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La medicina nel medioevo
clinica. È stata tradotta in latino nel 1279 da Faraj ben Sālim (Ferraguth), un medico
ebreo che lavorò in Sicilia alla corte di Carlo d’Angiò. Secondo un aforisma di Rha-
zes, “la verità in medicina è un obiettivo irraggiungibile, e l’arte descritta nei libri è
ben lungi dalla conoscenza di un esperto e saggio medico”.
Avicenna (Ibn Sina, 980–1037) scienziato oltre che medico scrisse il
Kitab al-
Qanun (Il canone della medicina), tradotto da Gerardo da Cremona o da Gerardo da
Sabioneta in
latino come Liber canonis medicinae, l’opera diverrà il manuale medi-
co più seguito fino al 1700. Per Avicenna la medicina è la scienza per cui la salute si
conserva e l’arte per ristabilirla dopo averla persa. Fu il primo medico a identificare
la tubercolosi polmonare come una malattia infettiva e a riconoscerne l’associazione
col diabete. Sviluppò il metodo della quarantena per limitarne la diffusione. Nel
Canone introdusse la sperimentazione sistematica in fisiologia, ipotizzò la presenza
dei microrganismi, raccomandò l’esecuzione di test, per ogni nuova sostanza me-
dicinale, all’inizio sugli animali e poi sull’uomo, prima di iniziare ad usarla come
medicina. Avicenna classificò le malattie, sperimentò nuovi medicamenti, si soffer-
mò sulle misure igieniche da adottare. È considerato un precursore della medicina
psicosomatica e della psicofisiologia, per il fatto che studiò con attenzione gli stati di
malessere causati da forti emozioni e ideò un sistema per associare i cambiamenti del
battito cardiaco con le forti emozioni, anticipando di qualche secolo i test psicanali-
tici. Descrisse dettagliatamente la malinconia, gli stati depressivi e certi tipi di fobie.
Quando i Normanni conquistarono la Sicilia si creò un contesto fertilissimo
per gli scambi tra le culture presenti: l’araba, l’ebraica e la cristiana. In Sicilia, nell’I-
talia meridionale ma soprattutto in Spagna si sviluppò la traduzione in latino dei
manoscritti, che poi si diffusero in Occidente. Nacque la figura del “traduttore”.
Importantissima fu la città di Toledo che, pur riconquistata dai cristiani nel
1085, mantenne inalterata la presenza sia della comunità araba che di quella ebraica.
Raimondo, vescovo di Toledo dal 1125 al 1152, costituì una scuola di traduttori. Nel
XII secolo per le traduzioni non si faceva uso di dizionari, bensì era necessaria la
collaborazione di diversi personaggi: uno che conosceva l’arabo e il castigliano (per
lo più si trattava di un ebreo) e l’altro che conosceva il castigliano e il latino (quasi
sempre un cristiano). Gli ebrei avevano spesso la duplice funzione di traduttore e di
autore in lingua araba o ebraica. Il traduttore Domenico Gundisalvi collaborava con
l’ebreo cristianizzato Giovanni di Siviglia (Johannes Hispalensis), Platone Tiburtino
collaborava con l’ebreo Savasorda (Abraham bar Hiyya di Barcellona). Il tradut-
tore più produttivo fu Gherardo di Cremona (Cremona, 1114 - Toledo, 1187), che
tradusse 92 opere in latino, fra cui gli Elementi di Euclide, e opere di Archimede,
Apollonio, Tolomeo, Ippocrate, Galeno, Aristotele, Al-Kindi, Al-Farabi, Avicenna.
Nella scuola medica di Salerno si costituì un ambiente multiculturale tanto che
le lezioni venivano impartite in quattro lingue: arabo, ebraico, latino, greco. Alfano
di Salerno, monaco benedettino e vescovo di Salerno nel 1058
scrisse il trattato dal
titolo De quattuor humoribus, una delle prime opere della scuola salernitana. Costan-
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Salvatore D’Angelo
tino l’Africano (1015 c.-1087), originario di Cartagine, convertitosi al cristianesimo,
introdusse nella civiltà latina le conoscenze della medicina araba e le opere mediche
dell’antichità greca, nel 1060 fu alla corte di Roberto il Guiscardo a Salerno, suc-
cessivamente si ritirò nel monastero di Montecassino, dove tradusse in latino l’
Ars
medica di Galeno, i commenti di Galeno agli
Aforismi e Pronostici di Ippocrate, la
Pantegni di Hali Abbas al-Magusi, il testo medico arabo più importante prima del
canone di Avicenna, e altre opere di medici arabi (Ibn Al-Djassar), ed ebrei (Ishaq
Al-Israili), spesso senza rivelare il nome dell’autore dell’opera.
All’anno 1099 circa viene fatta risalire la composizione del
Regimen sanitatis,
opera in 380 esametri latini che raccoglie i consigli medici e le ricette della Scuola
Medica Salernitana.
L’impostazione teorica divenne più complessa e furono considerate come ap-
partenenti intrinsecamente all’uomo le sette
res naturales:
elementi, umori, com-
plessioni, membra, virtù, operazioni e spiriti. La teoria classificava le membra o parti
principali (cervello, cuore, fegato e testicoli) e accessorie (i nervi, le arterie, le vene,
i dotti spermatici). Alcune parti erano dotate di una propria autonoma facoltà (ossa,
cartilagini, membrane, muscoli, grasso e carne), alte parti traevano vigore dal quelle
principali (lo stomaco, i reni, gli intestini). Le tre facoltà o virtù erano l’animale,la
spirituale e la naturale. Erano considerate possibili due tipi di operazioni. Nel primo
tipo rientravano quelle proprie: l’appetito per il cibo e la digestione. Quelle compo-
ste, si articolano in due componenti, ad esempio, il desiderio si componeva di due
facoltà, appetitiva e sensitiva. Gli spiriti erano classificati così: il primo o naturale,
originato dal fegato; il secondo o vitale, originato dal cuore; il terzo o l’animale, ori-
ginato dal cervello. Sonno e veglia, esercizio e riposo, fame e sete, cibo e bevande,
replezione e deplezione, moti dell’animo (emozioni) erano le
res non naturales. Le
malattie che evolvevano in quattro fasi:
principium,
augmentum,
status,
declinatio
erano classificate come
res contra naturales. La guarigione si aveva con la espul-
sione dal corpo della
materia peccans (da cui l’uso dei diuretici, dei purganti, degli
emetici e del salasso, praticato sia con tagli da cui far fuoriuscire il sangue, sia con le
sanguisughe). L’urina era considerata il riflesso dell’equilibrio o dello squilibrio dei
quattro umori dell’organismo. Così per emettere una diagnosi, il medico osservava
le urine del paziente
in un vaso chiamato matula, cioè praticava l’uroscopia.
Presso la scuola salernitana fu iniziata l’utilizzazione dell’alcol sotto due for-
me:
aqua ardens a 60° e
aqua vitae a 90°. Questo nuovo solvente fu ampiamente
utilizzato per le preparazioni di rimedi. Numerosi furono i vocaboli usati per desi-
gnarlo: anima del vino, acqua flagrante, spirito sottile, prima essenza, quintessenza.
Anche la
spongia o spugna soporifera, mediante la quale venivano inalate sostanze
narcotiche (oppio, mandragora, ecc.) per anestetizzare i pazienti durante le opera-
zioni chirurgiche, fu utilizzata a Salerno per indurre l’anestesia. La spugna veniva
preparata imbevendola di queste sostanze narcotiche e poi essiccata: al momento
dell’uso si inumidiva con acqua calda e il principio attivo veniva assunto o bevendo