168
stesso imperatore Giustiniano, come si può osservare in una costituzione
in lingua greca del 534.
CI. 1, 3, 55 (57), pr.
Ὁ aÙtÕς basileÝς Ἰ ωάννῃ ἐp£rcῳ praitwpίwn. Ὁ parën nÒmoj
eἰj ἑtέrou nÒmou gegrammέnou par/¹μῶn ἀnafšretai mn»μην, Öν dὴ
kaὶ aâθις ἐpikurῶsai metά tinoς kallίονος òήθημεν χρῆνai
prosθήkης, meίzoνa poiν¾ν kat¦ tῶn plhmmeloÚντwν ἐkfέroνteς,
oÙc Óti taῖ ς aὐxήsesi caίromen tîn poinîn (oÙdὲν g¦r ¹μῖ ν
oὕtwj æj filanqrwpίa kataqÚμion), ¢ll/ἴ nα tῷ dέei tῆς timwrίαj
toÝj ¡mart£nein proῃrηmέnouj toà plηmmeleῖ n eἴ rξwmen ... D.
prid. id. Sept. Constantinopoli dn. Iustiniano pp. A. IIII et Paulino vc.
conss. [a. 534] (
28
).
L’imperatore dichiara che, quando viene stabilito un aumento di
pena, ciò accade non perché sia per lui motivo di rallegramento, ma per
allontanare dalla colpa coloro che sono inclini a peccare.
Si veda anche CI. 9, 13, 1, 3 in cui l’imperatore fa affidamento sul
metus atrocitatis poenae per prevenire la commissione dei reati (
29
):
CI. 9, 13, 1, 3b
Imp. Iustinianus A. Hermogeni magistro officiorum ... Si enim ipsi
raptores metu atrocitatis poenae ab huiusmodi facinore temperaverint se,
nulli mulieri sive volenti sive nolenti peccandi locus relinquetur, quia hoc
ipsum velle mulieri ab insidiis nequissimi hominis qui meditatur rapinam
non remitti poenam facile publice intersit, ne ad maleficia temere quisquiam prosiliat.
(
28
) Trad. a cura dell’A.: “La presente legge è fatta per richiamare la memoria di un’altra
legge scritta da noi, che abbiamo ritenuto di dover ribadire di nuovo con una migliore
aggiunta, aumentando la pena contro i trasgressori, non perché ci piace accrescere le pene
(nulla infatti ci è tanto gradito quanto l’humanitas), ma per allontanare dall’errore, col
timore della pena, quelli che sono più inclini al peccato”.
(
29
) Trattando del grave crimine di ratto, il legislatore osserva che, se saranno gli stessi
rapitori ad astenersi dal delitto per paura della crudeltà della pena (la sanzione è dunque
prevista soprattutto come monito ed esempio) alla donna, sia consenziente sia contraria,
non rimarrà occasione di peccare, dato che la sua volontà è piegata dalle insidie degli
uomini.
169
inducitur ... D. XV k. Dec. Constantinopoli dn. Iustiniano pp. A. III
cons. [a. 533].
Nov. 17, 5, 3 del 535 offre un ulteriore esempio di manifestazione
dello scopo deterrente della pena:
Nov. 17, 5, 3
Toioàton d paršxeij sautÕn ¤pasi dhmos…v te kaˆ „d…v, éjte
foberètaton mn enai to‹j ¡mart£nousi kaˆ to‹j ¢gnwmonoàsi
prÕj tÕ dhmÒsion, ¹merètaton d kaˆ pr´on ¤pasi to‹j
™pieikestšroij kaˆ eÙgnèmosi, kaˆ patrik¾n aÙto‹j e„j£gein
prÒnoian (
30
).
La ragione di questo passaggio da una concezione distributiva a una
deterrente della pena può essere ricercata nel mutamento di numerosi
fattori politici e sociali, in primo luogo l’accentuarsi, in età postclassica,
dell’assolutismo del potere centrale e di conseguenza della soggezione del
cittadino-suddito all’autorità statuale: lo Stato si fa carico della tutela
dell’ordine pubblico e a questo fine punisce i reati non tanto per realizzare
una perequazione tra delitto e pena, quanto per prevenire la commissione
del delitto stesso.
Motivi di interesse collettivo inducono quindi a sacrificare l’interesse
del reo per il bene di tutti: si tratta di una concezione già presente negli
scritti di filosofi e letterati (
31
) e ribadita anche in diverse costituzioni
imperiali; si veda, a titolo esemplificativo, CI. 9, 27, 1 che esordisce proprio
con queste parole: Ut unius poena metus possit esse multorum.
