Autonomia e riscatto, I principi libertari ed identitari di g m. angioy a 210 anni dal moto popolare


Il feudo e la nobiltà feudale in rapporto alla politica di conquista



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Il feudo e la nobiltà feudale in rapporto alla politica di conquista

Riesce agevole, dopo queste considerazioni, tracciare rapidamente le linee d'evoluzione della nobiltà feudale e del feudo in Sardegna.


Gli aragonesi, per affermare ed estendere il loro dominio nell'isola, operarono con sagacia e prudenza politica, sfruttando abilmente quella grande arma di conquista che era il feudo. Si spiega così la formazione, nella prima metà del XIV° secolo, di un potente nucleo feudale nella parte meridionale dell'isola, centro delle prime loro fortunate operazioni. Esso ha per base i grandi feudi di Quirra e di Mandas detenuti dai fedelissimi Carroz, congiunti del sovrano e suoi cooperatori con gli altri baroni catalani, aragonesi e valenzani, venuti a seguito del principe per la grande impresa.


Assicurata Cagliari dalla parte del mare, con la sconfitta dei pisani (1325) e contro la minaccia dei Donoratico dopoché questi furono dichiarati ribelli e spogliati dei loro possedimenti in Sardegna (1355), si costituiva in vasto territorio infeudato una base formidabile e sicura di azione militare.

Si dominava così l'iglesiente e si tagliava in pari tempo la strada agli arborensi, potenti signori di Oristano, e minaccia grave per i regi. Si pensi che il ribelle Mariano poté, nel 1355 e nel 1367, giungere alle porte di Cagliari e mettere a repentaglio la sicurezza del Castrum, ove gli Aragonesi avevano già potentemente iniziato (1327) la catalanizzazione dell'isola, come manu militari l'avevano iniziata in Alghero (1355) e in Sassari (1329), dopo le ribellioni di queste città.


Ma la preoccupazione più grave per i conquistatori doveva essere la parte settentrionale dell'isola ancora sotto il dominio dei genovesi, dei Doria e dei Malaspina, più esposta a pericoli da parte del mare e della Corsica e meno tranquilla per il fuoco di perpetua ribellione che vi tenevano acceso quelle potenti famiglie, spalleggiate dalla repubblica di Genova. Anche Sassari per le sue recenti rivolte (1325 e 1329) e per il suo glorioso passato di autonomia non era tale da rassicurarli appieno.

Non mancarono pertanto i tentativi di penetrare vigorosamente con il feudo anche nel settentrione e di costituire con esso altrettante rocche di difesa e di offesa attorno al giudicato arborense, contro i Malaspina e i Doria.

Lo dimostrano le infeudazioni di Terranova e quelle di molte ville della Nurra, della Gallura e del nuorese, ove evidentemente si cercava di iniziare una base sicura di dominio, sebbene con scarso successo. Ai Doria, ai Malaspina, momentaneamente pacificati, si dovettero riconfermare i feudi riconoscendo il dominio dei primi sull'Anglona, su Monteleone e su Castelgenovese (1355-1357) e dei secondi su Osilo (1325-1325-52) ritardando così la penetrazione nella parte settentrionale dell'isola. Il Monteacuto, concesso in un primo tempo, unitamente a Terranova, a Giovanni d'Arborea gli fu violentemente ritolto dal giudice ribelle quando scoppiò il conflitto fra quest'ultimo, il fratello e il Re. Né certo fu estraneo alla rottura l'acume del regolo arborense, che intese perfettamente le mire dei conquistatori, suoi antichi alleati e ora suoi forti nemici.

Il predominio quindi della corona dovette limitarsi nel settentrione alla stretta zona nord-est, ove Giovanni d'Arborea e Giovanni Carroz, fedelissimi sudditi erano già investiti di feudi: e cioè di Terranova e di Monteacuto il primo (1375); di Mandas, Orgosolo e dei villaggi della curatoria di Seurgus (1350) il secondo. Anche il feudo di Terranova si riunisce poco dopo (28 ottobre 1376) nella famiglia di Giovanni Carroz per la concessione fattane dalla Corona in quell'anno a Benedetta d'Arborea di lui moglie. Ma gli avvenimenti dovevano precipitare in favore dei dominatori. La spedizione di Aimerigo di Narbona riusciva fatale ai loro nemici, che si erano illusi di trovare nel visconte un potente alleato. La sconfitta di Sanluri (1409) doveva dare una grave colpo alla potenza arborense, che ormai non potrà più arginare la preponderanza decisa dei vincitori.

