Dicembre 2016 e ditoriale



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molteplicità degli oggetti pensati all’unità dell’Io-penso

segna lo stesso che l’immanenza di tutta la realtà all’Io.

Dunque, il concetto della trascendentalità dell’Io-penso o

dell’assoluta immanenza della realtà all’atto del pensare,

dicono esattamente che tra l’Io (che pensa) e la realtà (che

è) non può esserci nessun incolmabile abisso. Ma se l’Io

è l’Io dell’uomo, e se Dio è la suprema Realtà o l’Oggetto

che massimamente è, allora l’unità di uomo e Dio che si

annuncia nella religione cristiana è già intuizione della ve-

rità speculativa affermata dall’attualismo, in base a cui il

reale, nella sua concretezza, è la sintesi intrascendibile di

Io e non-Io, di soggetto e oggetto, di pensare e pensato.

Nella definizione di questa sintesi, che infine è sintesi di

umano e divino (il divino, si ricorderà, vale inizialmente

come il più grande non-Io), deve poi essere scorto di

nuovo il tema del prassismo, che a sua volta intende es-

sere lo sviluppo attualistico dell’affermazione cristiana

della realtà spirituale o dell’essenziale spiritualità della re-

altà


9

. Difatti, se lo spirito, a differenza della materia

inerte, è quel che vive e progredisce, allora lo spirito è

davvero spirito solo quando è pensiero in atto e in dive-

nire. Ma essendo pensiero in atto e in divenire, ed essendo

l’unica concreta realtà (che non presuppone nulla di là da

sé), lo spirito che è sintesi di uomo e Dio è pure il pro-

duttore del mondo oggettivo ed empirico che sempre al

suo interno, e sempre solo per suo tramite, si pone.

Così, nel ripensamento gentiliano del messaggio cri-

stiano, il Dio incarnato sembra proprio farsi identico al-

l’Io trascendentale o all’Io-penso in atto, i quali indicano

la realtà spirituale che si rende identica a sé mediante il

sacrificio dell’auto-negazione oggettuale. Il divino si

umanizza, rendendosi totalmente immanente all’atto

umano del pensare e coincidendo totalmente con que-

st’atto. E l’atto umano del pensare, che a sua volta coin-

cide totalmente con il divino, è infine l’atto dell’Io che

pensa e che pensando crea il mondo degli oggetti in forza

di un’auto-negazione che dev’essere costantemente fatta

e disfatta perché l’Io(-Dio) possa continuare a prodursi.

Com’è però intuibile, non sono mancate critiche all’inter-

pretazione del cristianesimo avanzata da Gentile, oltre a

quelle mosse alla sua più generale filosofia della reli-

gione. In un certo senso, potrebbe esser detto che il crite-

rio per individuare una destra e una sinistra attualistica è

passato proprio per la posizione che gli allievi diretti e in-

diretti di Gentile presero circa il problema del carattere re-

ligioso dell’idealismo attuale, e quindi circa il problema

dell’inevitabile auto-obiettivazione del pensiero. Ma, come

sempre accade in questi casi, le partizioni di schieramento

calate dall’alto spesso non hanno saputo vedere gli intrecci

di posizioni e le intersezioni teoriche che pure ci sono state

e che pure hanno avuto ragione di esserci.

Tuttavia, e comunque si affronti la questione della reli-

giosità dell’attualismo, resta che le polemiche più vivaci

che hanno gravitato attorno a questo punto della dottrina

si sono sviluppate proprio in merito alla lettura gentiliana

del cristianesimo, e poi alle dichiarazioni ripetute con cui

Gentile si era professato non soltanto cristiano, ma pure

cattolico (e da sempre cattolico).

Va allora osservato che per questo aspetto l’idealismo at-

tuale sembra poter essere colpito, più che da altri, da tre

rilievi critici che in qualche modo già furono posti, e che

ancora potrebbero essere mossi e proseguiti.

Anzitutto, il tentativo gentiliano di sviluppare il tema

cristiano dell’incarnazione, e quindi dell’unità dell’uma-

nità con Dio, più che risolvere il problema del necessario

avvicinamento dell’umano e del divino, pare aggirare la

questione della loro unione in favore di una loro identifi-

cazione senza residui. Umano e divino non vivrebbero più

come due distinti che arrivano a stare insieme senza es-

sere separati da un abisso, ma piuttosto si fonderebbero in

una sola realtà: non, dunque, l’umanità intera insieme a

Dio, ma un’unica realtà che è uomo-Dio.

In secondo luogo, il riferimento che Gentile fa alla poli-

gonia giobertiana per difendere la possibilità di procla-

mare cattolica la sua concezione della vita religiosa, pur

riconoscendo per essa una collocazione non ortodossa,

riapre non soltanto i problemi che la teoria della poligo-

nia da sempre si porta con sé, ma in contesto attualistico

richiede che ancora più urgentemente sia risolta la que-

stione del rapporto che l’Io trascendentale intrattiene con

gli io particolari ed empirici, e quindi sia risolto il pro-

blema della società trascendentale. Se questo tipo di rap-

porto viene impostato e risolto al modo solito (per l’at-

tualismo) del concreto (l’Io trascendentale) verso l’astratto

S

TUDI

Nuova Secondaria - n. 4 2016 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

9. Cfr. ibi, p. 76.

Giovanni Gentile, Discorso agli italiani, Campidoglio, 

24 giugno 1943.

