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molteplicità degli oggetti pensati all’unità dell’Io-penso
segna lo stesso che l’immanenza di tutta la realtà all’Io.
Dunque, il concetto della trascendentalità dell’Io-penso o
dell’assoluta immanenza della realtà all’atto del pensare,
dicono esattamente che tra l’Io (che pensa) e la realtà (che
è) non può esserci nessun incolmabile abisso. Ma se l’Io
è l’Io dell’uomo, e se Dio è la suprema Realtà o l’Oggetto
che massimamente è, allora l’unità di uomo e Dio che si
annuncia nella religione cristiana è già intuizione della ve-
rità speculativa affermata dall’attualismo, in base a cui il
reale, nella sua concretezza, è la sintesi intrascendibile di
Io e non-Io, di soggetto e oggetto, di pensare e pensato.
Nella definizione di questa sintesi, che infine è sintesi di
umano e divino (il divino, si ricorderà, vale inizialmente
come il più grande non-Io), deve poi essere scorto di
nuovo il tema del prassismo, che a sua volta intende es-
sere lo sviluppo attualistico dell’affermazione cristiana
della realtà spirituale o dell’essenziale spiritualità della re-
altà
9
. Difatti, se lo spirito, a differenza della materia
inerte, è quel che vive e progredisce, allora lo spirito è
davvero spirito solo quando è pensiero in atto e in dive-
nire. Ma essendo pensiero in atto e in divenire, ed essendo
l’unica concreta realtà (che non presuppone nulla di là da
sé), lo spirito che è sintesi di uomo e Dio è pure il pro-
duttore del mondo oggettivo ed empirico che sempre al
suo interno, e sempre solo per suo tramite, si pone.
Così, nel ripensamento gentiliano del messaggio cri-
stiano, il Dio incarnato sembra proprio farsi identico al-
l’Io trascendentale o all’Io-penso in atto, i quali indicano
la realtà spirituale che si rende identica a sé mediante il
sacrificio dell’auto-negazione oggettuale. Il divino si
umanizza, rendendosi totalmente immanente all’atto
umano del pensare e coincidendo totalmente con que-
st’atto. E l’atto umano del pensare, che a sua volta coin-
cide totalmente con il divino, è infine l’atto dell’Io che
pensa e che pensando crea il mondo degli oggetti in forza
di un’auto-negazione che dev’essere costantemente fatta
e disfatta perché l’Io(-Dio) possa continuare a prodursi.
Com’è però intuibile, non sono mancate critiche all’inter-
pretazione del cristianesimo avanzata da Gentile, oltre a
quelle mosse alla sua più generale filosofia della reli-
gione. In un certo senso, potrebbe esser detto che il crite-
rio per individuare una destra e una sinistra attualistica è
passato proprio per la posizione che gli allievi diretti e in-
diretti di Gentile presero circa il problema del carattere re-
ligioso dell’idealismo attuale, e quindi circa il problema
dell’inevitabile auto-obiettivazione del pensiero. Ma, come
sempre accade in questi casi, le partizioni di schieramento
calate dall’alto spesso non hanno saputo vedere gli intrecci
di posizioni e le intersezioni teoriche che pure ci sono state
e che pure hanno avuto ragione di esserci.
Tuttavia, e comunque si affronti la questione della reli-
giosità dell’attualismo, resta che le polemiche più vivaci
che hanno gravitato attorno a questo punto della dottrina
si sono sviluppate proprio in merito alla lettura gentiliana
del cristianesimo, e poi alle dichiarazioni ripetute con cui
Gentile si era professato non soltanto cristiano, ma pure
cattolico (e da sempre cattolico).
Va allora osservato che per questo aspetto l’idealismo at-
tuale sembra poter essere colpito, più che da altri, da tre
rilievi critici che in qualche modo già furono posti, e che
ancora potrebbero essere mossi e proseguiti.
Anzitutto, il tentativo gentiliano di sviluppare il tema
cristiano dell’incarnazione, e quindi dell’unità dell’uma-
nità con Dio, più che risolvere il problema del necessario
avvicinamento dell’umano e del divino, pare aggirare la
questione della loro unione in favore di una loro identifi-
cazione senza residui. Umano e divino non vivrebbero più
come due distinti che arrivano a stare insieme senza es-
sere separati da un abisso, ma piuttosto si fonderebbero in
una sola realtà: non, dunque, l’umanità intera insieme a
Dio, ma un’unica realtà che è uomo-Dio.
In secondo luogo, il riferimento che Gentile fa alla poli-
gonia giobertiana per difendere la possibilità di procla-
mare cattolica la sua concezione della vita religiosa, pur
riconoscendo per essa una collocazione non ortodossa,
riapre non soltanto i problemi che la teoria della poligo-
nia da sempre si porta con sé, ma in contesto attualistico
richiede che ancora più urgentemente sia risolta la que-
stione del rapporto che l’Io trascendentale intrattiene con
gli io particolari ed empirici, e quindi sia risolto il pro-
blema della società trascendentale. Se questo tipo di rap-
porto viene impostato e risolto al modo solito (per l’at-
tualismo) del concreto (l’Io trascendentale) verso l’astratto
S
TUDI
Nuova Secondaria - n. 4 2016 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582
9. Cfr. ibi, p. 76.
Giovanni Gentile, Discorso agli italiani, Campidoglio,
24 giugno 1943.