Resa vana la resistenza di Leonardo Cubello dalle armi di Pietro Torrellas, il primo scende a patti tanto gravi che, può dirsi, segnino di fatto la rovina della vecchia e gloriosa dinastia arborense (1477). Alla perdita del titolo di giudice si accompagna per i patti del 1410 quella più concreta della diminuzione del territorio, che viene ristretto alla città di Oristano, ai tre Campidani e al Goceano, con perdita del Monteacuto e del Marghine, potenti sentinelle avanzate del giudicato. Sul Goceano stesso gli aragonesi, nonostante la concessione del 1410, pare si arroghino dei diritti, poiché lo vediamo infeudato nel 1421 al Centelles e soggetto ad incursioni di sardi capitanati dal ribelle Barzolo Manno. Se poi tale infeudazione fu arbitraria e illegale, dimostra per se stessa che ormai il marchese di Oristano nn destava più preoccupazioni.


La Corona, quasi un secolo dopo la spedizione, analogamente a quanto aveva fatto nel cagliaritano, riesce finalmente a costituire nel nord dell'isola, un formidabile centro feudale in favore di una potente famiglia iberica, quella dei Rivosecco-Centelles. Questa considerazione spiega pertanto la cessione in feudo a Bernardo di Riusec (alias Gilaberto de Centelles, che coprì anche la carica viceregia nel 1421 e 1422), delle contrade tolte agli arborensi e la costituzione del Contado di Oliva che gareggia, per vastità, potenza e ampiezza di privilegi, col feudo meridionale di Quirra.


Negli anni 1421 e seguenti, si riuniscono in mano dei Centelles il Marchesato del Marghine, il Ducato di Monteacuto, l'anglona, la Baronia e il castello di Osilo già tolto a Brancaleona, marito di Eleonora (1390). I Doria, ricacciati verso il mare nelle ultime loro rocche di resistenza (Castelsardo, Monteleone e Bonvehi), mediante l'aiuto dei magnati sardi, fedeli alla corona, saranno ben presto completamente debellati e annientati con la confisca dei loro possessi (1436). Alcuni di questi sardi fedeli otterranno concessioni feudali di poco rilievo; altri costituiranno il primo considerevole nucleo di nobiltà non feudale che, come si è visto, avrà sviluppo, con scarsa potenza politica, nei secoli posteriori.


Queste, in rapporto al feudo, le linee della politica aragonese e il piano della conquista così felicemente attuato. Le numerose concessioni feudali minori, fatte in genere a famiglie catalane, aragonesi e talora a sardi fedeli, ne confermano e completano il quadro. Nei centri urbani esclusi dal feudo come i più importanti (Cagliari, Sassari, Iglesias, Alghero, Castelsardo e più tardi Oristano e Bosa), gli aragonesi e poi gli spagnoli, esplicano assiduamente la loro influenza o sovrapponendo addirittura ai vecchi, istituti catalani, (come a Cagliari e ad Alghero), o facendo opera assidua di penetrazione per mezzo delle istituzioni e dei costumi iberici (specie di diritto pubblico), oppure trasformando gradualmente le indigene e le antiche comunali.


Resta da considerare l'evoluzione del feudo dal lato giuridico. Il carattere patrimoniale non fu, nel feudo sardo, mai disgiunto dal carattere politico, poiché la proverbiale "avara povertà di Catalogna" portò, fin dai tempi della conquista, a sfruttare il feudo come cespite di reddito anche per gli impellenti bisogni delle guerre. Alienazioni di feudi e specialmente trapassi a titolo oneroso, furono quindi frequenti fin dai primi tempi. Senonché, dopo il secolo XV, venne meno al feudo sardo la sua funzione di strumento di conquista e di base delle operazioni belliche, come si è già notato altrove. Il detto di Ugolino, feudum est beneficium, non definisce quindi esaurientemente la sua funzione in Sardegna, come vuole il Mondolfo, e, come ha acutamente osservato il Solmi, non ne mostra che un solo aspetto.

Né, assicurata la conquista, viene meno in esso ogni carattere politico, in quanto i poteri amministrativi e giurisdizionali inerenti alle concessioni feudali perdureranno, con non sostanziali limitazioni, fino al riscatto, restando sempre il feudo, fino a quel momento, la base del sistema di governo.
Nel breve periodo della dominazione austriaca, risorgono per poco le concessioni nobiliari, feudali o di altre cariche a scopo prevalentemente politico, fatte cioè dal nuovo governo col fine di ricompensare e tenersi fedeli i suoi partigiani, validi artefici della conquista contro la Spagna (in realtà anche la Spagna si comportava nella stesso modo, anche si gli sforzi fatti non le avevano evitato la perdita della Sardegna).

