Dicembre 2016 e ditoriale



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P

ROBLEMI

P

EDAGOGICI E

D

IDATTICI

Nuova Secondaria - n. 4 2016 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

Una pantofolina non sempre calzabile

La celeberrima scarpina è presente nella versione lettera-

ria e in quelle più antiche con una significativa differenza

non solo di materiale ma anche di design: sappiamo per

certo, infatti, che la versione francese della fiaba parla di

una scarpa di vairvaio, cioè di pelliccia di scoiattolo si-

beriano (il petit-gris), rinviando quindi a un paio di bab-

bucce come le definiscono Perrault (pantofoline) e il titolo

della fiaba in francese (Cendrillon ou la petite pantoufle

de vair), rinviando a un tipo di calzatura, che, certo, non

è di gala. Molto probabilmente il vair è stato letto e tra-

scritto come verre (in francese la pronuncia di entrambi

i vocaboli è pressoché simile), cioè vetro, che Disney ha

trasformato, impreziosendolo, in cristallo. Al di là del-

l’impossibilità di calzare scarpe di cristallo, c’è da riflet-

tere su quale tipo di piede abbia Cenerentola: sicura-

mente un piedino se è vero che nella versione Disney le

sorellastre esibiscono piedoni esageratamente lunghi men-

tre in quella dei Grimm espongono piedi lunghi che de-

vono amputare per far entrare nella scarpina. Ma è pro-

babile che il piedino della (s)fortunata giovane sia a forma

di zoccolo come richiesto alle donne nobili cinesi sino a

qualche decennio fa; si tratta di quel fiore di loto, che co-

stringeva le bambine cinesi a sopportare un’orribile tor-

tura: la fasciatura stretta delle dita del piede al di sotto

della pianta per ottenere quasi uno zoccolo. Se pensiamo

a questa conformazione podologica comprendiamo per-

ché nella versione letteraria dei Grimm le sorellastre si

sottopongano all’amputazione dell’alluce e del calcagno

pur di calzare la scarpetta di pelliccia di scoiattolo: par-

ticolare sanguinolento che, per ovvie ragioni, viene

omesso nel film della Disney, destinato a un pubblico di

piccoli. 



Una fiaba per bambini o per adulti?

E qui si giunge all’altro quesito posto da questa fiaba: essa

è destinata a un pubblico di bambini o piuttosto di adulti?

La risposta a una questione niente affatto oziosa ce la dà

lo stesso Jakob Grimm, il più grande dei due celebri fra-

telli (La principessa pel di topo, 1818): «… Le fiabe per

bambini sono mai state concepite e inventate per bambini?

Io non lo credo affatto e non sottoscrivo il principio ge-

nerale che si debba creare qualcosa di specifico apposi-

tamente per loro. Ciò che fa parte delle cognizioni e dei

precetti tradizionali da tutti condivisi viene accettato da

grandi e piccoli, e quello che i bambini non afferrano e che

scivola via dalla loro mente, lo capiranno in seguito

quando saranno pronti ad apprenderlo. È così che avviene

con ogni vero insegnamento che innesca e illumina tutto

ciò che era già presente e noto, a differenza degli inse-

gnamenti che richiedono l’apporto della legna e al con-

tempo della fiamma». Vero è che i Grimm come, prima di

essi, Perrault e poi Disney, dalle favole, che andavano tra-

scrivendo e ricostruendo, hanno cancellato espliciti rife-

rimenti sessuali che si possono rintracciare frequente-

mente nelle fiabe (Pollicino, Hansel e Gretel, Biancaneve

alludono a violenze domestiche ai danni di minori) indu-

cendo a credere che essi le scrivessero per bambini, ma

ciò non toglie che tutte le fiabe abbiano un forte valore di

insegnamento per gli adulti ai quali si mostrano gli effetti

di azioni sconsiderate e controproducenti, difficili da ca-

pire da parte dei piccoli. Insomma, Cenerentola è forse da

leggere più sul lettino dello psicanalista che sul lettone

della mamma.



