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si concede infatti ai consanguinei, al tutore e al curatore la facoltà di
uccidere il rapitore colto in flagrante:
CI. 1, 3, 53 (54)
Idem A. Hermogeni magistro officiorum. … 1 Qui itaque huismodi
crimen commiserint et qui eis auxilium tempore invasionis praebuerint, ubi
inventi fuerint in ipsa rapina et adhuc flagrante crimine comprehensi a
parentibus sanctimonialium virginum vel viduarum vel diaconissarum aut
earum consanguineis vel tutoribus seu curatoribus, convicti interficiantur.
…
D. XV k. Dec. Constantinopoli dn. Iustiniano pp. A. III cons. [a. 533]
Si tratta però di episodi del tutto marginali, riguardanti non a caso i
reati di natura sessuale, che, come si è già visto ampiamente, Giustiniano è
intenzionato a reprimere con particolare severità.
2. Gli scopi della pena nel pensiero dei filosofi
Per analizzare il tema risulta a questo punto indispensabile
individuare le correnti di pensiero che, sebbene in modo non sempre
univoco, hanno influito sugli indirizzi della politica criminale e quindi
sugli orientamenti in ordine alla funzione della pena (
10
). Va infatti
(
10
) Si tratta di una questione che ha continuato a suscitare l’interesse dei pensatori fino
alla nostra epoca: effettuando una breve carrellata sulle dottrine della pena elaborate da
grandi filosofi si può citare Ugo Grozio, seguace della teoria della retribuzione, secondo
cui la pena non è altro che la ricompensa dovuta al reo per la violazione dell’ordinamento
giuridico: malum passionis quod infligitur ab malum actionis. Immanuel Kant sostiene che la
legge penale è un imperativo categorico, per cui, essendo il delitto la trasgressione
dell’ordine etico, la coscienza morale ne esige la punizione. Georg Wilhelm Friedrich
Hegel inserisce la riflessione sulla pena entro una forma dialettica: il crimine è una
negazione del diritto mentre la pena è una negazione del crimine: perciò la pena, essendo
una negazione della negazione, riafferma il diritto. Ludwig Feuerbach pone la teoria della
pena in un’ottica di prevenzione: la minaccia di sanzioni, agendo sulla psicologia
dell’individuo, ne frena gli impulsi criminali e costituisce un necessario strumento di
159
osservato che nelle fonti romane gli accenni alle funzioni della pena sono
presenti, più che negli scritti dei giuristi, nelle opere di scrittori e filosofi
come Aulo Gellio e Seneca, o di Padri della Chiesa come Sant’Agostino e
San Giovanni Crisostomo (
11
).
Del resto, già i filosofi greci si erano dedicati approfonditamente alla
questione degli effetti della pena. Platone, nel Gorgia (
12
), ritiene che la
pena sia finalizzata alla restaurazione dell’ordine morale: a tal scopo egli
giustifica il sacrificio di qualcuno per il bene di tutti, superando così nella
sua riflessione il concetto di giustizia retributiva.
Platone non si sofferma solo sulla funzione deterrente della pena e
sulla relativa efficacia preventiva, ma mette anche in risalto la funzione
difesa sociale. In tempi più recenti riscuote forte adesione la teoria dell’emenda, secondo
cui la principale funzione della pena è quella di tendere al ravvedimento del reo: il
sistema sanzionatorio deve avere quindi un valore principalmente educativo e correttivo.
(
11
) G
AUDEMET
, L’Église dans l’empire romain (IV-V siècles), cit., pp. 277-282 ritiene che in
epoca tardoantica il diritto criminale mostra per lo più intenti repressivi (vengono infatti
applicati i criteri della severitas e dell’acerbitas poenarum che, causando metus e terror nei
sudditi, avrebbero dovuto comportare l’astensione dai crimini: si veda CI. 9, 34, 4; 9, 13, 1;
9, 18, 9; 9, 30, 11; 9, 47, 19) e, da questo punto di vista, i Padri della Chiesa sembrano
ispirarsi più alla tradizione classica (Cicerone, Seneca) che alla legislazione del loro tempo.
(
12
) P
LATONE
, Gorgia, 525 a-c: [525a] ἐπιορκιῶν καὶ ἀδικίας, ἃ ἑκάστη ἡ πρᾶξις αὐτοῦ
ἐξωμόρξατο εἰς τὴν ψυχήν, καὶ πάντα σκολιὰ ὑπὸ ψεύδους καὶ ἀλαζονείας καὶ οὐδὲν
εὐθὺ διὰ τὸ ἄνευ ἀληθείας τεθράφθαι: καὶ ὑπὸ ἐξουσίας καὶ τρυφῆς καὶ ὕβρεως καὶ
ἀκρατίας τῶν πράξεων ἀσυμμετρίας τε καὶ αἰσχρότητος γέμουσαν τὴν ψυχὴν εἶ δεν:
ἰδὼν δὲ ἀτίμως ταύτην ἀπέπεμψεν εὐθὺ τῆς φρουρᾶς, οἷ μέλλει ἐλθοῦσα ἀνατλῆναι τὰ
προσήκοντα πάθη. [525b] προσήκει δὲ παντὶ τῷ ἐν τιμωρίᾳ ὄντι, ὑπ'ἄλλου ὀρθῶς
τιμωρουμένῳ, ἢ βελτίονι γίγνεσθαι καὶ ὀνίνασθαι ἢ παραδείγματι τοῖ ς ἄλλοις
γίγνεσθαι, ἵ να ἄλλοι ὁρῶντες πάσχοντα ἃ ἂν πάσχῃ φοβούμενοι βελτίους γίγνωνται.
εἰσὶν δὲ οἱ μὲν ὠφελούμενοί τε καὶ δίκην διδόντες ὑπὸ θεῶν τε καὶ ἀνθρώπων οὗτοι οἳ
ἂν ἰάσιμα ἁμαρτήματα ἁμάρτωσιν: ὅμως δὲ δι'ἀλγηδόνων καὶ ὀδυνῶν γίγνεται αὐτοῖ ς
ἡ ὠφελία καὶ ἐνθάδε καὶ ἐν Ἅιδου: οὐ γὰρ οἷ όν τε ἄλλως ἀδικίας ἀπαλλάττεσθαι.
[525c] οἳ δ'ἂν τὰ ἔσχατα ἀδικήσωσι καὶ διὰ τὰ τοιαῦτα ἀδικήματα ἀνίατοι γένωνται, ἐκ
τούτων τὰ παραδείγματα γίγνεται, καὶ οὗτοι αὐτοὶ μὲν οὐκέτι ὀνίνανται οὐδέν, ἅτε
ἀνίατοι ὄντες, ἄλλοι δὲ ὀνίνανται οἱ τούτους ὁρῶντες διὰ τὰς ἁμαρτίας τὰ μέγιστα
καὶ ὀδυνηρότατα καὶ φοβερώτατα πάθη πάσχοντας τὸν ἀεὶ χρόνον, ἀτεχνῶς
παραδείγματα ἀνηρτημένους ἐκεῖ ἐν Ἅιδου ἐν τῷ δεσμωτηρίῳ, τοῖ ς ἀεὶ τῶν ἀδίκων
ἀφικνουμένοις θεάματα καὶ νουθετήματα. Si veda P
LATONE
, Gorgia, a cura di G.
R
EALE
,
Bompiani, Milano 2001, p. 302.
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