Durante il periodo sabaudo le concessioni feudali, sebbene perfette nei loro tre elementi, trovano non di rado principale movente in un particolare e determinato interesse del regio fisco, in quanto rappresentano l'equivalente della cessione, in suo favore, di beni ed emolumenti da parte dei nuovi investiti; oppure anche in un interesse pubblico, quale l'accrescimento della popolazione e la colonizzazione dell'isola.


Nello stesso periodo si affermano le concessioni a base beneficiaria che possono chiamarsi impropriamente feudali, cioè tali non intrinsecamente, ma per elementi esteriori (titolo, territorio, emolumenti patrimoniali di carattere non tributario) e nell'ottocento quelle di puro titolo. Tali concessioni, che il Mondolfo non distinse chiaramente dalle altre né per epoca né per funzione, potrebbero, a differenza delle seconde, essere esattamente definite dal detto di Ugolino.


Alla nobiltà non feudale degli ultimi tempi (sec. XVIII e XIX) venne meno ogni influenza politica diretta, anche per il fatto della mancata convocazione dei parlamenti dopo il 1698. Che essa, al pari della nobiltà feudale, non fosse rassegnata quietamente a questa violazione del Trattato di Londra (1718), lo dimostra la domanda fatta dagli Stamenti nel 1793 per la convocazione di tali assemblee, come si era fatto in passato; domanda che rimase frustrata dal corso degli avvenimenti posteriori. Così la levata di scudi delle classi nobiliari e borghesi (1794-1795) per il ripristino e la conquista di vantaggi e privilegi in ricompensa delle benemerenze acquisite dai sardi contro i francesi (alle quale volle darsi, a torto, significato di rivendicazione nazionale anziché, come fu realmente, di ristretto e particolare interesse di classi), ebbe a restare, si può dire, lettera morta.

Non di rado i titoli feudali sono concessi con la clausola che i titoli stessi possono essere portati dal primogenito durante la vita del padre.

 

Concessioni del semplice cavalierato

Normalmente in Sardegna alla concessione del cavalierato si accompagna quella della nobiltà e quindi i cavalieri sono anche nobili (i nobili isolani poi, derivanti il loro titolo da concessioni e diplomi del regno sardo anteriori al 1848, sono pure cavalieri. Le famiglie sarde che hanno il solo titolo di nobile senza quello di cavaliere derivano la loro concessione da S.M. il Re d'Italia). Quest'affermazione può però farsi solo limitatamente alle concessioni posteriori al sec. XVII. Gli esami degli elenchi degli intervenuti alle assemblee parlamentari persuade infatti che le concessioni del semplice cavalierato, più frequenti nei quattro secoli di dominazione spagnola, si fecero assai limitate nel periodo successivo.


In queste liste, ove anche per ragioni giuridiche, e cioè per il controllo dei documenti conferenti il diritto di intervento alle riunioni stamentarie, i titoli erano attribuiti agli intervenuti con scrupolosità ed esattezza, troviamo elencate molte persone insignite del semplice cavalierato. In tali casi l'appellativo Cavaller, segue il nome delle medesime, preceduto dall'appellativo di Mossen, o Micer o Amado. Così, nel parlamento del 1553-1554 (Viceré d'Heredia), troviamo un Mossen Bartolomeo Sellers cavaller, un Micer Prospero Serra cavaller e così pure un Micer Virgili Ruiz, un Amado Duran Guio, un Thomas Aleu, un Ambroso Larca, un Eliseu Dore e un Joan Galeazzo, tutti qualificati solamente cavallers. Resta però il fatto che gli intervenuti indicati con il duplice titolo di Noble Don (o Noble Dona) precedente il nome o, come altri, col semplice Don, hanno sui primi una grande preponderanza numerica. È caratteristico che non troviamo attribuita ai nobili, in tali elenchi, la triplice qualifica moderna: Cav. Nob. Don, pure essendo costoro anche cavalieri.


Gli stessi provvedimenti riferiti più sopra, che autorizzavano i semplici cavalieri a sedere nei consigli della città di Cagliari, confermano che le concessioni del semplice cavalierato prive della nobiltà, dovettero essere più numerose dei quattro secoli della dominazione spagnola. Tuttavia anche allora il numero dei cavalieri fu più ristretto in confronto di quello dei nobili tra i quali andavano annoverati moltissimi feudatari, compresi i più potenti possessori di grandi feudi. D'altra parte la nobiltà non feudale (cavalieri e nobili) creata per controbilanciare, specie nei parlamenti, l'influenza di quella potentissima fornita di feudo, ben rispondeva nelle congreghe stamentarie, per numero di voti almeno, a tale scopo politico.

