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Il monachesimo benedettino. Origini, tradizioni e cultura
facio e Willibrord evangelizzano le popolazioni tedesche fino quasi a spingersi verso
gli slavi. Questi ultimi saranno evangelizzati soprattutto dai santi Cirillo e Metodio,
e successivamente dai santi orientali Clemente di Ochrida e Gregorio Sinaita.
Da san Benedetto da Norcia si sviluppa un movimento monastico fortemente
caratterizzante per l’Europa occidentale, la cui diffusione ha riscontro in Oriente con
la
Regola di san Teodoro Studita al Monte Athos, monastero fondato nel 963 dal
monaco Atanasio, e tuttora centro del monachesimo orientale.
La
Regola benedettina viene ripresa a Cluny, dove il conte Guglielmo d’A-
quitania fonda un monastero. I benedettini di Cluny, per essere liberi dalle influenze
del sistema feudale, che coinvolge anche le gerarchie della Chiesa, si pongono sotto
l’autorità diretta del papa. Essi mettono in evidenza l’importanza della liturgia e del-
la preghiera continua e della povertà, dando il via di fatto alla “riforma gregoriana”.
Lo spirito cluniacense si diffonde in tutta l’Europa occidentale, ponendosi al centro
della vita della Chiesa nel X ed XI secolo. La centralità di questa esperienza è sotto-
lineata dalla presenza sul soglio pontificio di monaci cluniacensi come Gregorio VII,
Urbano II, Pasquale II.
La ricerca di solitudine e di penitenza porta anche alla nascita di nuove forme
di vita contemplativa, sempre sul filone dell’esperienza di san Benedetto. Tali sono i
Vallombrosani di san Giovanni Gualberto, i Camaldolesi di san Romualdo e soprat-
tutto i Certosini di san Bruno, fondatore della grande
Chartreuse, presso Grenoble.
Egli si spinge fino alla Calabria, presso Squillace, dove fonda il celebre monastero di
Vivarium sotto la protezione dei Normanni.
I limiti del movimento sorto a Cluny si evidenziano soprattutto nella pretesa
di incarnare in un solo ordine monastico l’essenza del cristianesimo. Alla fine del XI
secolo sorge l’istituzione di Citeaux, con l’intento di recuperare l’equilibrio fra lavo-
ro e preghiera, nell’amore fraterno. La
Regola cistercense, scritta da Stefano Harding
e portata alla sua attuazione da S. Bernardo a Clairvaux, è definita nella
Charta Ca-
ritatis. Anche i cistercensi conoscono una grandissima diffusione, e favoriscono, nel
periodo
delle crociate, lo sviluppo degli ordini cavallereschi.
Ormai, però, la società è in rapida evoluzione, la civiltà comunale si sta svi-
luppando rapidamente. Il monachesimo benedettino entra in crisi. Il suo posto sarà
soppiantato dal grande messaggio di povertà e di nuova evangelicità veicolato dagli
ordini mendicanti e predicato da san Francesco e da san Domenico.
C’è un denominatore comune in tutte le varie espressioni della vita monastica,
che non è prerogativa esclusiva della
Regola benedettina. Esso è anche uno dei tipi
fondamentali dell’esperienza cristiana, cioè quello della contemplazione. Questa carat-
teristica è molto seguita e sentita nei secoli centrali del Medio Evo (sec. IX-XII). Nel
Medio Evo, sia per le condizioni difficili della società ed a volte anche della Chiesa,
sia perché i papi stessi promuovono a volte riforme anche profonde (come quella gre-
goriana), la vita contemplativa è oggetto di desiderio spirituale per molti cristiani. Pe-
riodicamente singoli individui (soprattutto nobili non primogeniti, chierici o cavalieri),
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Fabio Cusimano
mossi dallo Spirito, si ritirano da soli in preghiera e in penitenza in qualche montagna
o foresta isolata, impervia, o comunque distante dalle chiassose città. È l’esperienza
della
fuga dal mondo, per ritrovare Dio nel silenzio, per rinnovare lo spirito nella pu-
rezza dei consigli evangelici. La fama di santità ed i prodigi che accompagnano la vita
dell’eremita attirano alcuni discepoli. Si forma una comunità che prega e, dovendo
provvedere
al proprio sostentamento, lavora la terra o alleva animali domestici.
Bisogna tener conto che questa idea non è originale di san Benedetto, nel sen-
so che il monachesimo ha origini orientali:
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il primo monaco di cui viene trasmessa
la vita è l’egiziano sant’Antonio Abate. Anche Pacomio e Basilio scrivono regole
monastiche. Lo scopo primo di queste regole è quello di dare indicazioni di mas-
sima sia alla solitudine degli asceti, sia alle comunità che si formano. La novità di
san Benedetto, rispetto al monachesimo orientale, è rappresentata dall’accento posto
sulla
vita comune. I monaci hanno certo i loro momenti di solitudine, di preghiera e
di contatto singolo con Dio mediante l’obbligo della lettura della Bibbia. Però i mo-
menti più importanti sono quelli della
preghiera comunitaria,
fatta ad ore stabilite
durante la giornata: questo è
il punto fondamentale della Regola.
Grandezza e decadenza del monachesimo benedettino medievale
Essere monaci rappresenta, per i cristiani medievali, quasi uno
status symbol,
la meta della perfezione cristiana. Molte famiglie cercano a tale scopo di dare come
oblati i propri figli al monastero, soprattutto se questi non possono rivendicare parte
dell’eredità paterna (i “cadetti”), spettante normalmente al primogenito. La teologia
stessa ha,
lungo quasi tutto il Medio Evo, i suoi maggiori esponenti tra i monaci.
Anche il sistema feudale, tipico della mentalità medievale, distingue tre ordini
sociali:
bellatores (guerrieri),
laboratores (lavoratori),
oratores (coloro che prega-
no, cioè i monaci). Ma proprio nel momento del maggior splendore si cominciano
a vedere segni di decadenza nel monachesimo occidentale. Le notevoli ricchezze
accumulate dai monasteri, le rendite materiali ed il potere che ne deriva rendono
insofferente la popolazione. Lo sviluppo della società comunale, lo spostamento
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Il concetto di monachesimo Europeo proviene dal Medio Oriente; infatti l’ascetismo religioso
e la vita monastica non sono peculiari solo del Cristianesimo, ma rappresentano forme in cui l’anima
ha cercato in ogni tempo di tradurre la propria sete del divino. Nel IV secolo, in Egitto, in Palestina e in
Siria, sulla scia di Antonio il Grande e di altri Padri del deserto, si fecero sempre più numerosi coloro
che abbandonavano completamente il mondo per vivere nella solitudine (
eremos,
da cui il termine di
eremita, per indicare gli asceti viventi nel deserto) oppure per associarsi insieme in conventi o cenobi
(dal termine greco
coinobios, indicante vita in comune), onde ricercare una comunione più intensa con
Dio ed innalzarsi verso la santità. In ambito cristiano, Antonio è considerato l’iniziatore della via ere-
mitica e Pacomio di quella cenobitica.