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Salvatore D’Angelo
Medici e Chirurghi di Padova dovesse compiere almeno una dimostrazione annuale
su un cadavere. Le lezioni di anatomia svolgevano nell’arco di due o tre settimane
nel periodo più freddo dell’inverno. Tenevano la lezione tre professori (due di me-
dicina teorica o pratica e un chirurgo): un docente leggeva l’
Anatomia di Mondino
de Liuzzi; l’
ostensore spiegava e mostrava nel cadavere quanto asserito nel libro di
testo e l’
incisore incideva e dissecava il corpo).
L’epidemia di peste del 1347 fu la più drammatica emergenza sanitaria del
Medioevo, la malattia divenne quasi inarrestabile e tutte le cure risultarono ineffica-
ci. Lo stesso Boccaccio, nel suo
Decamerone (giornata I, introduzione), la considerò
come «per le nostre inique opere da giusta ira di Dio a nostra correzione mandata
sopra i mortali». Un terzo della popolazione dell’Europa (venti milioni di persone)
tra il 1347 e il 1351 ne fu vittima, in alcune città morì il 60% della popolazione. La
prima regione europea ad essere colpita nell’ottobre 1347 fu la Sicilia. Il francescano
Michele da Piazza nella
Historia Siculorum riporta che a portare il morbo furono
dodici galee genovesi che raggiunsero il porto di Messina. Sulla peste furono elabo-
rate stravaganti teorie e una di queste fu quella di Gentile da Foligno, medico umbro
che fu egli stesso vittima del contagio e morendone a Perugia nel giugno del 1348. È
conosciuta come il “Paradigma del soffio pestifero”.
Secondo il Gentile il 20 marzo del 1345 esalazioni insalubri erano state ri-
succhiate dal mare e dalla terraferma nell’aria, avevano subirono un riscaldamento
ed erano state nuovamente gettate sulla terra come “venti corrotti” (
aer corruptus).
L’ispirazione di tale soffio pestifero era la causa della raccolta di vapori velenosi al
cuore e ai polmoni, che addensandosi diventavano una “massa velenosa”, capace
di contagiare altri uomini con l’aria espirata. Nel corso dell’epidemia un medico
di Tolosa, Augier Ferrier, constatando l’impotenza dei medici nella cura, prescrisse
la pillola ai tre avverbi: scappare via veloci, andare lontani, tornare tardi. I malati
potevano morire all’improvviso e
Boccaccio dice nel Decamerone (giornata I, intro-
duzione) che molti giovani nel pieno del vigore la mattina «la sera vegnente appresso
nell’altro mondo cenaron con li lor passati!».
Dedicherò questa parte della relazione alla nascita degli ospedali nelle città.
Gli ospizi per lebbrosi diffusi in tutta l’Europa non possono essere considerati come
vere istituzioni assistenziali di tipo ospedaliero per il fatto che era del tutto assente
qualunque intendimento di cura. La lebbra o “Morbo Fenicio” già nel 643 era un pro-
blema sanitario, infatti, l’Editto di Rotari prescriveva l’isolamento dei malati. Attor-
no all’anno 1000 la malattia si espanse con i commerci, i pellegrinaggi e le crociate.
La sua diffusione fu favorita dall’affollamento nelle città e dalla mancanza di igiene
collettiva. La malattia raggiunse tutta l’Europa e colpì: poveri e ricchi, vescovi, feu-
datari e re. Dopo il XIV la sua diffusione diminuì per l’espandersi della tubercolosi e
per la epidemia della peste del 1300, che decimò la popolazione europea.
Il primo vero ospedale cittadino fu fondato a Parigi nel 651 dal vescovo Lan-
drio. Nel 1157 in un diploma di Luigi VII compare, in lingua francese, la denomina-
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La medicina nel medioevo
zione Hôtel-Dieu per designare questo grande ospedale di Parigi. L’Hôtel-Dieu, che
è sopravvissuto a incendi, rivoluzioni, guerre, oggi offre ai parigini moderni servizi
medici. Le diapositive mostrano: l’attuale ingresso dell’ospedale, i suoi giardini,
l’organigramma attuale di uno dei suoi reparti. Quali dovessero essere i compiti
degli ospedali ci viene detto dall’arcivescovo di Firenze Antonino Pierozzi, vissuto
dal 1389 al 1459: ricovero per viandanti e poveri, luogo in cui distribuire cibo per gli
affamati, orfanotrofio, ospizio per anziani e malati. La loro gestione poteva essere
affidata indifferentemente ad ecclesiastici o laici.
Gli edifici adibiti all’
hospitalitas erano dotati di un
infirmarium,
con una pri-
ma sala denominata
cubiculum valde infirmorum che serviva per la degenza dei ma-
lati gravi, una stanza per clisteri e salassi ed un locale con un
armarium, che poteva
fungere da piccola biblioteca o come farmacia, e un giardino per la coltivazione di
piante medicinali. In questi luoghi venivano ospitati non solo i pellegrini in viaggio,
ma anche gli orfani
e i vecchi senza risorse, nonché gli infermi.
Il primo ospedale in Italia fu quello di Santo Spirito in Saxia. Fu fatto co-
struire nel 1204 da Papa Innocenzo III (1198-1216), che affidò l’organizzazione ai
Cavalieri Ospitalieri dello Spirito Santo di Gerusalemme (
Chevaliers Hospitaliers
du Saint-Esprit de Jérusalem), ordine cavalleresco fondato da Guy de Montpellier.
Nell’ospedale era compreso il brefotrofio, ed è ancora visibile la prima ruota degli
esposti. Una volta la settimana i religiosi di Santo Spirito percorrevano la città alla
ricerca di infermi abbandonati, che venivano trasportati all’ospedale mediante car-
riole, antesignane delle moderne ambulanze. Le monache dell’Ordine attendevano
alla assistenza dei malati e il cambio della biancheria avveniva, senza termini fissi,
ogni volta che si rendesse necessario.
A Firenze l’ospedale di Santa Maria Nuova fu fondato nel XIII secolo, più
precisamente nel 1288, da Folco Portinari, il padre di Beatrice amata da Dante. La
struttura era suddivisa in due aree, femminile e maschile, dove potevano avere ac-
coglienza circa duecento ricoverati. Specialmente nel XV secolo l’ospedale godette
di una notevole floridezza economica e a quest’epoca risalgono gli interventi di am-
pliamento dell’edificio, come l’aggiunta nel 1420 del chiostro delle Medicherie, nei
primi decenni del XV secolo furono decorate le corsie.
L’ospedale di Santa Maria della Scala di Siena sorse nel 1090 sulla via Fran-
cigena, di fronte alla cattedrale, e fu uno dei primi esempi europei di ricovero per i
pellegrini, sostenere i poveri e i fanciulli abbandonati ed ospedale, con una propria
organizzazione autonoma. La sua istituzione si deve ai canonici del Duomo. È ri-
masto attivo fino al 1992. Uno dei suoi pazienti più famosi fu Italo Calvino, che nel
1985 vi morì. Sin dagli inizi del Trecento uno statuto ne regolava la vita e l’autono-
mia. Sappiamo dai dati di archivio che nel 1399 le entrate dell’ospedale ammonta-
vano a 12.000 fiorini annui, ricavati dalla vendita del frumento e dalle alienazioni di
proprietà in periodo di penuria, dalla rendita degli affitti, dalle elemosine e da altre
voci. Le centinaia di registri che compongono l’archivio consentono l’analisi delle