Feudatari non nobili né cavalieri, qualificati semplicemente heretats si riscontrano pure frequentemente negli atti dei parlamenti. Erano mercanti arricchiti o, in genere, borghesi facoltosi che, unitamente al feudo, acquistavano anche il diritto di intervenire a quelle assemblee. Col tempo essi però ottennero generalmente la concessione del cavalierato e della nobiltà delle quali la corte regia non fu mai troppo avara ai propri fedeli; oppure, alienato il feudo per ragioni economiche, rientrarono nelle file della borghesia scomparendo, di conseguenza, dalle liste stamentarie.


Dal 1720 in poi, sono assai limitate le concessioni del semplice cavalierato, perché, unitamente a questa, i concessionari ottengono anche quella della nobiltà. Riepilogando, il nobile feudatario è qualificato come Nobile Don o semplicemente Don in precedenza al nome, seguito dall'appellativo heretat; il feudatario non nobile come Mossen, Magnifich Mossen o Amado prima del nome seguito dall'appellativo heretat; il semplice cavaliere come mossen, o micer, o amado che precedono il nome, mentre il titolo di Cavaller lo segue; il semplice nobile e cavaliere insieme, col Don o col Noble Don a precedenza del nome; il Donzello con amado o mossen che precede il nome e con la qualifica di Donzell che lo segue. Questa qualifica ricorre spessissimo negli elenchi stamentari anteriori al secolo XVII.

 

Abuso di titoli nobiliari

Contro l'abuso di titoli nobiliari il R.D. Legge 20-3-1924, n°442, ha stabilito che, indipendentemente dall'applicazione della pena comminata per l'usurpazione di titoli quando il fatto costituisca il delitto previsto dall'art.186 del cessato codice penale (in data 30-6-1889), chiunque, sia in documenti ufficiali, sia in qualsiasi atto giuridico o anche negli ordinari rapporti sociali, faccia uso di titoli o attributi nobiliari che non risultino appartenergli da conforme iscrizione nei registri della Consulta Araldica, sia punito con l'ammenda da Lit.1.000 a 5.000 (art.5). che in caso di recidiva non possa essere applicata un'ammenda inferiore al doppio di quella precedentemente inflitta (esclusa l'oblazione nel caso stesso) e che una quota delle ammende applicate per le singole contravvenzioni, sia devoluta agli agenti autori delle denunzie (stesso art.5). Nessuno può far uso di titoli e attributi nobiliari se non sia iscritto come legittimamente investito di tali titoli o attributi nei registri della R. Consulta Araldica. Dell'inscrizione fa fede l'annotazione nell'Elenco Ufficiale Nobiliare, approvato con R.D. 3-7-1921 n°972 e nei successivi elenchi supplementari, approvati e depositati nei modi stabiliti dal detto decreto (art.1°).


I notai e gli ufficiali dello stato civile e tutti gli altri pubblici ufficiali, non potranno attribuire ad alcuno, in atti pubblici o in qualsiasi atto o documento di carattere ufficiale, titoli o attributi nobiliari se non risultino appartenenti all'interessato dagli elenchi suindicati, o se l'interessato non dimostra di esserne investito, esibendo un certificato d'iscrizione nei registri della Consulta Araldica, sotto pena dell'ammenda di Lit. 500 o 1000 (art.4).


Numerose famiglie che hanno diritto a titoli nobiliari non si trovano iscritte in registri della Consulta Araldica e nell'Elenco Ufficiale della Nobiltà Italiana, e persistono tuttora nella trascuranza di far le pratiche relative, sia per ragioni economiche, sia perché noncuranti dei titoli nobiliari loro appartenenti. È frequente il caso che dei diversi rami di una famiglia, facenti capo allo stesso concessionario, sia iscritto il solo ramo primogenito o anche il primogenito ed alcuni degli ultrogeniti, e che i rimanenti rami collaterali, con i loro discendenti, non curino affatto l'iscrizione nei libri araldici. Si dà anche il caso di casati con numerosi rappresentanti viventi, i quali non figurano nel citato elenco nobiliare. Tutti costoro, pur avendo potenzialmente il diritto a titoli nobiliari, cadrebbero, per mancanza del decreto di riconoscimento, nelle sanzioni della legge se li portassero pubblicamente. In sostanza, allo stato attuale delle cose, gli elenchi ufficiali non contengono che una parte dei casati nobiliari e dei nobili.

