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Alcune considerazioni sulla presenza ebraica in Sicilia nel Medioevo
samente e politicamente dalla popolazione maggioritaria dominante, ma comunque
costantemente presente.
6
L’interesse per la storia dell’ebraismo siciliano di studiosi, quali Ashtor, Abu-
lafia, Bresc, Goitien, Roth, Simonsohn, è stato incrementato dal fatto che nel me-
dioevo, come scrive Carmelo Trasselli: «nessuna regione italiana aveva tanti gruppi
numerosi quanti ne aveva la Sicilia».
7
Al momento dell’espulsione la cifra si aggira tra i trentaciquemila e i cinquantamila.
Per capire il valore di tale numero bisogna tener presente che gli ebrei italiani
nello stesso periodo, compresi i siciliani, si aggiravano sui settantamila, mentre in
Spagna erano duecentomila.
La popolazione ebraica costituiva il cinque per cento della popolazione isolana.
8
La giudecca di Palermo e di Siracusa constava di cinquemila ebrei, Messina e
Trapani di duemila e cinquecento; Agrigento e Catania duemila.
Tali numeri sono importanti perché rendono l’idea precisa della loro massiccia
presenza, tanto da poter parlare di città ebraiche situate all’interno delle città cristiane.
Scrive Attilio Milano:
Palermo era il maggiore centro di vita ebraica di tutta Italia. Questo primato
demografico si era andato formando durante la prospera età dell’emirato arabo;
si mantenne poi saldo durante le due dominazioni normanna e sveva le quali,
con Palermo opulenta capitale del regno di Sicilia, significarono per gli ebrei
un’era di benessere ancora più accentuato […] questo primato numerico, il
concentramento di ebrei in tutta la Sicilia trovarono la loro maggiore forza coe-
siva nel fatto che, anche durante il periodo normanno, la coesistenza nell’isola
di ceti diversi per origine etnica e per religione, ma tutti parimenti influenti,
imponeva un trattamento politico equiparato nei riguardi di ciascuno, o per lo
meno distinzioni non troppo stridenti. Così, nelle leggi normanne, gli ebrei
vengono riconosciuti come cittadini di pieni diritti […].
9
Nel 1492, in Sicilia esistevano una cinquantina di giudecche. Le giudecche
erano per alcuni aspetti quartieri ebraici situati all’interno delle varie comunità cri-
stiane; per altri aspetti erano invece enti amministrativi autonomi dotati di persona-
lità giuridica propria. L’amministrazione della giudecca era diversa dall’amministra-
zione cittadina. Con il nome giudecca si intende tutta la comunità ebraica di una data
6
F. R
enDa
,
Gli ebrei prima e dopo il 1492, in
Italia Judaica V, cit., p. 35.
7
C. t
RasseLLi
, Sulla diffusione degli ebrei e sull’importanza della cultura e della lingua ebrai-
ca in Sicilia, particolarmente in Trapani e in Palermo nel scec. XV, Palermo 1954, pp. 376-382.
8
Ad esempio David Abulafia sostiene che nonostante sia difficile stabilire un numero preciso è
probabile che gli ebrei costituissero il cinque per cento della popolazione totale. Cfr. D. a
BuLaFia
,
Gli
ebrei di Sicilia sotto i Normanni e gli Hohenstaufen, in
Ebrei e Sicilia, Palermo 2002, p. 70.
9
a. M
iLano
,
Storia degli ebrei in Italia, Torino 1963, p. 92.
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Luciana Pepi
località e si intende anche la
civitas giudaica, ossia l’organizzazione istituzionale
e relativa rappresentanza amministrativa e religiosa. In quanto
civitas giudaica, la
giudecca era di pari dignità della
civitas cristiana, e come tale era dotata di organi
propri preposti al governo della comunità, al culto, alla scuola, all’osservanza degli
usi, costumi e pratiche conformi alla legge mosaica. Le leggi delle città erano quelle
cristiane, le leggi delle giudecche erano quelle mosaiche. In tal senso, la comunità
giudaica
era a tutti gli effetti, sia di fatto che di diritto, una città dentro la città.
L’ebreo siciliano era giuridicamente, anagraficamente, socialmente, cittadino
siciliano, ma in quanto ebreo era, nello stesso tempo un servo della Regia Camera,
servi regiae camerae, condizione che lo accomunava all’ebreo della maggior parte
dei paesi europei: gli ebrei e i loro beni appartenevano al re. L’istituzione del servo
della Regia camera era un regime ambiguo, che di fatto nella condizione siciliana
nulla toglieva alla libertà personale, politica e religiosa dell’ebreo singolo, anzi di
quella libertà era per molti aspetti garante. Il termine s
ervi era il segno di una par-
ticolare condizione giuridica di totale subordinazione al potere sovrano sotto la cui
giurisdizione si trovavano, ma anche della particolare protezione di cui godevano,
che si esercitava però solo quando tale potere riusciva ad imporsi, escludendo inter-
venti di altre autorità laiche o ecclesiastiche tendenti ad imporre obblighi e a vantare
diritti sulle varie comunità ebraiche dell’isola.
Come mette bene in luce il Lagumina:
il titolo aveva due lati: il buono e il cattivo. Il buono perché l’autorità politica
di Sicilia sempre pretese che i servi della Corona fossero lasciati vivere in
pace, con piena libertà l’esercizio del loro culto religioso; ed il cattivo perché
la vita dei protetti della suprema autorità politica era veramente penosa. Gli
ebrei erano “proprietà” del re. Si cercava in tutti i modi di spillare loro quanto
più denaro si potesse […]. I giudei di Sicilia erano sempre alle prese con il
regio fisco per le tasse, per le contribuzioni e per le gabelle cui erano sottoposti
tutto questo doveva produrre un grande avvilimento morale […].
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Numerosissime, infatti, erano le tasse che gli ebrei siciliani erano costretti
a pagare: su svariati alimenti (quali, ad esempio, formaggio, tonno), su qualsiasi
scambio di merci, ed inoltre quelle attinenti all’osservanza delle prescrizioni reli-
giose, come le gabelle sulla mattazione degli animali e sui vini.
11
Svariate erano le
occasioni per richiedere gravami straordinari.
10
B.
e
G. L
aGuMina
,
Codice diplomatico dei Giudei di Sicilia, Palermo 1884/1909, 3 voll. Ri-
stampa a cura della Società
Siciliana di Storia Patria, Palermo 1990, vol. III, pp. VIII-IX.
11
Per quanto riguarda la descrizione dettagliata di tutte le varie tasse e gabelle si vedano a.
M
iLano
, cit., pp. 174-175; D. a
BuLaFia
,
Le attività economiche degli ebrei siciliani attorno al 1300, in
Italia Judaica V, 1995, cit., pp. 89-95.