera cinematografica e teatrale, dal 2004 Gajos insegna alla Scuola di Teatro e di Cinema di Lodz.

Si ringraziano Studio Filmowe Perspektywa e Wytwornia Filmow Documentalnych i Fabularnych (Warszawa) per la gentile concessione dei diritti dei film.

Rassegna a ingresso gratuito
ore 17.00

Andata e ritorno (Tam i z powrotem, 2001)

Regia: Wojciech Wójcik; soggetto: W. Wójcik; e sceneggiatura: Anna Swierkocka, Maciej Swierkocki; fotografia: Piotr Wojtowicz; musica: Krzesimir Debski; montaggio: Marek Denys; interpreti: Janusz Gajos, Jan Frycz, Olaf Lubaszenko, Mirosław Baka, Edyta Olszówka, Krzysztof Kolbasiuk; origine: Polonia; produzione: Wytwornia Filmow Dokumentalnych i Fabularnych; durata: 102’



L’azione del film si svolge nella seconda meta degli anni Cinquanta. Andrzej Hoffman (Janusz Gajos) è un famoso chirurgo che per motivi politici non può raggiungere sua moglie e sua figlia che abitano all’estero. Il film, attraverso la dolorosa storia di Andrzej Hoffman e Piotr Klimek racconta il desiderio di libertà che spinge i protagonisti a difficili scelte morali.

Versione originale con sottotitoli in italiano
ore 19.00

incontro con Janusz Gajos


a seguire

Il male minore (Mniejsze zlo, 2009)

Regia: Janusz Morgenstern; soggetto e sceneggiatura: Janusz Anderman, Janusz Morgenstern; fotografia: Andrzej Ramlau; musica: Michal Lorenc; montaggio: Elzbieta Kurkowska; interpreti: Leslaw Zurek, Anna Romantowska, Janusz Gajos, Wojciech Pszoniak, Magdalena Cielecka, Tamara Arciuch; origine: Polonia; produzione: Studio Filmowe Perspektywa, Vision Film, Wytwornia Filmow Dokumentalnych i Fabularnych; durata: 109’



Il maestro del cinema polacco Janusz Morgenstern torna dopo nove anni di silenzio. Aspettato a lungo, il suo ultimo film, Mniejsze zlo, presentato al festival di Gdynia, racconta la storia del giovane scrittore Kamil che vive nell’ossessione di diventare “qualcuno”. Conformista, quando ci si aspetterebbe chiarezza e determinazione nelle scelte (l’azione del film si svolge nei difficili anni 80-83), il protagonista segue questa via del “male minore” che gli ha insegnato il padre (Janusz Gajos). Fino a quando…

Versione originale con sottotitoli in italiano
lunedì 26

chiuso
27-29 ottobre



Cesare Zavattini sottotraccia

In occasione del ventesimo anniversario della morte di Cesare Zavattini (che cade il 13 ottobre), la Fondazione Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, di cui egli fu il primo presidente, organizza un’iniziativa costituita da una rassegna e da un convegno dal titolo Zavattini sottotraccia.

La rassegna, realizzata in collaborazione con la Cineteca Nazionale e il Macro, intende riproporre alcune opere a cui Zavattini collaborò, che promosse e di cui in qualche caso è stato il protagonista, appartenenti soprattutto a quell’“altro cinema” di cui era un appassionato sostenitore e sperimentatore, e anche alla televisione, di cui considerava la grande importanza ai fini di una diffusione di massa. Oltre ai film conservati dall’Archivio audiovisivo e dalla Cineteca Nazionale, per alcuni dei titoli in programma è stata importante la disponibilità di Ancr (Archivio nazionale cinematografico della Resistenza), Cineteca Sarda - Società Umanitaria, Cinit (Cineforum italiano), Irtem (Istituto di ricerca per il teatro musicale), Fondazione Micheletti, Rai Teche, Lo Studio di Monte Olimpino e di Angelo Dallagiacoma e Marina Piperno.

