Dicembre 2016 e ditoriale



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sicale o letteraria o cinematografica. A una condizione,

però: che si parta dal testo letterario, quello ottocentesco

dei fratelli Grimm, il quale è già il frutto di un lungo la-

voro di ricerca, analisi, confronto e rielaborazione delle

tante versioni circolanti all’epoca, prima fra tutte quella

del favolista francese Charles Perrault (‘600), ed è un ot-

timo punto di partenza sia per un percorso a ritroso,

quanto mai necessario per ricostruire la presunta versione

originaria della fiaba, sia per una prospettiva successiva

di indagine sociologica. È bene precisare, da subito, che



Cenerentola narra una storia violenta, fatta di maltratta-

menti subiti dalla giovane protagonista, di morti e scom-

parse improvvise, di spargimento di sangue e mutilazioni

fisiche cui sono soggetti alcuni dei personaggi. Nella ver-

sione dei Grimm, infatti, che è bene far leggere confron-

tandola con quella di Perrault, muore la mamma della pro-

tagonista, a un certo punto del racconto scompaiono il

padre e anche la matrigna, alla fine le sorellastre sono sot-

toposte a orrende mutilazioni fisiche (amputazione del-

l’alluce e del calcagno; vengono loro perfino cavati gli oc-

chi). Si tratta, inoltre, di una fiaba ben poco educativa, per

i nostri tempi, perché ha una morale maschilista: la donna

per riscattarsi dalla sua inferiorità (non solo domestica,

crediamo) deve attendere il principe azzurro, l’unico ca-

pace di affrancarla e di darle una sistemazione sociale in-

vidiabile (attenzione, non di darle una dignità!), che con-

siste poi nel matrimonio. Ed è una fiaba, come in altre,

nella quale l’unico nome è un soprannome, anzi un no-

mignolo spregiativo (dall’Ottocento è stato addolcito dalla

sua vicenda strappalacrime), Cenerentola, appunto, che

rinvia a sporcizia ed emarginazione; tutti gli altri perso-

naggi sono anonimi e identificabili solo per il loro ruolo:

la madre, il padre, la matrigna, le sorellastre, il principe.

Stratificazioni simboliche che attraversano 

lo spazio e la storia

Una lettura antropologica sia pure superficiale ci sugge-

risce che Cenerentola è una fiaba antichissima nella quale

possiamo cogliere una forte allusione al matriarcato prei-

storico (il padre conta ben poco se non si oppone mai alla

sua perfida seconda moglie), individuare il culto dei de-

funti venerati nei pressi della stessa casa (la caverna) – se

è vero che non si parla mai di un cimitero – e rappresen-

tati dalla cenere, dedurre un’alimentazione povera (ceci

e lenticchie), dovuta a un’economia fondata sulla raccolta

più che sulla coltivazione, osservare che l’abilità con la

quale la ragazza scala la colombaia o l’albero per sfuggire

al principe è quella con cui i primitivi si sottraggono ai

predatori, sospettare, infine, che la serena convivenza di

Cenerentola con gli animali rinvii ai primi riusciti tenta-

tivi di addomesticamento propri del mesolitico. Tratti, al-

cuni di questi, che, certo, possono essere riferiti una civiltà

contadina, ma che, nell’insieme, ci sembrano confermare

l’origine preistorica della fiaba. Sulla quale, com’è ovvio,

si sono stratificati altri aspetti tipici delle facies storiche

successive: si pensi alla palandrana, alle scarpe, alla pece,

al nocciolo, all’abito, in una progressione che culmina

nella rielaborazione proposta dalla Casa di produzione Di-

sney in cui compaiono fata, carrozza e bastone …. Ab-

bondano inoltre, in questa fiaba così popolare, i riferi-

menti religiosi, che si confondono e sovrappongono con

quelli magici: si pensi al rametto di nocciolo che, innaf-

fiato dalle lacrime della giovane (viene in mente Lisabetta

di Messina del Boccaccio), mette radici e cresce sulla

tomba della mamma (in tanti miracoli della religione cri-

stiana rami secchi attecchiscono prodigiosamente). La

scelta di questa pianta, molto diffusa in Europa, non è poi

casuale: il nocciolo è considerato dalla tradizione un al-

bero positivo, miracoloso, che protegge dai fulmini e dal

male, simbolo di rigenerazione e di vita, soprattutto per i

popoli nordici, che lo usavano anche per la rabdomanzia.

Restando in ambito religioso, si pensi anche alla fre-

quenza del numero tre, numero sacro del Cristianesimo,

che ricorre nella fiaba: la ragazza si reca tre volte al

giorno alla tomba della mamma, altrettante ripete una fi-

lastrocca (una formula magica?), mentre il ballo voluto

dal principe dura tre serate. E ancora hanno un sapore ma-

gico-religioso il nome della protagonista, che rinvia forse

a una remota funzione religiosa, sacrale, quella della sa-

cerdotessa, custode dei morti (le ceneri), al pari di una Si-

billa di classica memoria; la neve-manna che copre la

tomba della mamma; il sortilegio che cessa alla mezza-

notte quando avviene una trasformazione fisica (una …

resurrezione?); la mamma morta che parla per bocca

delle colombelle (animali simbolici della religione cri-

stiana ma anche di molti riti pagani: si pensi alla mitolo-

gia e all’Eneide). Del resto, non possiamo negare che la

versione animata proposta dalla Disney, che riprende,

quasi alla lettera, quella di Perrault, molto più soft rispetto

a quella dei Grimm, rappresenta un’importante svolta

nella storia di Cenerentola, grazie alle sue immagini

molto suggestive, e accresce notevolmente la dimensione

magica rispetto al suo precedente letterario. Infatti nel film

Disney, come nella fiaba di Perrault, si capisce che il ra-

metto di nocciolo, piantato dalla ragazza sulla tomba

della mamma, si è trasformato nella bacchetta magica con

cui la fata (la mamma di Cenerentola?) opera le tante me-

tamorfosi necessarie per trasformare la ragazza in una

principessa, creando una delle sequenze più belle del



cartoon e uno dei momenti più toccanti del racconto fran-

cese. Dove il ruolo principale, però, non è giocato né dalla

protagonista né dal suo pretendente ma da una scarpina.

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P

ROBLEMI

P

EDAGOGICI E

D

IDATTICI

Nuova Secondaria - n. 4 2016 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

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