L’espressione “publica disciplina”, traducibile non solo come ordine
pubblico ma anche come pubblica utilità, fa la sua comparsa in numerose
leggi imperiali, soprattutto in materia pubblicistica. Si vedano ad esempio
Nov. 7, 2, 1: Sinimus… imperio, si qua communis commoditas est et ad
(
30
) Authenticum: Talem vero praebebis temetipsum omnibus publice et privatim, ut terribilis
quidem sis delinquentibus et indevotis circa fiscalia, mansuetissimus autem et mitis omnibus
placidis et devotis et paternam eis exhibens providentiam.
(
31
) Si veda in questo capitolo il precedente paragrafo 2.
170
utilitatem reipublicae respiciens causa e Nov. 82, 14: Universis haec fiant
manifesta, et discant quia per omnia nobis cura est eorum utilitatis pariter et
aequitatis (
32
).
(
32
)
D
E
R
OBERTIS
, La funzione della pena nel diritto romano, cit., p. 31, nota 123: a questo
proposito è significativa una Novella di Valentiniano III (Nov. 10, pr.) ai sensi della quale:
Impp. Theod(osius) et Valent(inianus) AA. Maximo II p(raefecto) p(raetorio). Cum publice
privatimque in omnibus rebus ac negotiis iustitiam conservari oportet tum praecipue in his
tenenda est, quae vectigalium nervos sustinent, quoniam adtenuatis devotorum viribus utili
aequitate succurunt. Quod plurimi respuunt, qui domesticis tantum compendiis obsequentes
bonum commune destituunt, quo vera ac solida utilitas continetur melius plane ad singulos
perveniens, cum profecerit universis, maxime exigente hac tributorum necessitate, sine quibus
nihil in pace aut bello curari potest. (...) Dat. X kal. Mart. Rav(ennae):
le esigenze individuali
passano in secondo piano rispetto al bene comune, all’utilità di tutti. Si veda anche CI. 9,
30, 1 del 384: Imppp. Gratianus Valentinianus et Theodosius AAA. Florentio praefecto
Augustali. Si quis contra evidentissimam iussionem suscipere plebem et adversus publicam
disciplinam defendere fortasse temptaverit, multam gravissimam sustinebunt. D. XIII k. Ian.
Constantinopoli Ricomene et Clearcho conss. [a. 384]. Risalente all’epoca del dominato è
invece una costituzione degli imperatori Diocleziano e Massimiano, CI. 9, 2, 10 del 290:
Impp. Diocletianus Maximianus AA. Ursae. Qui explicandi negotii spem, cuius finis in
iudicis potestate ac motu situs est, pollicetur, non minus ob illicitam sponsionem crimen contrahi,
quam qui ad hiusmodi promissionis commercium contra disciplinam publicam adspirat. Pp. XIIII
k. Sept. Basso et Quintiano conss. [a. 289]. Interessante è l’osservazione di G.
L
ONGO
,
“Utilitas publica”, in Labeo XVIII, 1972, pp. 63-71, che distingue fra la concezione di utilitas
publica vigente durante il principato e il dominato fino a Diocleziano e quella che si
afferma in seguito, in particolare all’interno della compilazione giustinianea: se prima
l’interesse dello Stato e l’utilitas omnium erano concetti indifferenziati, in seguito – con il
graduale affermarsi di una visione assolutistica del potere – l’interesse pubblico, in
quanto inerente alla sovranità dello Stato, diviene indipendente e superiore alla
commoditas omnium. Talvolta anche l’interesse meramente fiscale è giudicato primario
rispetto all’interesse della collettività e come tale va protetto. L’Autore conclude con la
riflessione che in età giustinianea un interesse è pubblico e istituzionale se viene ritenuto
tale dal potere imperiale, senza che necessariamente coincida con l’utilitas universorum.
G
IOFFREDI
, I principi del diritto penale romano, cit., pp. 41-61 esprime lo stesso concetto
quando afferma che, nel periodo postclassico, la repressione dello Stato non costituisce
più un appoggio all’impulso di vendetta da parte del privato: la concezione sociale e
autoritativa prevale su quella individuale per cui lo Stato reagisce esclusivamente a tutela
di quell’ordine pubblico a cui il suddito deve soggiacere.
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