 

Concessioni nobiliari di carattere particolare

Non mancano concessioni di cavalierato e nobiltà fatte personaliter tantum, ad ecclesiastici. Hanno caratteristiche speciali le concessioni del cavalierato e delle armi gentilizie (oltre che della nobiltà) fatte a donne purché profittino ai figli. Così il 13-6-1778, a favore di Donna Maura Marras furono spediti tali diplomi, perché ne fosse fatta la trasmissione ai figli di primo letto, maschi e femmine e ai discendenti maschi e femmine di essi figliuoli maschi immediati. Le stesse concessioni del cavalierato, della nobiltà e delle armi gentilizie, furono fatte nell'8 aprile 1774 a favore della vedova Maria Elisabetta Pugioni nata Loddo e dei suoi figliuoli e discendenti maschi e femmine, esclusivamente però ai discendenti da queste. La Pugioni aveva comprato la peschiera di Pontevecchio con la condizione di ottenere tali distinzioni nobiliari. Curioso è che, secondo la dizione del diploma, anche ad essa fu concesso il cavalierato senza però la cerimonia dell'armamento. Così essa (caso eccezionalissimo), ebbe diritto al titolo di cavaliere e ai privilegi inerenti ad esso.

Donna Maura Marras vedova Mura, nelle trattative per la concessione in enfiteusi della Montagna d'Abbasanta, chiese ed ottenne, con la nobiltà, il cavalierato per i figli di primo letto si maschi che femmine e per i discendenti maschi e femmine dei medesimi figliuoli maschi immediati, esclusivamente però ai discendenti delle femmine immediate.

Tratto dal libro "Cavalierato e nobiltà in Sardegna".



I moti di Sanluri - 7 agosto 1881

Le condizioni della Sardegnadopo la fine del feudalesimo

Dopo l’abolizione del feudalesimo (1836), la Sardegna, veniva trascinata verso l’annessione o "fusione" con il Piemonte (1847). IL popolo sardo veniva così defraudato di quell’antica Autonomia Costituzionale che ancora conservava e che strenuamente aveva difeso contro tutte le dominazioni straniere, compresa quella piemontese. La povera gente non aveva certo dimenticato le persecuzioni subite da parte del poliziesco governo piemontese, intese a liquidare quanti avevano preso parte alla ribellione popolare nell’aprile del 1794, conclusasi con la cacciata dei piemontesi dall’isola, e alla successiva insurrezione antifeudale e antipiemontese intrapresa da Giovanni Maria Angioy nel giugno 1796.

La repressione, che a partire dal 1797 e sino al primo ventennio del secolo successivo, perseguitò il popolo sardo era stata terribile. In molte contrade della Sardegna si viveva nel terrore, processi economici, esecuzioni sommarie, una forca venne costantemente tenuta in evidenza nei maggiori centri dell’isola. Galere, persecuzioni, latitanze politiche ed esilio volontario per coloro che avevano sufficienti mezzi per poter riparare all’estero. Una grave depressione economica e culturale sorprese la Sardegna alcuni decenni più tardi (1847- 1848) quando le popolazioni sarde in preda alla fame e alla più squallida miseria, furono poste di fronte ai problemi avanzati dal totalitario governo piemontese, in ordine alla politica di unificazione dell’Italia, condotta ovviamente, secondo i sistemi propagandistici predisposti dalla Casa Savoia.

In quel frangente, il governo piemontese, __ attraverso una legge emanata il 15 aprile 1851 ma decorrente dal 1° gennaio 1853 __introduceva un nuovo regime tributario, che aboliva tutte le imposte fino ad allora pagate dai sardi allo stato Savoiardo. Si trattava di tributi istituiti in epoche diverse e con diversi criteri, come attestavano le loro stesse denominazioni: donativo ordinario e straordinario, ecclesiastico e laicale, sussidio ecclesiastico, contributo ponti e strade, contributo paglia, contributo torri, prestazioni pecuniarie surrogate alle feudali ecc. A partire dal 1° gennaio 1853 erano state abolite "almeno sulla carta" anche le decime sui raccolti che venivano pagate alla Chiesa.

Tutte le imposte abolite vennero sostituite dall’imposta FONDIARIA, che doveva pagarsi sui beni immobili, in proporzione al reddito imponibile, con un’aliquota che per le 11 province nelle quali la Sardegna era allora divisa, era stata stabilita al 10%, pari cioè a quella stabilita per le ricche province continentali di Torino, Milano e se vogliamo di tutto il nord Italia; mentre l’aliquota media applicata in 37 province del continente era appena del 6%. Per di più venne stabilito un contingente fisso, ovvero fu predeterminata la somma che doveva essere comunque riscossa, a costo dell’aumento dell’aliquota già applicata. Questo contingente venne prima aumentato di 800.000 lire necessarie per la retribuzione __ in misura del tutto insufficiente, __ del clero, quindi venne ulteriormente elevato con l’aggiunta dei decimi di guerra e di un ultracontingente.