Nel convegno, che avrà la durata di un giorno e precisamente venerdì 30 ottobre presso la Sala Zavattini - Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, saranno affrontati i seguenti temi per approfondire aspetti dell’attività di Zavattini meno noti di altri: Produttività del pensiero di Zavattini per l’audiovisivo contemporaneo (G. De Vincenti), Una sperimentazione permanente (S. Parigi), Innovazioni produttive (M. Piperno), Il lungo viaggio verso l’“altro cinema”: i film inchiesta (P. Isaja), La proposta dei cinegiornali (M. Argentieri), Zavattini e le nuove tecnologie (A. Medici), Il lavoro culturale (P. Scarnati).

L’iniziativa è realizzata con il sostegno della Direzione Generale Cinema - Mibac, con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Provincia di Roma e Assessorato alle Politiche Culturali del Comune di Roma, e coordinata da Ansano Giannarelli in collaborazione con Aurora Palandrani.

L’intera rassegna ha inizio lunedì 26 presso la Sala Zavattini e il programma è consultabile presso il sito www.aamod.it



Rassegna a ingresso gratuito
martedì 27

ore 17.00

Chi è Dio? (1945)

Regia: Mario Soldati; soggetto e sceneggiatura: Diego Fabbri, M. Soldati, Cesare Zavattini; interpreti: Giacinto Molteni, Lauro Gazzolo, Laura Gore, Amerigo Martufi, Vito Annichiarico; origine: Italia; produzione: Centro Cattolico Cinematografico, Orbis Film; durata: 11’



«12 luglio 1945. Con Mario Soldati e Diego Fabbri dai salesiani verso Forte Boccea. Si dovrebbero fare dei cortometraggi catechistici su testo di Fratel Leone. Dicono che Fratel Leone sia un grande catechista, viaggia il mondo a insegnare il catechismo. Soldati mi dà una manata sulle spalle e dice che faremo una cosa nuova. Soldati e io non ci siamo mai scambiati troppe cortesie. Soldati nacque e cresce nel clan di Camerini delle cui grazie di certo non godo [...]. Fratel Leone è un piemontese come Soldati, asciutto, dalla voce affettuosa. Guardo indiscretamente nel cassetto semiaperto della sua cattedra. C’è un libro; lungo armeggio per leggere il titolo del libro: Solitudine di Riccardo Gualino. Ci sediamo nei banchi insieme a una ventina di bambini. Fratel Leone scrive alla lavagna la parola Dio, grandissima» (Zavattini). «Il cortometraggio […], pur essendo stato realizzato tre anni avanti, non era mai stato distribuito, e solo nel 1948 il nuovo staff dirigenziale della produzione (ora Universalia, prima Orbis) decise di inviarlo, in una copia in 16mm, al Terzo Festival del Passo Ridotto, dove vinse il Gran premio. Apprezzamenti, entusiasmo per il nuovo metodo catechistico, poi... di nuovo oblio, finché nei primi anni ’50 la San Paolo Film lo inserì tra i propri cortometraggi senza alcun rilievo di sorta. Dai magazzini delle suore Paoline è poi finito negli archivi dell’Istituto Luce, dove finalmente l’abbiamo scovato nel 2003, restaurato e riproposto al pubblico e agli studiosi di Soldati» (Marco Vanelli).

Copia proveniente da Cinit (Cineforum Italiano)
a seguire

Guerra alla guerra (1948)

Regia: Romolo Marcellini, Giorgio Simonelli; soggetto e sceneggiatura: Diego Fabbri, Cesare Zavattini, Carlo Musso, G. Simonelli; fotografia: Marcello Baldi; scenografia: Franco Lolli; musica: Enzo Masetti; montaggio: M. Baldi; origine: Italia; produzione: Orbis Film, Aci; durata: 67’



«È un’accurata per quanto rapida rassegna del triste periodo che il mondo in generale e l’Italia in particolare hanno attraversato dal 1940 […]. Costituiscono il documentario riprese dal vero abilmente collegate e integrate da scene appositamente girate. Come pellicola di propaganda antibellica merita ogni considerazione» (Albertazzi). «L’egoismo degli uomini conduce alla guerra; il mondo è apparentemente in pace ma si preparano terribili strumenti di distruzione. Inutilmente il papa interviene cercando di prevenire il disastro, e il conflitto esplode in tutta la sua drammaticità. È sempre la Chiesa a recare conforto all’umanità» (Farinotti).

