Dicembre 2016 e ditoriale



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blematicismo, sulla scia di Gentile. Spirito, tuttavia,

avrebbe deluso le speranze del pensatore neoclassico,

che a più riprese doveva invitarlo a compiere il gran

passo, convinto che l’esortazione del suo interlocutore,

stante la confutazione gentiliana, equivalesse a un ana-

cronismo nemico della vera filosofia.

L’accento teologizzante 

Non sorprende allora che, accentuando gli aspetti religiosi

evocati dall’attualismo, Armando Carlini e Michele Fe-

derico Sciacca attirassero piuttosto l’attenzione sulla spe-

cificità del soggetto gentiliano, irriducibile al solo pen-

siero, e sulla sua autentica consistenza spirituale. Se

Gentile aveva insistito sulla fondamentale ispirazione

cristiana dell’idealismo attuale, vera e propria traduzione

filosofica del Fiat voluntas tua, essi, valorizzando il ce-

spite rosminiano della sfida gentiliana, invitavano a con-

gedare la metafisica di stampo naturalistico riproposta dal

neotomismo (anche nella sua versione neoclassica), per

consentire così l’accesso a una dimensione che fosse dav-

vero in sintonia con le esigenze di una fede cristiana ma-

tura. Si trattava evidentemente di condurre Gentile nella

direzione che questi, enfatizzando gnoseologicamente la

dialettica soggetto-oggetto e la creazione attuale, aveva di-

sdegnato, facendo precipitare l’orizzonte spirituale nel do-

minio delle cose sottoposte al ludibrio di un artefice as-

soluto. Per questo verso, Carlini sottraeva “la vita dello

spirito” alle pastoie di un conoscere destinato a farsi ra-

gione del mondo, spingendo il discorso filosofico a co-

gliere la pienezza di un atto al cospetto di sé e heidegge-

rianamente problema a se stesso, lacerato nel dualismo in-

teriore destinato a prefigurare l’intimità dell’uomo con

Dio. Il ricorso a una “trascendenza immanente” di stampo

agostiniano inaugurava allora l’orizzonte di una “metafi-

sica critica” che, rinunciando alle astrazioni di un’ascesa

esteriore dal mondo a Dio, doveva esaltare il ruolo del-

l’arte e della religiosità, il cui centro restava saldamente

ancorato alla persona, insieme poesia e fede. L’atto divino,

nel suo rivelarsi all’uomo, era così chiamato a sanare

originariamente la scissione del solo mondo esistente, il

mondo interiore, sensibile e morale, onorando i tratti del-

l’assoluto che Gentile si era invece ostinato a tradurre in

una logica del conoscere preda di un approccio estraneo

al dominio spirituale. Ora, di un Gentile, per dir così, con-

trapposto a Gentile si serviva appunto Sciacca, anch’egli

impegnato a sorprendere nello spirito attualisticamente

concepito le sembianze di un’oggettività riconducibile al-

l’essere intuito dalla mente in presenza del vero indispo-

nibile. Il soggetto, sprigionando la consistenza di una

“interiorità oggettiva”, si imbatteva cioè fin da subito

nella resistenza di un dato chiamato a illuminarne il cam-

mino. L’intuizionismo di marca platonico-agostiniana,

avvicinando Sciacca al Rosmini difeso da Pantaleo Ca-

rabellese, contro il gentiliano Rosmini e Gioberti, favoriva

allora l’avvento di uno “spiritualismo critico” per il quale

l’idea valeva come un “apriori ontologico”, vera e propria

S

TUDI

Nuova Secondaria - n. 4 2016 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

Maarten van Heemskerck (1498-1574), Fiat voluntas tua sicut in celo et in terra, Acquaforte.

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traccia della trascendenza di Dio, atto d’essere e persona.

Come per Carlini, lo “spirito” dell’attualismo, sottratto

alla rapina delle due contrapposte astrazioni del sogget-

tivismo e dell’oggettivismo, atee e non cristiane, rappre-

sentava il viatico indispensabile per il rafforzamento della

filosofia d’ispirazione cattolica. Gentile, insomma, aveva

lasciato il discorso a metà, cedendo infine alle lusinghe di

un irrazionalismo travestito da ultrarazionalismo, testi-

mone e artefice di un assoluto trattenuto nelle maglie ri-

gide dell’Io. 

Si trattava allora di stare dalla parte di un immanentismo

ricondotto al dominio attuale divenuto spettatore di un più

profondo se stesso, oggettivo e trascendente. In questo

senso, Carlini e Sciacca alludevano alla contraddizione di

un idealismo incapace di celebrare l’atto in divenire senza

imbattersi nel vuoto e insignificante avvento del “niente”.

