Dicembre 2016 e ditoriale



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trascendentale dello spirito. Essa non ha natura di pensato,

ma è «lo stesso pensiero come atto del pensare, onde si co-

stituisce il pensato» (pp. 3-5).

L’“abisso” che sussiste fra la dialettica platonica, o del

pensato, e la dialettica kantiana-hegeliana, o del pensare

(p. 5)

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, andrebbe riferito al corrispondente concetto di ve-



rità, concepita dagli antichi come oggettività o adegua-

zione a un presunto reale esteriore e ab aeterno determi-

nato, viceversa identificata da Kant ed Hegel col pensiero,

cioè con un pensiero che «non conosce mondo che già sia

(che sarebbe un pensato)», stante il fatto che «tutto ciò che

si può pensare della realtà […] presuppone l’atto stesso

del pensare» (p. 6). 

Hegel, valorizzando l’Io penso kantiano, avrebbe accer-

tato che «tutta la molteplicità delle categorie […] si ri-

solve, in fine, nella concreta categoria (sola concreta ca-

tegoria) dell’idea assoluta» (p. 9). Detto diversamente,

l’idea hegeliana equivarrebbe al «sistema delle categorie,

nel senso kantiano» (p. 8). Fin qui il giudizio su Hegel

suona positivo.

Ma, avverte Gentile, si tratta di capire quale sia la risolu-

zione delle molteplici categorie nell’idea assoluta. Giac-

ché il rischio è che queste vengano ipostatizzate. Hegel

«tende col suo metodo dialettico ad annullarne il nu-

mero, mercé […] la legge del superamento (aufheben

(p. 9); ma intanto fa proliferare la dialettica in sottopro-

cessi che si mediano in se stessi assumendo i connotati di

autonoma concretezza, connotati che, viceversa, compe-

tono esclusivamente all’unico processo del pensare. In

particolare Hegel ritiene che l’essere possa, mediandosi

in sé, superarsi nel divenire (cfr. p. 10), laddove in realtà

l’unico divenire risiede nell’atto del pensare. 

Questa critica all’hegelismo suona definitiva e drastica, a

tal punto che Gentile poté confessare a Croce che il pro-

prio saggio, più che riformatore, era «piuttosto rivolu-

zionario» (Lettere a Benedetto Croce, vol. IV, Sansoni, Fi-

renze 1980, p. 200. Lettera del 28 ottobre 1912). 

Senonché Gentile era animato anche dal desiderio di con-

solidare la dialetticità del pensiero, mediante una più si-

cura identificazione del pensiero col divenire in generale

e non una mera riconduzione di quest’ultimo al pensiero

come sua condizione di concretezza. 

Così egli entra nel merito del dibattito sulla dialettica, ri-

chiamando in primo luogo l’obiezione mossa da Trende-

lenburg a Hegel relativamente alla mancanza di un’au-

tentica contraddizione tra essere e nulla definiti entrambi

quali assoluta indeterminatezza. A questa stregua, infatti,

la loro differenza non è rilevabile immediatamente ma

solo mediante il ricorso all’opinione (Meinung), cioè alla

credenza doxastica per cui essere e nulla sono considerati

opposti (cfr. pp. 20-21). 

Gentile assegna un ruolo speciale anche a Kuno Fi-

scher. Questi, alla ricerca della differenza che spinge-

rebbe le categorie iniziali della logica a superarsi nel di-

venire, aveva indicato come soluzione il riferimento

dell’essere al pensiero. Nel contesto conoscitivo il con-

cetto di essere risultava infatti contraddittorio, stante la

sua immobilità e indeterminatezza a fronte del movi-

mento e della determinatezza che connoterebbero il pen-

siero (cfr. pp. 24-25). 

Sulla stessa linea di integrazione dell’hegelismo viene da

Gentile collocato Spaventa e il suo sforzo di «infondere

nella categoria dell’essere la vita del pensiero come pen-

sare». Essere e nulla appaiono infatti come astrazioni ri-

spetto al divenire, al pensiero del divenire, unico pensiero

concreto. Pensando l’essere, spiega Spaventa, io posso su-

perare la distinzione tra pensare e pensato e astrarre da me

stesso, dal mio pensare, concentrandomi sull’essere ed

estinguendomi in esso; tuttavia questo estinguersi è im-

possibile, perché fare astrazione dal pensare «è astra-

zione e perciò pensare» e quindi distinguersi dall’essere

(pp. 27-28).

La riforma in chiave trascendentale della dialettica era

dunque già avviata dai commentatori di Hegel. Ma Gen-

tile non ne è soddisfatto, anzi egli censura quale «di-

fetto» della posizione spaventiana «la dualità permanente



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Nuova Secondaria - n. 4 2016 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582

6. Gentile, in questo e in molti altri luoghi, muove dalla contrapposizione tra pen-

sato e pensare, non da quella tra pensato e pensante. Su questa base egli ha buon

gioco a obiettare che ciò che è pensato non può esistere indipendentemente dal

pensare (o pensiero), pensare che dunque viene celebrato anche come radice dello

stesso pensato. Ma il fatto è che la contrapposizione tra pensare e pensato è, da

un punto di vista intenzionale, inesistente.