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(i molti io empirici), pare che anche la società – in quanto

società dei molti soci – debba infine pensarsi come

un’astrazione che l’unico Io trascendentale ha solo da at-

traversare come una qualche sua negazione, senza però

potervi mai sostare definitivamente come si dovrebbe

pur fare se essa, anziché un’astrazione, fosse una concreta

verità, sulla quale poi sarebbe possibile innestare la per-

tinenza eventuale di una concreta poligonia

10

.



In terzo luogo, la possibilità inseguita da Gentile di ride-

finire mediante il prassismo assoluto dell’Io il messaggio

cristiano – e soprattutto quel lato di questo messaggio che

parla del rapporto che l’umanità salvata dall’incarnazione

avrebbe con le cose del mondo –, questa possibilità è quel

che pare più condizionato dall’esigenza tutta personale di

trovare anticipato nella propria fede ciò che per altra

strada si è andati elaborando nella propria teoria. Si tratta

certamente di un’esigenza molto umana e molto pratica.

Che però, quando si determina, risente inevitabilmente

tanto della ricezione soltanto ermeneutica che tocca al

contenuto di fede quando questo va spostandosi verso la

teoria, quanto pure delle fragilità e delle contraddizioni

che possono annidarsi all’interno di un sistema teorico. E,

va detto infine, proprio la pretesa attualistica che il mio at-

tuale pensare non sia l’apparire innanzi a me del mondo,

ma sia piuttosto il supremo atto pratico che del mondo se-

gna la più libera produzione, proprio questa pretesa è

quel che del grande discorso gentiliano deve essere più

fortemente contestato.



Paolo Bettineschi

Università di Padova

S

TUDI

Nuova Secondaria - n. 4 2016 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

 BIBLIOGRAFIA



Bettineschi P.Critica della prassi assoluta. Analisi

dell’idealismo gentiliano, Orthotes, Napoli 2011.

Del Noce A.Giovanni Gentile. Per una interpretazione

filosofica della storia contemporanea, Il Mulino, Bologna 1990.

Gentile G.Discorsi di religione (1920), a cura di P. Bettineschi,

Orthotes, Napoli-Salerno 2015.



Gentile G.I problemi della Scolastica e il pensiero italiano

(1913), Sansoni, Firenze 1963.



Gentile G.Il modernismo e i rapporti tra religione e filosofia

(1909), Sansoni, Firenze 1962. 



Gentile G.Introduzione alla filosofia (1933), Sansoni, Firenze

1981.


Vigna C.Ragione e religione, Celuc, Milano 1971.

L

a dialettica gentiliana ha esercitato grande fascino



nei filosofi italiani del primo Novecento. La ra-

gione di tanto fascino è, in parte, legata alla per-

sonalità e al prestigio di Giovanni Gentile; in parte, è le-

gata al grande potere seduttivo dell’intuizione speculativa

che contiene e che è veramente geniale, nonostante la for-

mulazione, secondo cui i testi gentiliani la tramandano, sia

da rivedere. In ogni caso, la gentiliana dialetticità del

pensare si può a buon diritto considerare una cifra fulmi-

nante dell’inquietudine del nostro tempo.

Cercherò di rendere breve ragione anzitutto dell’intui-

zione geniale. Poi, accennerò alla fragilità teorica della

formula. Aggiungo subito che un complemento essenziale

di queste mie poche battute, oltre a quanto ho scritto

nella scheda introduttiva, è l’intervento di Marco Be-

landa, che dà conto della genesi di questa tesi attualistica

fondamentale.



La formulazione della dialettica gentiliana

Gli addetti ai lavori sanno bene che Gentile quasi a ogni

pagina dei suoi scritti evoca la dialetticità dell’atto. Scelgo

quindi per darne conto una sola citazione ad hoc, che pro-

viene dal suo testo più maturo, cioè dal Sistema di logica

come teoria del conoscere (vol. II, pp. 39-40)

1

.



«Il pensiero, scrive Gentile, è pensiero di sé: perciò autocrea-

zione, che è libertà; e quindi valore, verità. Ma, per essere pen-

siero di sé, deve pensare; e per pensare deve porsi come oggetto

di sé, e però come oggetto. Deve pensare qualcosa in cui rico-

noscerà se stesso, ma intanto non si riconosce. Deve rappre-

sentarsi l’oggetto nell’alterità onde questo si pone di fronte al

soggetto, ed è suo opposto. Se l’oggetto restasse opposto, quale

da prima si presenta al soggetto, esso, nella negazione assoluta

d’ogni soggettività, nella sua pura irrelatività o solitudine, re-

La dialettica

gentiliana

(rivisitata)

Carmelo Vigna

1. Le pp. sono quelle della vecchia edizione (classica) di Sansoni, Firenze

(1955-59). Della dialettica gentiliana pubblicai un’analisi critica nei miei anni

verdi (cfr. il mio Ragione e religione, CELUC, Milano 1971, pp. 127-202).

10. Cfr. G. Gentile, Genesi e struttura della società, Le Lettere, Firenze 2003.

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