Certo, per fugare il niente dell’attualità entrambi ave-

vano accentuato il versante “teologizzante” di una filo-

sofia che Croce aveva visto esporsi al “misticismo” del-

l’essere. Del resto, era a una filosofia dell’essere che,

anche per questa via, si finiva per concedere spazio e cre-

dibilità, benché l’essere filtrasse dal chiaroscuro della

coscienza. L’alternativa spiritualistica al realismo di

stampo neoscolastico doveva peraltro contribuire a evi-

denziare la difficoltà di far convivere attualismo e meta-

fisica nel senso auspicato dalla tradizione aristotelico-to-

mista, anche e soprattutto quando era Parmenide a guidare

la danza. Fatto sta, però, che proprio gli accenti eleatici

della sfida neoclassica, alleata bensì di Gentile, ma di

Gentile nemica – nella misura in cui l’attualismo, enfa-

tizzando la serietà della storia, trascinava la filosofia nelle

secche del “problematicismo trascendentale” (ossia defi-

nitivo) – dovevano indurre Emanuele Severino a muovere

in direzione di una “metafisica originaria”. Il viaggio

dall’uomo a Dio era già originariamente compiuto e si

trattava perciò di rinviare il discorso filosofico a una in-

consueta dualità senza dualismo, parente prossima del

creazionismo, ma già oltre il creazionismo tradizionale.

Lungo questa via, infatti, ci si sarebbe dovuti convincere

della necessità di contestare alla radice la “persuasione”

già greca che dell’essere illuminato dalla coscienza si

dovesse dire il non essere, non appena l’andirivieni del

mondo, decretando il suo venir meno, avesse dettato alla

filosofia il consueto copione metafisico. Stando a Seve-

rino, era appunto l’impossibile rottura del legame onto-

logico suggerita dal “divenire” a trionfare inosservata

nell’immanentismo gentiliano, mescolando essere e non

essere. D’altra parte, egli invitava a comprendere come,

concessi per un formidabile abbaglio l’annientamento e

l’entificazione dell’essere manifesto, fosse proprio l’in-

differenza dei due a imporsi e con essa il “nichilismo” per

cui tutto è nulla e nulla può perciò sottrarsi al processo di

produzione e distruzione che l’attualità della coscienza era

chiamata a testimoniare. Nemmeno “Dio”, cui Bontadini

e Spirito continuavano invece a guardare come all’ob-

biettivo credibile di una ricerca che in entrambi appariva

compromessa dalla “fede nel divenire” perpetuata dal-

l’approccio gentiliano. Per Severino, del resto, l’attuali-

smo di Gentile, senza mai voltare le spalle al sapere

scientifico, custodiva lo spazio teorico-pratico per l’av-

vento dell’odierna civiltà tecnologica, in ragione del quale

sarebbe stata la caduta degli immutabili tradizionali a

dominare la scena.



Gentile, un neoeleatico?

Ora, nell’attualismo, nonostante l’instancabile appello

alla prassi e alla verità filia temporis, sconcertante erede

e frutto della dialettica dell’Io, rimangono certamente vi-

sibili le tracce consistenti di un pensiero adialettico o

dialettico in un senso irriducibile a quello del passato. Del

resto, occorre ricordare come a un Gentile addirittura

“neoeleatico” rinviino le recenti letture, non ignare dalla

riflessione severiniana e fortemente caratterizzate in senso

speculativo, di Gennaro Sasso e, al suo fianco, di Mauro

Visentin, entrambi impegnati sul fronte del “neoparme-

nidismo”. Non in vista di un severiniano ritorno a Par-

menide, per ripetere il “parricidio” platonico inventore del

“mondo”, ma di uno stare finalmente con Parmenide,

opponendo verità e realtà. Se Severino infatti metteva in

questione l’esistenza delle “cose”, addebitandola alla per-

suasione nichilistica, ma non quella delle “differenze”

eternamente avvinte a se stesse nella luce intramontabile

dell’essere, Sasso e Visentin, rintracciando in Gentile (e

in Croce) gli elementi essenziali di questa impostazione,

invitavano a riflettere sulla estraneità al vero delle diffe-

renze mondane come tali, restituendole a una regione ir-

rimediabilmente consegnata al governo dell’“opinione”. 

D’altra parte, a un mondo senza cose alludeva Gentile,

quando evocava l’eternità del divenire ribaltato sugli oc-

chi dello “spettatore” trascendentale. Alcune tra le pro-

paggini più significative del suo discorso, ci suggeri-

scono il modo di pensarlo. Si tratta, certamente, di modi

alternativi, addirittura confliggenti, di interpretare l’opera

di Gentile (ai quali converrà aggiungere quello di Vin-

cenzo Vitiello che, cimentandosi, non a caso, con l’at-

tualismo e Severino, esorta la filosofia a cogliere le sem-

bianze di un “Dio possibile”), ma accomunati dal costante

riferimento a quello che, proprio per la fecondità del suo

appello, deve ormai essere considerato a tutti gli effetti un

classico della filosofia occidentale.



Davide Spanio

Università Ca’ Foscari, Venezia

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Nuova Secondaria - n. 4 2016 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

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