sicale o letteraria o cinematografica. A una condizione,
però: che si parta dal testo letterario, quello ottocentesco
dei fratelli Grimm, il quale è già il frutto di un lungo la-
voro di ricerca, analisi, confronto e rielaborazione delle
tante versioni circolanti all’epoca, prima fra tutte quella
del favolista francese Charles Perrault (‘600), ed è un ot-
timo punto di partenza sia per un percorso a ritroso,
quanto mai necessario per ricostruire la presunta versione
originaria della fiaba, sia per una prospettiva successiva
di indagine sociologica. È bene precisare, da subito, che
Cenerentola narra una storia violenta, fatta di maltratta-
menti subiti dalla giovane protagonista, di morti e scom-
parse improvvise, di spargimento di sangue e mutilazioni
fisiche cui sono soggetti alcuni dei personaggi. Nella ver-
sione dei Grimm, infatti, che è bene far leggere confron-
tandola con quella di Perrault, muore la mamma della pro-
tagonista, a un certo punto del racconto scompaiono il
padre e anche la matrigna, alla fine le sorellastre sono sot-
toposte a orrende mutilazioni fisiche (amputazione del-
l’alluce e del calcagno; vengono loro perfino cavati gli oc-
chi). Si tratta, inoltre, di una fiaba ben poco educativa, per
i nostri tempi, perché ha una morale maschilista: la donna
per riscattarsi dalla sua inferiorità (non solo domestica,
crediamo) deve attendere il principe azzurro, l’unico ca-
pace di affrancarla e di darle una sistemazione sociale in-
vidiabile (attenzione, non di darle una dignità!), che con-
siste poi nel matrimonio. Ed è una fiaba, come in altre,
nella quale l’unico nome è un soprannome, anzi un no-
mignolo spregiativo (dall’Ottocento è stato addolcito dalla
sua vicenda strappalacrime), Cenerentola, appunto, che
rinvia a sporcizia ed emarginazione; tutti gli altri perso-
naggi sono anonimi e identificabili solo per il loro ruolo:
la madre, il padre, la matrigna, le sorellastre, il principe.
Stratificazioni simboliche che attraversano
lo spazio e la storia
Una lettura antropologica sia pure superficiale ci sugge-
risce che Cenerentola è una fiaba antichissima nella quale
possiamo cogliere una forte allusione al matriarcato prei-
storico (il padre conta ben poco se non si oppone mai alla
sua perfida seconda moglie), individuare il culto dei de-
funti venerati nei pressi della stessa casa (la caverna) – se
è vero che non si parla mai di un cimitero – e rappresen-
tati dalla cenere, dedurre un’alimentazione povera (ceci
e lenticchie), dovuta a un’economia fondata sulla raccolta
più che sulla coltivazione, osservare che l’abilità con la
quale la ragazza scala la colombaia o l’albero per sfuggire
al principe è quella con cui i primitivi si sottraggono ai
predatori, sospettare, infine, che la serena convivenza di
Cenerentola con gli animali rinvii ai primi riusciti tenta-
tivi di addomesticamento propri del mesolitico. Tratti, al-
cuni di questi, che, certo, possono essere riferiti una civiltà
contadina, ma che, nell’insieme, ci sembrano confermare
l’origine preistorica della fiaba. Sulla quale, com’è ovvio,
si sono stratificati altri aspetti tipici delle facies storiche
successive: si pensi alla palandrana, alle scarpe, alla pece,
al nocciolo, all’abito, in una progressione che culmina
nella rielaborazione proposta dalla Casa di produzione Di-
sney in cui compaiono fata, carrozza e bastone …. Ab-
bondano inoltre, in questa fiaba così popolare, i riferi-
menti religiosi, che si confondono e sovrappongono con
quelli magici: si pensi al rametto di nocciolo che, innaf-
fiato dalle lacrime della giovane (viene in mente Lisabetta
di Messina del Boccaccio), mette radici e cresce sulla
tomba della mamma (in tanti miracoli della religione cri-
stiana rami secchi attecchiscono prodigiosamente). La
scelta di questa pianta, molto diffusa in Europa, non è poi
casuale: il nocciolo è considerato dalla tradizione un al-
bero positivo, miracoloso, che protegge dai fulmini e dal
male, simbolo di rigenerazione e di vita, soprattutto per i
popoli nordici, che lo usavano anche per la rabdomanzia.
Restando in ambito religioso, si pensi anche alla fre-
quenza del numero tre, numero sacro del Cristianesimo,
che ricorre nella fiaba: la ragazza si reca tre volte al
giorno alla tomba della mamma, altrettante ripete una fi-
lastrocca (una formula magica?), mentre il ballo voluto
dal principe dura tre serate. E ancora hanno un sapore ma-
gico-religioso il nome della protagonista, che rinvia forse
a una remota funzione religiosa, sacrale, quella della sa-
cerdotessa, custode dei morti (le ceneri), al pari di una Si-
billa di classica memoria; la neve-manna che copre la
tomba della mamma; il sortilegio che cessa alla mezza-
notte quando avviene una trasformazione fisica (una …
resurrezione?); la mamma morta che parla per bocca
delle colombelle (animali simbolici della religione cri-
stiana ma anche di molti riti pagani: si pensi alla mitolo-
gia e all’Eneide). Del resto, non possiamo negare che la
versione animata proposta dalla Disney, che riprende,
quasi alla lettera, quella di Perrault, molto più soft rispetto
a quella dei Grimm, rappresenta un’importante svolta
nella storia di Cenerentola, grazie alle sue immagini
molto suggestive, e accresce notevolmente la dimensione
magica rispetto al suo precedente letterario. Infatti nel film
Disney, come nella fiaba di Perrault, si capisce che il ra-
metto di nocciolo, piantato dalla ragazza sulla tomba
della mamma, si è trasformato nella bacchetta magica con
cui la fata (la mamma di Cenerentola?) opera le tante me-
tamorfosi necessarie per trasformare la ragazza in una
principessa, creando una delle sequenze più belle del
cartoon e uno dei momenti più toccanti del racconto fran-
cese. Dove il ruolo principale, però, non è giocato né dalla
protagonista né dal suo pretendente ma da una scarpina.
18
P
ROBLEMI
P
EDAGOGICI E
D
IDATTICI
Nuova Secondaria - n. 4 2016 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582
04_Layout 1 25/10/16 10:52 Pagina 18