Copia restaurata a cura di Cineteca Nazionale e Filmoteca Vaticana
ore 18.30

I bambini ci giuocano (1950)

Regia: Nicolò Ferrari; fotografia: Pier Ludovico Pavoni; musica: Armando Trovajoli; origine: Italia; produzione: Fondazione Projuventute di don Carlo Gnocchi, con la collaborazione di Vittorio De Sica e Cesare Zavattini; durata: 10’



In Italia, nel dopoguerra, un sacerdote, don Carlo Gnocchi, si dedica alla causa dell’infanzia mutilata dagli ordigni di guerra disseminati sul territorio italiano, che colpiscono soprattutto i bambini (come del resto accade nelle guerre contemporanee). Per promuovere la partecipazione popolare alla sua “impresa”, don Gnocchi pensa al cinema (la televisione deve ancora arrivare) e riesce a ottenere l’appoggio di Cesare Zavattini (sempre sensibilissimo ai temi riguardanti la pace e la guerra) e Vittorio De Sica, che appoggiano la realizzazione del film, diretto da Nicolò Ferrari. Zavattini dette anche preziose indicazioni tematiche. I protagonisti del film (si noti il singolare inserimento della lettera “U” nella parola “giuocano” del titolo: un’idea di Zavattini?) sono i bambini, abituati a giocare e toccare ogni cosa che trovano, e quindi anche quegli strani oggetti disseminati allora nei luoghi della loro vita. La voce narrante, un po’ stentorea, non toglie tensione alle immagini, dall’avvicinamento dei piccoli agli ordigni ai disegni che loro stessi ne fanno, alle loro testimonianze fuori campo.

Copia proveniente da Cinit (Cineforum Italiano)
a seguire

Incontro con Francesco Maselli


a seguire

L’amore in città (Lo Spettatore - Rivista Cinematografica, anno 1953, n. 1)

Regia: Carlo Lizzani, Michelangelo Antonioni, Dino Risi, Federico Fellini, Francesco Maselli, Alberto Lattuada; origine: Italia; produzione: Faro Film; durata: 114’



«Troviamo nel film la ricostruzione di sei storie “vere”: in Tentato suicidio (Antonioni), diverse persone dicono e mostrano come hanno voluto uccidersi; in Agenzia Matrimoniale (Fellini), si svolge l’incontro tra un giornalista e una ragazza che sta per sposare un ricco e ripugnante ammalato; Gli italiani si voltano (Lattuada) mostra come si comportano gli uomini quando passa una donna per strada; L’amore che si paga (Lizzani) è un’inchiesta sulla prostituzione; Storia di Caterina (Maselli e Zavattini) racconta la storia d’una ragazza madre senza mezzi che abbandona il proprio bambino; in Paradiso per quattro ore (Dino Risi), vediamo come le coppie si formano e si sciolgono in una balera. Cesare Zavattini fu l’anima di questo film importante in cui il neorealismo evolve verso quello che, dopo il 1960, venne chiamato il “cinema-verità”. Il “film-inchiesta” (tipo Ladri di biciclette) vi diventava o una registrazione di fatti (Paradiso per quattro ore) o la loro ricostruzione coi protagonisti d’un dramma vero (Caterina, Tentato suicidio). Questi due ultimi sono senz’altro gli episodi migliori e con Caterina “la realtà supera tutta la prudenza dell’arte” (André Bazin). Nel film erano concentrate le principali speranze italiane del 1950. Ma la crisi del 1954-60 e l’incomprensione dei produttori impedirono che si sviluppasse secondo le sue possibilità la carriera di Maselli, mentre Fellini e Antonioni (allora sconosciuti) riuscivano a imporsi ma non senza fatica. Il film è visto oggi come il punto estremo cui la poetica neorealistica (zavattiniana) ha potuto spingersi» (Sadoul).
ore 21.00

Lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana (1953)

Regia: Fausto Fornari; soggetto e sceneggiatura: Cesare Zavattini, Piero Malvezzi, Giovanni Pirelli, F. Fornari; fotografia: Oberdan Troiani; musica: Mario Zafred; montaggio: Rinaldo Ricci; origine: Italia; durata: 10’



Il film fa riferimento all’omonimo libro pubblicato nel ’52 da Einaudi, contenente le lettere che i partigiani e gli antifascisti condannati a morte dai nazifascisti riuscirono a far pervenire alle proprie famiglie, prima dell’esecuzione. Attraverso il riferimento ad alcune lettere emblematiche di donne e uomini diversi per età, condizione sociale, mestiere, luoghi delle lotte partigiane, delle carceri, delle strade percorse fino alle uccisioni – da Vercelli alle montagne senesi, da Savona a Roma, da Valle Susa a una vallata toscana – sono riesplorati in una rievocazione che si articola anche con materiali di archivio filmico, fotografie e brani di scrittura. La riscoperta ambientale ha come guida sonora voci che leggono frasi estratte dalle lettere. Ferruccio Parri scrisse che si trattava del primo documentario antifascista, dopo Giorni di gloria, del 1945: per molti anni, infatti, dal 1947 al 1953, la Resistenza fu un tema tabù per tutto il cinema italiano. Di particolare interesse la storia produttiva del film, raccontata dallo stesso Fornari, che aveva da giovane utilizzato una cinepresa Paillard per riprese amatoriali, e di cui questo film resta l’unico che ha realizzato: «Siccome mi ero occupato, sia pur modestamente, di cinema, e volevo fare cinema, era col cinema che dovevo tentare […]. Non mi fu facile, in un primo tempo, convincere Pirelli e Malvezzi a concedermi i diritti. Non riuscivano a capire come si potesse realizzare un documentario sulla base di sole lettere e mi chiesero se intendevo filmare i manoscritti […]. Poi, dovetti convincere l’editore Giulio Einaudi, intelligente, coraggioso industriale, ma freddo come il più freddo dei piemontesi. Finì col cedermi i diritti solo dopo aver posto severe condizioni, non ultima l’imprimatur di Cesare Zavattini sull’opera completata, musica compresa. Un no di Zavattini ed io avrei dovuto distruggere, per impegno sottoscritto, copia campione e negativi. Convincere Zavattini fu più facile, perché possedeva un fiuto particolare per le idee di cinema. E poi, mi conosceva da tempo e mi stimava. A lavoro terminato Zavattini era talmente entusiasta che accettò di apparire col suo nome, nei titoli, come sceneggiatore, anche se la sua partecipazione era stata quella di censore, fortunatamente col pollice rivolto in su» .

Copia proveniente da Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza
a seguire

Chi legge? Viaggio lungo le rive del Tirreno (1960)

Ideazione, regia e interpretazione: Mario Soldati; con la collaborazione di: Cesare Zavattini, Carlo Musso, Tino Richelmy; origine: Italia; produzione: Rai; durata: 15’



«Inchiesta “culturale” di Mario Soldati e Cesare Zavattini sulle letture degli italiani: un viaggio a ritroso sulle orme di quello compiuto dai garibaldini, da Marsala a Quarto. Il progetto zavattiniano – il reportage vagamente sociologico – viene via via stravolto da Soldati: la domanda “Che cosa legge?” è un puro pretesto per un “viaggio in Italia”, un grand tour un po’ anomalo, alla testa di una nutrita troupe televisiva» (Grasso).