Giovanni Gentile (1875-1944).

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di astratto e astrazione», l’uno concepito come alterità o

negazione assoluta dell’altro (p. 28). 

Gentile ammette il progresso compiuto da Spaventa in un

inedito del 1881 e concorda con lui nel ritenere che il di-

venire hegeliano, più che l’essere o il non essere, sia il

«capitale principio della dialettica del pensiero». Ma qual

è «il vero modo d’intender[lo]»? Ebbene, secondo Gen-

tile, occorre «risolve[re] completamente il processo dia-

lettico […] nel puro atto del pensare: dov’è la vera liqui-

dazione del trascendente, e l’inveramento dell’hegelismo

come dialettica trascendentale, e quindi assoluto imma-

nentismo» (pp. 36-37).

Come? Gentile risponde che le aporie della dialettica he-

geliana dileguano non «appena la dialettica si consideri,

senza preoccupazioni, in quella luce in cui Hegel, dopo

Kant e Fichte, l’aveva pur chiaramente posta: nell’attua-

lità del pensare. Se l’essere non è più un’idea in sé, ma una

categoria, e categoria è atto mentale, come può – chiede

Gentile – realizzarsi l’atto della mente altrimenti che

come unità di essere e non essere, cioè divenire? L’atto si

fa,  fit, diviene. È, in quanto diviene. Non può essere

prima di divenire. Quando è semplicemente, non è. L’es-

sere di una cosa o di un’idea platonica è: ma l’essere di

un  cogitatum come  cogitatio, come ipsum intelligere

(atto) si fa: l’essere suo consiste nel realizzarsi» (p. 38).



Una soluzione non persuasiva

La soluzione non persuade. Gentile di fatto invita ad ab-

bandonare la deduzione del divenire o per lo meno chiede

di affrontarla traslandola su un piano differente. Ma in

questo egli dà per scontato ciò che deve dimostrare, cioè

che il pensare sia esclusivamente, in termini intenzionali,

un processo dialettico anziché anche la presentazione

adialettica dell’essere. Peraltro, quand’anche si accet-

tasse che il pensare è divenire formalmente (anziché quo-

dammodo, come sostenevano gli scolastici), questo non

sarebbe sufficiente a provare la natura dialettica del pen-

siero, per cui, secondo l’attualismo, il soggetto non di-

viene semplicemente qualcosa di diverso (che in parte è

e in parte non è il soggetto originario), ma pone o crea il

suo opposto e anzi impone attivamente il proprio radicale

annullamento. Infine Gentile dovrebbe dimostrare che il

divenire in generale è pensiero, mentre egli si accontenta

di accertare tale identità con riferimento al “divenire he-

geliano”. In questo modo la sua argomentazione si rende

debitrice della semantizzazione delle prime categorie

della logica adottata da Hegel, perdendo in radicalità. 

In effetti Roberto Morani, nello scritto più ampio oggi di-

sponibile sulla materia, ha contestato con forza il valore

della “riforma” operata da Gentile, cioè la sua aderenza

storiografica e la sua continuità teoretica con l’hegelismo.

Ritengo però che su un punto specifico il giudizio possa

essere meno severo. 

Si può convenire che Gentile, benché idealista, non fosse

hegeliano o neohegeliano. La sua attenzione era rivolta

esclusivamente al pensiero pensante, non all’Idea, alla Na-

tura o allo Spirito oggettivo. Ma perché escludere, contro

l’indicazione di Gentile per la quale il proprio attualismo

«move appunto dalla equazione del divenire hegeliano

con l’atto del pensiero»

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, l’esistenza di una parziale con-



tinuità tra le due filosofie sul punto specifico della dia-

lettica e del divenire?

Effettivamente Gentile trae da Hegel, non da altri, la con-

vinzione che la dialettica sia la legge della realtà, ancor-

ché differenziandone l’ambito di applicazione. Non solo,

ma il contesto cui Gentile applica la processualità dialet-

tica è tale da spingerlo a valorizzare lo schema triadico

nella declinazione non ontica, per così dire, datane da He-

gel in sede di analisi del divenire. 

La dialettica attualistica del pensiero, cioè il “divenire as-

soluto”, presenta molte delle caratteristiche del divenire

descritto nella Scienza della logica, proprio come segna-

lato da Gentile. Il divenire in questione, oltre ad avere na-

tura antitetica, non è predicato di un essere diveniente/di-

venuto o di un essere determinato, cioè non inerisce a una

sostanza alla stregua di un divenire naturalistico, ma è

puro fluire o assoluta dinamicità. È dinamismo eterno.

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7. La riforma della dialettica hegeliana, cit., p. VII.

Giovanni Gentile e Benito Mussolini.

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