Alla base di questa imposizione c’era il catasto, compilato dopo una non precisa misurazione delle singole proprietà, ma a vista, e con dati relativi alla intestazione, alla coltura ed al reddito di ciascuna particella forniti, quando non vi avesse provveduto direttamente il proprietario da due periti incaricati dal Comune. Da qui nascevano una serie di errori sia di intestazione che di misurazione che come qualcuno scrisse, che terreni che non avevano mai prodotto un filo d’erba perché sterili e persino vere pietraie, venivano classificati come terreni produttivi, perciò passibili di imposta.

Per la correzione di tutti questi "errori " era prevista una particolare procedura, piena di cavilli e balzelli burocratici, tanto, che molti piccoli proprietari alla fine vi rinunciavano, e quando qualcuno riusciva a farsi esonerare dal pagamento delle imposte non dovute, non faceva altro che aggravare la posizione degli altri, dal momento che, come abbiamo sottolineato prima, la cifra che il governo doveva comunque riscuotere era già stata predeterminata.

Un altro grosso problema si manifestò in quelli anni quando si decise della destinazione da dare ai terreni degli ex Demani Feudali , su cui la popolazione _ specialmente la povera gente _ esercitavano alcuni usi civici ( i cosiddetti diritti ademprivili ) che consistevano nei diritti di pascolo, di legnatico e in molti casi anche di coltivazione, senza dover corrispondere nessun compenso. Tutti questi diritti vennero aboliti attraverso una legge emanata il 23 aprile 1865, in base alla quale, l’uso di quei terreni venne considerato un reato contro il patrimonio demaniale.

Con l’abolizione dei diritti ademprivi, la povera gente perdeva una delle più importanti fonti di sostentamento, ed il malcontento fra i contadini ed i pastori fu enorme. In diversi centri dell’Isola ci furono tumulti e manifestazioni d’intolleranza; nell’aprile del 1868 a Nuoro ci furono i moti de ( SU CONNOTU ) nel corso dei quali i poveri contadini invasero il municipio, dando alle fiamme vari documenti, tra i quali i registri delle lottizzazioni di quei terreni.

Particolarmente gravosa era l’imposta sulla casa, in quanto quella dei poveri contadini sardi __ a causa della scarsa sicurezza delle campagne, del frazionamento delle proprietà e dei cicli produttivi imposti dal clima torrido e secco __ era sempre accentrata in piccoli o grossi agglomerati o villaggi. Perciò il contadino sardo non poteva godere di tutte quelle agevolazioni previste per le case rurali dell’Italia settentrionale, che a differenza della Sardegna erano sparse nelle campagne, ed alle quali il governo aveva pensato nel varare una legge tanto iniqua per tutto il Mezzogiorno del continente, ma in particolar modo per la Sardegna.

Le povere catapecchie costruite in " LADIRI " mattoni fatti di fango e paglia, venivano così abbandonate dai proprietari, che non erano in grado di pagare le esorbitanti tasse. Non ci deve perciò sorprendere se nel periodo tra il 1° gennaio 1870 ed il 31 dicembre 1894 solamente in provincia di Sassari vennero espropriati e devoluti al demanio per debito di imposte 13.639 terreni e 2.200 fabbricati per un valore complessivo di 1.248.960 lire. Ma ancora più tragica era la situazione in provincia di Cagliari, in quanto nello stesso periodo si ebbero 36328 espropri di terreni e 3629 di fabbricati, per un valore complessivo di quasi tre milioni, cifre che acquistano una realtà tanto drammatica se confrontate con quelle molto più basse relative agli espropri effettuati dal Demanio in tutto il resto d’Italia; in Sardegna si arrivò ad avere un esproprio ogni 14 abitanti, a fronte di uno ogni 27.000 effettuati nelle opulente regioni del nord Italia.

 

Ad aggravare questa pesante situazione contribuivano le imposte locali e gli agi esattoriali, sempre più gravi, tanto da far rimpiangere i vecchi tempi, quando molte imposte venivano pagate in natura. Adesso invece le tasse bisognava pagarle in contanti e a scadenze rigidamente determinate, costituendo così un ulteriore aggravio per i poveri contadini, che per poter far fronte al fisco, erano costretti a vendere il loro raccolto, in periodi in cui i prezzi erano molto più bassi, quando gli stessi non l’avessero già venduto direttamente sul campo, a strozzini ed usurai.



