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Dicembre 2016 e ditoriale
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DITORIALE
Nuova Secondaria - n. 4 2016 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582
La valutazione per quale
miglioramento?
Giorgio Chiosso
D
opo l’entrata in vigore del Sistema
Nazionale di Valutazione (il ben noto
decreto n. 80 del 28 marzo 2013 e
successivi documenti esplicativi) è iniziata
un’azione a 360° gradi per migliorare le scuole
italiane. Si tratta di un’iniziativa interessante,
purtroppo – come spesso accade nel nostro Paese
– troppo affidata alla buona volontà, senza
disponibilità di adeguate risorse economiche e
senza riscontri e neppure sostenuta da un’idea
abbastanza condivisa di miglioramento. I progetti
pilota attuati negli anni passati non hanno
eliminato la sensazione che anche il
miglioramento è cascato sulle scuole senza
adeguata preparazione. Gli schemi messi a
disposizione delle scuole possono aiutare pigri e
inesperti, ma non basta soddisfare un
adempimento e segnalare qualche buona
intenzione per dire di aver predisposto un buon
Piano di miglioramento.
Ma soprattutto sembra passare sotto silenzio
una questione nodale eppure della massima
rilevanza: la individuazione delle scuole che, per
ragioni molto diverse (contesti socioambientali
particolarmente difficili, dislocazione in aree
periferiche, scarsa professionalità dei dirigenti e
mediocre qualità culturale dei docenti) possono
essere considerate failings schools e cioè scuole
dai risultati non soddisfacenti o addirittura
negativi. Ho impiegato il termine anglosassone
perché da noi la reticenza è talmente forte che
neppure si è finora trovata una definizione per
questo tipo di scuole ora definite “scuole
problematiche”, ora “scuole critiche” ora “scuole
mediocri” ecc. ecc.
In ogni caso, al di là degli obiettivi limiti
dell’azione in corso, bisognava cominciare. Il resto
verrà dopo se, come è auspicabile, l’azione di
miglioramento non resterà un’esperienza episodica.
Il principio del miglioramento scolastico è una
conseguenza degli sforzi avviati fin dagli anni ’80
del secolo scorso (a livello europeo, più tardi da
noi) per assicurare ai sistemi scolastici e formativi
la qualità necessaria per far fronte a nuove e
antiche esigenze. Una forte spinta è venuta, in
particolare, dai sempre più stretti rapporti tra
formazione e sviluppo economico e dal proposito
di ottimizzare i costi scolastici. Sulla scorta di
criteri per lo più mutuati dalla cultura aziendale
sono stati fissati alcuni criteri qualitativi e, a valle
di questi, è scaturito il bisogno del miglioramento.
Le valutazioni a largo spettro hanno dato
certezza a quanto già si sapeva in forma
occasionale e cioè che un certo numero di
istituzioni scolastiche non raggiunge risultati
soddisfacenti. In alcuni paesi il miglioramento
delle scuole critiche è diventato un’emergenza
politica. Sarebbe però miope pensare che soltanto
le scuole mediocri debbano migliorare. Lo spazio
di miglioramento è generale, connesso alla
mobilitazione del patrimonio di “risorse
professionali latenti” presenti in ciascuna scuola.
Anche una scuola di eccellenza può, dunque,
migliorare.
Come dunque definire il miglioramento? In
modo alquanto schematico e piuttosto generico si
può dire un’azione volta ad assicurare prima di
tutto coerenza tra l’attività educativa degli
insegnanti e i bisogni degli allievi e, in funzione di
questa coerenza, colmare eventuali deficit
professionali o organizzativi, e rendere più incisiva
l’azione della scuola nelle tre fondamentali
dimensioni dell’apprendimento, della trasmissione
culturale e della formazione personale.
Questa idea “personalistica” di miglioramento
cadenzata sullo studente non è molto diffusa nella
letteratura sulla qualità scolastica e sul
miglioramento. L’efficientismo dei nostri tempi
preferisce letture di altro tipo: manageriali,
economiche, sociali, meritocratiche, insomma
letture ad impostazione funzionalistica.
È questo lo sfondo culturale nel quale si
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Nuova Secondaria - n. 4 2016 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582
pongono gli apporti migrati da noi copiosamente
negli ultimi anni dal mondo anglosassone nel
quale prevale, in genere, una concezione di qualità
scolastica e di miglioramento pragmatica,
strettamente vigilata dalle autorità scolastiche con
protocolli prescrittivi e procedure standardizzate.
