Dicembre 2016 e ditoriale



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S

TUDI

Nuova Secondaria - n. 4 2016 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

Ma «data l’originarietà della sintesi, in che si fonda la

possibilità di parlare di due momenti anteriori? E perché

primo il momento del soggetto, e non quello dell’oggetto»?

Il quesito gentiliano è radicale; non altrettanto la risposta. 

Una risposta non radicale

Precisato che tra soggetto e oggetto non vi è giustappo-

sizione per cui ognuno sia “solo se stesso”, ma “succes-

sione logica”, “integrazione” o “inveramento”, Gentile af-

ferma che ciascuno dei due termini «è intanto se stesso»

(p. 263). L’affermazione sorprende perché soggetto e og-

getto sono pure qualificati come identici e in sé contrad-

dittori, cioè privi di consistenza. Come l’essere e il non es-

sere della Scienza della logica. Ma Gentile ‒ da buon

hegeliano ‒ non si cura dell’apparente incoerenza, anzi se

possibile la accentua, spingendosi a giustificare anche la

priorità del soggetto sull’oggetto. Ciò nella convinzione

che se «l’oggetto è lo stesso soggetto oggettivato», tutta-

via «il soggetto non è oggetto soggettivato», quale che sia

a questo riguardo il punto di vista empirico, punto di vi-

sta che «disconosce l’originarietà della sintesi» (ibidem).

Ma così facendo egli incorre in un circolo vizioso, poiché

occorrerebbe proprio dimostrare che la conoscenza sia

una sintesi, per quanto originaria, e non un’identità. 

In effetti Gentile, aderendo all’impianto hegeliano, è pure

condizionato dalla tradizione moderna, per cui soggetto

e oggetto, sul piano intenzionale, sono ritenuti concetti di-

stinti, anzi al soggetto viene riconosciuta una qualche

autonomia concettuale in aggiunta al suo essere traspa-

renza dell’oggetto, cioè al suo essere l’oggetto stesso in

quanto manifesto.



La correzione teoretica

Gentile dovette rendersi conto della debolezza della pro-

pria teoresi e di lì a poco la corresse. Ciò avvenne con la

fioritura dell’attualismo, per cui la realtà è ricondotta al-

l’unico pensiero effettivo e intrascendibile che è il nostro

attuale. La dialettica spirituale fu quindi rettificata me-

diante una trasfusione di pensiero o di linfa noologica in

ciascuno dei suoi momenti astratti. 

Così, ne L’atto del pensare dell’atto puro (1912), il co-

minciamento della dialettica non equivale più al presunto

soggetto isolato dal rapporto conoscitivo, ma consiste

già in una relazione conoscitiva. Per dirla con Hegel, il co-

minciamento dialettico è sia immediato che mediato. In

termini gentiliani, esso è sì oggettività astratta, ma nel

senso di pensiero astratto; più precisamente, è «il pensiero

altrui o il pensiero nostro già pensato» (ristampa in La ri-



forma della dialettica hegeliana, cit., p. 184), il quale, per

quanto isolabile teoricamente dal soggetto, è già rela-

zione o pensiero.

Peraltro questa condizione di concretezza continua a es-

sere definita da Gentile come «primo momento del pen-

siero astratto». Ciò perché «se questo momento non

fosse mai superato, il pensiero altrui sarebbe soltanto no-

stro (per noi), e il pensiero passato sarebbe soltanto pre-

sente. Non conosceremmo se non il pensiero nostro at-

tuale» (pp. 184-185). Opera anche qui il presupposto

fenomenistico per cui il pensiero non è inteso quale ma-

nifestazione immediata dell’essere, ma viene considerato

inizialmente quale chiusura introversa, sebbene ora ri-

conosciuta come relazione soggettivo-oggettiva, la quale

solo mediatamente può riconquistare la presa effettiva

sulla realtà.



Alcune aporie

La riconquista in parola presenta serie aporie, che per

primo Croce stigmatizzò. Gentile cerca di renderla più

credibile facendola oggetto di dimostrazione, argomen-

tando che: 1) il pensiero o coscienza è tale in quanto au-

tocoscienza, cioè in quanto soggetto avente a oggetto se

stesso; 2) l’autocoscienza va quindi riconosciuta come in-

tima alterità, anzi come processo diveniente o proces-

sualità pura; 3) in quanto tale il pensiero va inteso come

l’essere «che si ripiega su se stesso, negandosi perciò

come essere»; a tal punto che si può affermare recipro-

camente che «la verità del concetto del divenire non si può

cogliere se non rispetto a quel divenire vero che è il pen-

sare, la dialettica», ancorché si tratti di una dialettica

fuori dal tempo (pp. 194-195). Ma la forza dimostrativa

di questi cenni è debole: il pensiero e la realtà vengono sì

collocati in una comune dimensione processuale, senza

però che ne emerga in forma convincente un legame di

identità dialettica.

La ridefinizione del rapporto 

pensiero-divenire

Ciò indusse Gentile a meglio definire il rapporto pensiero-

divenire. Questo egli fece nella comunicazione del 1912

su La riforma della dialettica hegeliana, pubblicata l’anno

successivo nell’omonima raccolta di saggi. In questo

scritto Gentile non contesta la validità dello schema dia-

lettico hegeliano, ma ne corregge l’applicazione. E l’ade-

sione alla dialettica gli consente di mutuare i lineamenti

del divenire hegeliano per chiarire in proprio la proces-

sualità dello spirito.

La “caratteristica essenziale” della dialettica hegeliana, ri-

spetto a quelle del passato, non risiederebbe nella natura

antitetica della relazione, ma nel fatto che questa relazione

è un’attività del soggetto o categoria. Come tale essa, già

con Kant, non corrisponde più a un carattere oggettivo

della verità, ma a un “concetto puro”, cioè a una funzione

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