Nicola Fiorino Tucci

Liceo Scientifico “G. Galilei” Bitonto (BA)

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Giovanni Gentile

Un’introduzione



a cura di Carmelo Vigna

La lunga controversia su Giovanni Gentile ideologo del fascismo pare ora lontana. La probità e

l’onestà intellettuale di quest’uomo hanno avuto la meglio sui suoi apparentamenti sbagliati, nati

anche da una buona dose di equivoci: Gentile pensava che il fascismo fosse diventato attualista

o almeno se lo augurava; Mussolini premeva perché Gentile si allineasse al fascismo. L’ultima

onorificenza che il fascismo conferì a Gentile, cioè la presidenza della (Reale) Accademia d’Ita-

lia (v. annesso discorso gentiliano), fu forse l’occasione più alta di quella grande equivocazione.

Superare una vecchia querelle

È bene cominciare da questa vecchia querelle, per poterla subito lasciare da parte. Perché Gen-

tile non può essere confinato in un discorso sul fascismo, certo storicamente importante, ma fi-

losoficamente poco decisivo. Se di Gentile conviene ancora parlare, ed è giusto che lo si faccia,

è perché Gentile è la punta di diamante della filosofia italiana del Novecento, non certo perché

Gentile fu il filosofo del Duce. Punta di diamante non solo della filosofia italiana del Novecento,

ma anche della filosofia europea del Novecento, si può aggiungere. Certo, mancò durante la sua

vita il riconoscimento che gli sarebbe spettato se fosse nato in Francia o in Germania. Ma la “colpa”

è da imputare con ogni probabilità al provincialismo della nostra cultura filosofica sia durante il

fascismo sia subito dopo: durante il fascismo, per l’ostilità che le democrazie europee coltivarono

verso quel regime dittatoriale; dopo il fascismo, per la corsa all’importazione delle filosofie stra-

niere, soprattutto della filosofia francese e di quella tedesca. Esistenzialismo, fenomenologia, er-

meneutica di matrice heideggeriana, pragmatismo, neomarximo e altro ancora invasero il mercato

accademico e fecero presto apparire obsolete le voci della filosofia italiana che erano cresciute o

all’ombra di Gentile o per contrapposizione polemica a Gentile. Soprattutto: Gentile venne pre-

sto ostracizzato sotto il peso dell’accusa di fascismo, nonostante avesse dimostrato – specialmente

nel guidare i lavori per l’Enciclopedia italiana – la sua grande libertà di spirito.

La filosofia attualista

Oggi l’attualismo, se lo si depura dal suo linguaggio a volte un po’ enfatico e un po’ verboso e

si va dritto al cuore del messaggio che veicola, subito appare come la più geniale versione spe-

culativa (sul mercato filosofico) di quella società che con Bauman usiamo chiamare “liquida”.

Dove Bauman ha prodotto una vasta indagine sociologica, legata a un aggettivo indovinato, Gen-

tile ha prodotto una struttura filosofica agile e penetrante, senza paragoni per purezza di linee.

Nessun pensatore infatti ha tematizzato come Gentile l’impossibilità di tener ferme le determi-

nazioni molteplici della nostra esperienza. Nessuno come Gentile ha azzerato la pretesa di met-

tere al riparo dalla deponenza dell’atto del pensare vivente le forme sociali, le forme religiose,

le forme artistiche, le forme politiche o di costume. Anche le forme filosofiche. Insomma, tutte

le forme di vita, per dirla à la Wittgenstein. Solo l’attività del “formare” per l’attualismo ha di-

ritto a permanere (il “formalismo puro o assoluto” fu uno dei vessilli di Gentile); le forme che

il formare produce sono invece un oggetto mobile, che il formare subito dissolve o depone.

L’intuizione gentiliana

Diciamolo altrimenti. La mossa gentiliana genialmente originale è la “ritirata” nell’atto del pen-

sare come fortezza inespugnabile. Sembra quella di Gentile una riedizione del cogito cartesiano

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