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(i molti io empirici), pare che anche la società – in quanto
società dei molti soci – debba infine pensarsi come
un’astrazione che l’unico Io trascendentale ha solo da at-
traversare come una qualche sua negazione, senza però
potervi mai sostare definitivamente come si dovrebbe
pur fare se essa, anziché un’astrazione, fosse una concreta
verità, sulla quale poi sarebbe possibile innestare la per-
tinenza eventuale di una concreta poligonia
10
.
In terzo luogo, la possibilità inseguita da Gentile di ride-
finire mediante il prassismo assoluto dell’Io il messaggio
cristiano – e soprattutto quel lato di questo messaggio che
parla del rapporto che l’umanità salvata dall’incarnazione
avrebbe con le cose del mondo –, questa possibilità è quel
che pare più condizionato dall’esigenza tutta personale di
trovare anticipato nella propria fede ciò che per altra
strada si è andati elaborando nella propria teoria. Si tratta
certamente di un’esigenza molto umana e molto pratica.
Che però, quando si determina, risente inevitabilmente
tanto della ricezione soltanto ermeneutica che tocca al
contenuto di fede quando questo va spostandosi verso la
teoria, quanto pure delle fragilità e delle contraddizioni
che possono annidarsi all’interno di un sistema teorico. E,
va detto infine, proprio la pretesa attualistica che il mio at-
tuale pensare non sia l’apparire innanzi a me del mondo,
ma sia piuttosto il supremo atto pratico che del mondo se-
gna la più libera produzione, proprio questa pretesa è
quel che del grande discorso gentiliano deve essere più
fortemente contestato.
Paolo Bettineschi
Università di Padova
S
TUDI
Nuova Secondaria - n. 4 2016 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582
BIBLIOGRAFIA
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Critica della prassi assoluta. Analisi
dell’idealismo gentiliano, Orthotes, Napoli 2011.
Del Noce A.,
Giovanni Gentile. Per una interpretazione
filosofica della storia contemporanea, Il Mulino, Bologna 1990.
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Orthotes, Napoli-Salerno 2015.
Gentile G.,
I problemi della Scolastica e il pensiero italiano
(1913), Sansoni, Firenze 1963.
Gentile G.,
Il modernismo e i rapporti tra religione e filosofia
(1909), Sansoni, Firenze 1962.
Gentile G.,
Introduzione alla filosofia (1933), Sansoni, Firenze
1981.
Vigna C.,
Ragione e religione, Celuc, Milano 1971.
L
a dialettica gentiliana ha esercitato grande fascino
nei filosofi italiani del primo Novecento. La ra-
gione di tanto fascino è, in parte, legata alla per-
sonalità e al prestigio di Giovanni Gentile; in parte, è le-
gata al grande potere seduttivo dell’intuizione speculativa
che contiene e che è veramente geniale, nonostante la for-
mulazione, secondo cui i testi gentiliani la tramandano, sia
da rivedere. In ogni caso, la gentiliana dialetticità del
pensare si può a buon diritto considerare una cifra fulmi-
nante dell’inquietudine del nostro tempo.
Cercherò di rendere breve ragione anzitutto dell’intui-
zione geniale. Poi, accennerò alla fragilità teorica della
formula. Aggiungo subito che un complemento essenziale
di queste mie poche battute, oltre a quanto ho scritto
nella scheda introduttiva, è l’intervento di Marco Be-
landa, che dà conto della genesi di questa tesi attualistica
fondamentale.
La formulazione della dialettica gentiliana
Gli addetti ai lavori sanno bene che Gentile quasi a ogni
pagina dei suoi scritti evoca la dialetticità dell’atto. Scelgo
quindi per darne conto una sola citazione ad hoc, che pro-
viene dal suo testo più maturo, cioè dal Sistema di logica
come teoria del conoscere (vol. II, pp. 39-40)
1
.
«Il pensiero, scrive Gentile, è pensiero di sé: perciò autocrea-
zione, che è libertà; e quindi valore, verità. Ma, per essere pen-
siero di sé, deve pensare; e per pensare deve porsi come oggetto
di sé, e però come oggetto. Deve pensare qualcosa in cui rico-
noscerà se stesso, ma intanto non si riconosce. Deve rappre-
sentarsi l’oggetto nell’alterità onde questo si pone di fronte al
soggetto, ed è suo opposto. Se l’oggetto restasse opposto, quale
da prima si presenta al soggetto, esso, nella negazione assoluta
d’ogni soggettività, nella sua pura irrelatività o solitudine, re-
La dialettica
gentiliana
(rivisitata)
Carmelo Vigna
1. Le pp. sono quelle della vecchia edizione (classica) di Sansoni, Firenze
(1955-59). Della dialettica gentiliana pubblicai un’analisi critica nei miei anni
verdi (cfr. il mio Ragione e religione, CELUC, Milano 1971, pp. 127-202).
10. Cfr. G. Gentile, Genesi e struttura della società, Le Lettere, Firenze 2003.
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