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Ma questo è impossibile. Impossibile è infatti che l’essere (assolutamente preso) sia lo stesso che
niente (grande tautologia di Parmenide, da Bontadini costantemente e giustamente evocata).
La verità di Gentile
L’“errore” di Gentile sta tutto, dunque, nella difesa (speculativa) della “produttività assoluta”
(della “creatività”) dell’atto (tesi poi non sua, in fondo, ma di Hegel). La verità di Gentile (e la
grandezza del suo fascino) sta tutta, invece, nell’aver intravisto una rigorosa “logica della pre-
senza”. Quella che poi insegnerà Bontadini. Che costantemente avvertirà: consta la trascenden-
tale capacità deponente dell’atto del pensare (ciò che Hegel chiamava «l’immenso potere nega-
tivo del pensiero»); non consta affatto, invece, la trascendentale capacità ponente dell’atto del
pensare. Anzi, noi per lo più constatiamo una radicale impotenza sulle cose e persino sulla no-
stra vita (ed è questo che fa ora triste la nostra società liquida).
Le varie “schede” sulla filosofia di Gentile, che seguono questa Introduzione, sono scritte con
la consapevolezza di questa “grandezza” e di questa “miseria” dell’attualismo; ma pure sono
scritte con la consapevolezza che Gentile è un pensatore che ha fatto “epoca”. Come tutti i grandi
pensatori.
Carmelo Vigna
Università Ca’ Foscari, Venezia
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TUDI
Nuova Secondaria - n. 4 2016 - Anno XXXIV - ISSN 1828-4582
H
egel non fu il “primo autore” di Gentile. Nella sua
formazione (1893-98) egli incontrò l’idealismo di
Jaja e Spaventa, fu affascinato dalla sintesi a
priori kantiana e approfondì il pensiero di Rosmini, Gio-
berti e Marx. L’interesse per Hegel emerse in seguito.
Così, ne La filosofia della prassi del 1899 Gentile conte-
stò la riforma della dialettica hegeliana tentata da Marx
mostrando di possedere una discreta conoscenza di Hegel.
Nello stesso anno il suo interesse per il filosofo di Stoc-
carda crebbe in occasione della riedizione delle opere di
Spaventa, attività che lo spinse alla radice dell’hegelismo
spaventiano consigliandogli lo studio dei maggiori testi di
Hegel.
Nel 1902 Gentile difese Spaventa e l’hegelismo dalle
critiche empiristiche mosse da Varisco. Di Hegel Gentile
accettava la nozione di essere (considerata come l’idea più
povera di determinazioni, una sorta di “ischeletrimento
della realtà!”
1
e però non vuota, al pari delle categorie kan-
tiane); concordava con la contraddittorietà
del divenire
quale unità di essere e non-essere; ma non escludeva che
rispetto a quest’ultima dottrina potessero sorgere obie-
zioni. Per usare le espressioni crociane
2
, egli non scorgeva
come l’anatomia praticata da Hegel spiegasse la fisiolo-
gia del movimento.
Ne La rinascita dell’idealismo del 1903 Gentile accentuò
l’adesione all’hegelismo. Ma per lui lo spirito era essen-
zialmente spirito soggettivo e questo andava ricondotto al
conoscere. Negli stessi anni, simmetricamente, egli non
mancava di interpretare il kantismo in chiave idealistica,
descrivendolo come «virtuale formalismo assoluto», se-
condo una formula prossima a quella poi adottata per qua-
lificare il proprio attualismo.
Nel saggio Origine e significato della Logica di Hegel
(1904) sosteneva che «hegeliani si è veramente se, ac-
cettando la logica hegeliana, non si accettano in blocco la
dottrina della natura e quella dello spirito, ma si rifanno,
quando occorra, hegelianamente». Riteneva altresì che la
logica hegeliana andasse valorizzata non in senso aristo-
telico, ma in chiave trascendentale, cioè come dottrina del
pensiero pensante, peraltro coincidente, secondo l’inse-
gnamento di Hegel, col reale
3
.
Un hegelismo critico
Gentile reagiva con fastidio a chi lo definiva hegeliano
(Croce) o appartenente alla chiesa hegeliana (Prezzolini).
Egli infatti andava maturando un hegelismo via via più
critico. Così, negli anni 1906-1907, sosteneva che «l’he-
gelismo [anda]va profondamente corretto non per la li-
mitazione della portata della dialettica [come proponeva
Croce], ma, al contrario, per un’applicazione più rigorosa
della universalità e assolutezza di essa», sulla base di
una sua «riforma sostanziale»
4
. Il lato formale della dia-
lettica andava invece salvaguardato.
Il giudizio sulla dialettica di Hegel si assestò negli anni
1909-13, mantenendo la giovanile curvatura gnoseolo-
gica, senza più subire variazioni significative.
Le forme assolute dello spirito (1909) sono lo scritto più
hegeliano di Gentile, anche se già il titolo suona etero-
dosso nel riferirsi alle forme assolute dello spirito e non
alle forme dello spirito assoluto. Per Gentile lo spirito è
l’autocoscienza che si manifesta nell’arte, nella religione
e soprattutto nella filosofia, non in altre presunte forme di
spiritualità. Queste ultime vengono considerate relative in
quanto oggetti che presuppongono lo “spirito teoretico”
5
.
L’arte, la religione e la filosofia sono fatte corrispondere
alla posizione del soggetto, dell’oggetto e della loro sin-
tesi. Le prime due posizioni sono momenti trascendentali
dello spirito, solo logicamente distinguibili, costituenti in-
sieme l’unità immanente dello spirito. Ciascuna di tali po-
sizioni è un concetto per sé contraddittorio (p. 262) e la
relazione che lega i due momenti è intrinseca a tal punto
che «ciascuno dovrebbe essere altro dall’altro; ed è iden-
tico. La loro contraddizione si risolve nell’unità» dialet-
tica che costituisce lo spirito (p. 263) e che coincide con
la filosofia.
Gentile e la riforma
della dialettica hegeliana
Marco Berlanda
1. B. Croce,
Ciò che è vivo e ciò che è morto della filosofia di Hegel, Laterza,
Bari 1907, p. 6.
2. Ibi, cit., p. 20.
3. Il saggio fu ristampato ne
La riforma della dialettica hegeliana (1913). Rife-
rimenti tratti dalle pp. 74 e 80 della terza edizione, Sansoni, Firenze 1954.
4. Lettere a Benedetto Croce, cit., vol. III, p. 9 (lettera del 4 gennaio 1907) e p.
27 (28 gennaio 1907).
5. Si veda la ristampa in
La religione, Sansoni, Firenze 1965, p. 260.
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