Oltre le imposte, i poveracci dovevano fare i conti anche con le calamità naturali, quali la siccità, gli incendi "molti dei quali dolosi " le cattive annate e le alluvioni, come successe in quel 1881 quando dopo la terribile siccità, che compromise l’intero raccolto, __ " s’annada maba - s’annu de su fami " così quell’anno veniva ricordato __ si scatenarono le piogge torrenziali che in tutta la provincia di Cagliari causarono la totale distruzione di moltissime abitazioni.

In questo clima di povertà, di incertezza e disperazione da noi sommariamente illustrato, il 7 agosto 1881 nel paese di Sanluri, scoppiò una sommossa popolare contro il carovita e gli abusi fiscali, (SU TRUMBULLU DE SEDDORI) che mise in subbuglio l’intera popolazione.

Il fatto suscitò notevole apprensione in tutta l’isola e in gran parte della terra ferma, specialmente dopo le gravi conseguenze giudiziarie .

 

 



 

nota; quest’articolo e tratto da uno scritto più ampio pubblicato in studi storici e giuridici in onore di A. Era > Padova: CEDAM 1964

 

 

 



 

 

 



 

 

 



 

 

 



 

 

 



ANNO 1884 - LA RIVOLUZIONE FRANCESE

Le reazioni dell'EUROPA e dell'ITALIA

Benchè accerchiata da tanti avversari la Francia Rivoluzionaria era riuscita a vincere le forze della Coalizione Europea. Per spiegare questi successi si deve in primo luogo tenere conto delle innovazioni portate dalla Rivoluzione nella condotta stessa della guerra. Gli eserciti della Coalizione conservavano le caratteristiche di quelli dell'Ancien Regime. Erano formati, cioè, da soldati mestiere, e quindi da un materiale umano costoso e difficile a sostituirsi rapidamente; comandati da ufficiali promossi in base all'anzianità, e quindi naturalmente inclini alla prudenza; limitati nelle proprie mosse dalla necessità di non distanziarsi dai magazzini di approvvigionamento e dalle modeste disponibilità finanziarie dei propri governi.

All'infuori di quello Inglese infatti i governi della Coalizione dominavano su Paesi agricoli come Prussia ed Austria, e si appoggiavano sull'Aristocrazia fondiaria tradizionale. Benchè l'Inghilterra accordasse loro cospicue sovvenzioni finanziarie, dunque, erano sempre a corto di denaro, sia per la scarsezza dei capitali dei loro paesi, sia per la necessità di non spremere troppo la classe più abbiente, cioè la nobiltà fondiaria.

La conseguenza di ciò era una condotta di guerra quanto mai cauta e lenta, intesa a fare economia di uomini e di denaro. La Rivoluzione invece aveva risolto drasticamente il problema dell'arruolamento attraverso la coscrizione obbligatoria, e quello finanziario legislativo attraverso le requisizioni del Terrore e l'emissione illimitata degli Assegnati, aggiungendovi più tardi l'imposizione di gravi contribuzioni di guerra e magari il saccheggio organizzato dei territori occupati dalle sue truppe.

L'ideologia Giacobina, infatti, si prestava a meraviglia, per giustificare queste spoliazioni presentandole ora come misura diretta a colpire i Reazionari a vantaggi dei Sansculottes ed ora come doveroso contributo dei popoli 'liberati' alla guerra Rivoluzionaria.

Gli eserciti della Rivoluzione quindi anzichè fare economia di uomini e di mezzi tendevano a gettarsi allo sbaraglio, avanzando entro il territorio nemico e risolvendo colà i propri problemi logistici: nè i loro giovani generali, avvezzi a vedere ghigliottinati i propri colleghi timidi ed irresoluti e prossimi invece a fulminee carriere, i più audaci si preoccupavano davvero della condotta cauta della guerra.

Sotto il loro impeto pertanto generali e mercenari dell'Ancien Regime andavano in frantumi: già nel 1794 Belgio e Renania erano stati rioccupati dai Francesi: subito dopo anche l'Olanda era invasa e trasformata in una Repubblica Batava sul modello di quella di Francia.

In secondo luogo la Rivoluzione conduceva ad una guerra ideologica di popolo, anzichè ad una guerra dinastica di monarchi al modo dell'Ancien Regime.

Per quanto brutali fossero le rapine, i Generali della Rivoluzione erano profondamente convinti degli immortali principi dell'89 simboleggiati dal trinomio 'Libertà, Eguaglianza, Fraternità' sulle loro bandiere.

Benchè arruolati con la coscrizione obbligatoria, i loro soldati erano pure i figli dei contadini che la Rivoluzione aveva affrancato dalla nobiltà.

