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proprio dello Stato quello di contenere la vendetta privata e di evitare una
serie di rappresaglie e di violenze sproporzionate rispetto al reato
commesso, garantendo così la giusta misura della pena.
La speculazione dei filosofi greci porta dunque i Romani a dare
rilievo, oltre alla funzione repressiva e di retribuzione, anche a quella di
prevenzione. Sotto l’aspetto teorico, importanti furono le riflessioni degli
autori latini, tra cui vanno ricordati gli stoici Seneca e Aulo Gellio (
17
).
Seneca sostiene che la punizione del criminale è indispensabile per la
sicurezza della collettività e, di conseguenza, per la sopravvivenza stessa
della società: si infligge una pena non perché un colpa è stata commessa,
ma perché non lo sia più, dal momento che, se incidere sul passato è
impossibile, si può invece cercare di disporre per il futuro. Nel De
clementia 20, 1 il filosofo elenca le tre finalità a cui tende la pena:
correggere chi la subisce, rendere gli altri persone migliori grazie
all’esempio che ne deriva, dare all’intera collettività maggior sicurezza
reprimendo i delitti (
18
).
Il primo fine è dunque quello dell’emenda del colpevole: anche in
questo caso si riscontra il paragone tra il malato sottoposto a terapia e il
reo che deve essere trattato con indulgenza se il suo pentimento lascia
sperare in una completa redenzione (De clementia 3, 3, 1: ... Parcendum
poioàntoj, ἵ nα ἀpoplhrwqÁ. Tὶ mὲn oàn ἐstin ¹ ὀrg», dÁlon ἐstai ἐn toῖ j perὶ tῶn
paqῶn. Si confronti A
RISTOTE
, Rhétorique, I, Les belles lettres, Paris 1960, p. 118.
(
17
) Si veda anche la celebre massima di Q
UINTILIANO
, Declamationes, 274: Omnis poena non
tam ad delictum pertinet, quam ad exemplum.
(
18
) S
ENECA
, De clementia, 20, 1-3: 1 Transeamus ad alienas iniurias, in quibus vindicandis haec
tria lex secuta ast, quae princeps quoque sequi debet: aut ut eum, quem punit, emendet, aut ut
poena eius ceteros meliores reddat, aut ut sublatis malis securiores ceteri vivant. Ipsos facilius
emendabis minore poena; diligentius enim vivit, cui aliquid integri superest. Nemo dignitati
perditae parcit; inpunitatis genus est iam non habere poenae locum. 2 Civitatis autem mores magis
corrigit parcitas animadversionum; facit enim consuetudinem peccandi multitudo peccantium, et
minus gravis nota est, quam turba damnationum levat, et severitas, quod maximum remedium
habet, adsiduitate amittit auctoritatem. 3 Constituit bonos mores civitati princeps et eluit vitia
eius si patiens eorum est, non tamquam probet, sed tamquam invitus et cum magno tormento ad
castigandom veniat. Verecundiam peccandi facit ipsa clementia regentis; gravior multo poena
videtur, quae a miti viro constituitur. Si confronti S
ENEQUE
, De la clémence, Les belles lettres,
Paris 1961, pp. 42-43.
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itaque est etiam inprobandis civibus non aliter quam membris languentibus, et, si
quando misso sanguine opus est, sustinenda acies est, ne ultra, quam necesse sit,
insidiat).
Il fine di prevenzione generale è assicurato dall’esemplarità della
pena (come scrive nel De ira 3, 19, 2: ... animadversiones quo notiores sunt plus
in exemplum emendationemque proficiant: più le punizioni sono eclatanti,
meglio servono di esempio e di lezione). A tale scopo Seneca non
indietreggia neppure di fronte alla pena di morte, anzi: quando in
un’anima – scrive sempre nel De ira 1, 16, 3 – il male è così radicato da
renderla incurabile, infliggere la morte è l’unica manifestazione di pietà
possibile.
Nonostante l’ostilità che suscita in lui l’idea di vendetta, il filosofo
accorda un certo spazio anche al principio retributivo. Ciò è spiegabile in
quanto l’Autore usa il termine vindicta in due accezioni differenti: come
vendetta in senso stretto, ovvero desiderio di rendere il male per il male e
quindi reazione istintiva condannabile dall’uomo saggio; oppure, in senso
più generale, come legittimo sdegno verso la commissione di un crimine e
volontà d’infliggere a ciascuno la punizione che merita. Si tratta di due
concetti contigui che pure vanno tenuti distinti e confermano il carattere di
complessità che evoca la materia della pena, ricca di sfumature anche
psicologiche.
La
retribuzione,
quando
viene
ammessa,
trova
dunque
giustificazione nella sua utilità (De ira 2, 33, 1: si tamquam ad remedium
venimus, non quasi dulce sit vindicari sed quasi utile: se noi veniamo alla
vendetta come a un rimedio, veniamoci senza collera, con l’idea non che
sia dolce ma che sia utile) (
19
).
L’ampia influenza delle idee greche (e platoniche in particolare) sulla
cultura giuridica e politica del mondo romano è percepibile anche negli
scritti di Aulo Gellio, autore del II secolo d.C. (
20
): Noct. Att. 7, 14, 1 e
(
19
) Y. B
ONGERT
, La philosophie pénale chez Sénèque, in Il problema della pena criminale tra
filosofia greca e diritto romano, cit., pp. 97-120.
(
20
) O.
D
ILIBERTO
, La pena tra filosofia e diritto nelle Noctes Atticae di Aulo Gellio, in Il problema
della pena criminale tra filosofia greca e diritto romano, cit., pp. 121- 172.
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