Copia proveniente da Rai Teche
a seguire

I sette contadini (1958)

Regia: Elio Petri; sceneggiatura Cesare Zavattini, Luigi Chiarini, Renato Nicolai; testo: R. Nicolai; fotografia: Roberto Gerardi; musica: Claudia Nizza; montaggio: Gabriele Varriale; origine: Italia; produzione: A.B. Cinematografica; durata: 20’



Il 28 dicembre 1943, a Reggio Emilia, cadevano assassinati – sotto i colpi di un plotone di esecuzione di militi fascisti della Repubblica sociale di Mussolini – sette fratelli. Giovani contadini, antifascisti e comunisti, cresciuti dal padre in una educazione laica e progressista, che li aveva portati anche ad introdurre – già durante il fascismo – innovazioni importanti nella conduzione dei lavori agricoli, erano stati poi tra i primi ad entrare nella Resistenza armata contro i nazisti e i fascisti loro alleati. Il 25 novembre del 1943 la casa dei Cervi – in cui avevano trovato rifugio anche molti ex prigionieri inglesi, australiani, russi – fu circondata dai fascisti, che un mese dopo decisero l’orrenda strage. Il documentario contiene immagini della campagna emiliana, del paese natale dei fratelli Cervi, della loro vecchia casa colonica, delle loro mogli e dei figli che hanno lasciato, del luogo dove vennero trucidati e del cimitero in cui sono sepolti. Il filo conduttore del film è costituito da un’intervista ad Alcide Cervi, il padre, che rievoca, in una sintesi affettuosa e commossa, la storia dei suoi sette figli. Il film è stato restaurato nel 1995 a cura di Cinecittà s.p.a. per conto della Associazione Philip Morris Progetto Cinema.

Copia proveniente da Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico
a seguire

La lunga calza verde (1961)

Regia: Roberto Gavioli; soggetto: da Buongiorno Italia di Cesare Zavattini; sceneggiatura: C. Zavattini, G. Cingoli, G. Gavioli, P. Piffarerio; testo: Alfredo Danti; fotografia: Luigi Colombo; scenografia: Giancarlo Carloni, Nicola Falcioni, Giulio Cingoli, Maria Luisa Gioia; animazione: A.Del Bianco, Paolo Di Girolamo, Giorgio Michelini, Franco Cristofani; musica: Giampiero Boneschi; origine: Italia; produzione: Gamma Film, Incom; durata: 22’



Cortometraggio di animazione nel centenario dell’unità d’Italia. Le vicende del Risorgimento italiano – le imprese di Garibaldi, l’amor patrio dei “carbonari”, la nascita del corpo dei bersaglieri, le frivolezze della corte austriaca di Francesco Giuseppe – sono “lavorate a maglia”, come una calza, da Cavour, visto come un “tessitore”. Gavioli e Zavattini avevano da tempo cominciato a lavorare sul soggetto Buongiorno Italia, per un film lungometraggio a disegni animati che aveva come tema una giornata dell’Italia: «Un commentatore, che sarà un attore di fama, ci introdurrà in queste 24 ore italiane, che, rappresentate con uno stile satirico favolistico, daranno i caratteri più tipici del nostro paese, alternando elogi, critiche, ironie, sempre su un piano spettacolare e cordiale». La preparazione dei disegni era già avanzata quando Sandro Pallavicini, della Settimana Incom, propose un film di animazione per il centenario dell’unità d’Italia. Il progetto Buongiorno Italia fu accantonato, anche se rimase una fonte di ispirazione per il nuovo progetto. «Ne uscì un film che si segnalò […] per l’originalità della concezione e dell’impostazione grafica. […] Una storia d’Italia visiva, senza commento parlato […], con una colonna sonora costituita interamente da brani di opere liriche, da valzer e motivi popolari» (M. Zane).

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