Nei casi di ripetuti risultati giudicati insufficienti
sono attuate iniziative di sostegno predisposte
dall’alto. Nelle ipotesi estreme, come è risaputo, è
addirittura prevista la chiusura delle scuole le cui
performance sono ritenute inadeguate. Volendo
sintetizzare con poche parole questa tendenza si
potrebbe dire che “le procedure messe in atto dal
sistema sono garanzia di qualità anche per le
persone”.
In altri casi – come accade in Italia e in quelle
realtà ove prevalgono logiche “riflessive” più che
procedurali – il miglioramento è affidato
all’iniziativa gestita “dal basso” da dirigenti e
docenti (in taluni casi anche coinvolgendo soggetti
terzi come le famiglie). Le azioni previste per
“migliorare la scuola” puntano in questo caso
all’innesco di processi virtuosi come, per esempio,
l’intreccio tra i dati offerti dalle valutazioni di
sistema con gli esercizi di autovalutazione interna,
la capacità di “situare la scuola” nel contesto
socio-ambientale e di favorire iniziative d’intesa
con il territorio, il potenziamento del capitale
professionale, la valorizzazione della leadership
educativa, il rispetto per la cultura locale. Volendo
anche qui ricorrere ad una rapida definizione si
potrebbe dire che “la qualità della scuola è
strettamente associata e affidata alla capacità di
gestirla da chi ne fa parte”.
In entrambe le situazioni è prevista la presenza
di figure di accompagnamento, ma con
caratteristiche alquanto diverse. Nel primo caso il
tutor agisce direttamente nella scuola, sulla sua
organizzazione e sul dirigente – quasi sempre
disponendo di risorse appositamente destinate –,
in certi casi addirittura sostituendosi (come se si
trattasse di una forma commissariale) alla
dirigenza. Nel secondo caso il tutor svolge
principalmente due compiti, 1) concorrendo alla
individuazione dei problemi e suggerendone le
possibili soluzioni (lasciando comunque alla
scuola la libertà di agire in proprio) e 2)
affiancando per un certo periodo il percorso di
miglioramento.
Diversi appaiono anche gli atteggiamenti verso
l’esito del miglioramento. Nei casi pilotati
“dall’alto” sono le stesse autorità a certificare il
raggiungimento o meno dei risultati prefissati da
appositi standard. Nelle prassi che puntano alla
mobilitazione delle risorse “dal basso”
l’accertamento del miglioramento è più complesso
perché – per lo meno in via di principio – ciascuna
realtà scolastica è un unicum rispetto a cui è
difficile stabilire griglie prescrittive di valutazione
(al più di può parlare di tendenze al
miglioramento).
Dal punto di vista della centralità dello
studente – quello che dovrebbe essere il punto di
osservazione privilegiato perché la scuola prima
di essere una organizzazione da rendere efficiente
è un’istituzione educativa di persone per le
persone – entrambe le strategie sono accomunate
da una certa trascuratezza.
Sia pure con giustificazioni diverse, il focus è
infatti centrato sugli aspetti organizzativi. Scarso
spazio nelle prassi migliorative hanno
interrogativi oggi ricorrenti non solo in ampia
parte della letteratura pedagogica e psicologica,
ma vissute in presa diretta dalle famiglie e dai
ragazzi che vanno a scuola con la testa nello
smartphone e spesso convinti di partecipare a
un’esperienza che “non serve”.
Qualche esempio: quale rapporto tra la realtà
scolastica quotidiana e le pratiche di
insegnamento/apprendimento (detto in altro modo:
perché studiare?), come rispondere al
cambiamento culturale in corso (il dibattito sulla
cultura scolastica appare oggi residuale), come
gestire la relazione adulto-studente (non credo che
la scuola possa ridursi a un luogo di semplice
socializzazione orizzontale), quale senso attribuire
allo sforzo e all’esercizio della volontà, come
regolare l’impiego dei nuovi strumenti della
comunicazione, compreso il valore dei libri?
Se tra i tanti indicatori necessari per stendere il
Piano di miglioramento non includiamo anche
questi interrogativi primari è come se si mirasse a
costruire un sistema perfettamente funzionante
senza tuttavia i chiedersi a cosa esso realmente
serva. Soltanto a preparare lavoratori e
consumatori perfettamente addestrati?
Giorgio Chiosso
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