Il mercenario della Coalizione si batteva solo per una paga o per timore di una punizione: il soldato della Rivoluzione sentiva di battersi per la sua propria causa. Figlio del popolo e della Rivoluzione, anzi, l'esercito continuava anche dopo Termidoro ad essere una Roccaforte Giacobina.

L'Europa, d'altra parte, pullulava di simpatizzanti della Rivoluzione specie tra gli intellettuali formati dall'Illuminismo e dai Borghesi influenzati dalle Logge Massoniche. Taluni di questi simpatizzanti, come Vittorio Alfieri (*), erano stati presto disgustati dagli eccessi sanguinosi dei Rivoluzionari. ma in cambio la svolta Democratica rappresentata dalla Convenzione Nazionale aveva trovati vasti consensi internazionali di cui era simbolo la presenza nella Convenzione stessa di stranieri, quali il Tedesco Anacharsis Klootz e l'Anglo-Americano Tom Paine.

E se questi ultimi, a loro volta, erano stati travolti dal Terrore si delineava in cambio tutto un Giacobinismo Europeo i cui seguaci destavano l'allarme delle Corti con il proprio fermento e si sforzavano di favorire l'estensione internazionale della Rivoluzione.

Nel 1794, gli eserciti Francesi, dopo aver rioccupato il Belgio e la Renania, entravano anche nell'Olanda, i cui patrioti davano allora vita ad una Repubblica Batava modellata su quella della Francia ed a lei alleata.

Nello stesso tempo, anche in Italia si ebbero congiure Giacobine cui i governi assolutisti rispondevano con sanguinose repressioni. Attivi in particolare furono i Giacobini Piemontesi come i Fratelli Junod a Torino, lo storico Carlo Botta ed il Vercellese Giovanni Antonio Ranza, la cui attività cospirativa venne stroncata dai Savoia con numerose condanne a morte, tra cui quella dei Junod.

Analoghe congiure e repressioni si ebbero nello Stato Pontificio, ove un fallito moto insurrezionale a Bologna costò la vita ai Patrioti Zamboni e De Rolandis; nel Regno di Napoli, ove la cospirazione trovò alimento in ambienti Massonici e fu schiacciata con centinaia di arresti e le condanne a morte di Emanuele De Deo, Vincenzo Vitaliani e Vincenzo Giuliani; in Sicilia ove salì il patibolo il Giurista Democratico Francesco Paolo Di Blasi (1795).

In Sardegna, si ebbe inoltre un'insurrezione anti-feudale, capeggiata da Gian Maria Angioy che tenne in fermento l'isola per qualche anno.

La lotta della Francia contro la Coalizione insomma, anzichè come una lotta fra Stati si configurava come una Guerra Civile Europea in cui i Francesi potevano contare su larghe simpatie all'interno degli Stati stessi con cui si battevano. In terzo luogo, infine, mentre la Francia era tutta impegnata nella Guerra Rivoluzionaria, le potenze della Coalizione avevano anche altro obiettivi da perseguire, per cui non di rado si trovavano in contrasto reciproco.

Austria, Prussia e Russia avevano da sorvegliare la Polonia i cui Patrioti tentavano di trasformare l'anacronistica struttura del loro Regno in una Monarchia Costituzionale, svincolata da ogni ingerenza straniera. Mentre l'Austria, dunque, era impegnata con Francia, Prussia e Russia, avevano operato la Seconda Spartizione della Polonia (1793).

I Polacchi tentavano la riscossa, guidati da un veterano della Rivoluzione Americana, Taddeo Kosciusko, ma erano battuti dai Russi del generale Suvaroff, ed Austria, Russia e Prussia finivano per spartirsi tra di loro l'infelice paese per la terza volta nel 1795.

La questione Polacca provocava però tanta gelosia tra le Corti di Vienna e di Berlino, tanto che la Prussia faceva pace con la Francia, abbandonandole i territori sulla sinistra del Reno pur di avere le mani libere in Polonia.

Analogo conflitto si delineava tra l'Inghilterra, desideroso di assicurare alle sue esportazioni il mercato delle immense Colonie Spagnole d'America, e la Spagna, intenzionata viceversa a conservare il proprio monopolio coloniale. Anche la Spagna pertanto faceva pace con la Francia e nel 1796 si alleava addirittura con lei, consentendo così alla Repubblica di sfruttare le non trascurabili forze di mare Spagnole, oltre a quelle dell'Olanda, già ridotta in Stato di vassallaggio.

 

 

 



 

http://www.cronologia.it/storia/a1794b.htm

 

 

 



 

 

 



 

 

 



 

 

 



 

 

 



La storia della città di Sassari

 


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