153
C
APITOLO
V
LE FUNZIONI DELLA PENA
NEL DIRITTO DELLE NOVELLE
S
OMMARIO
:
1.
Premessa – 2. Gli scopi della pena nel pensiero dei filosofi – 3. La
funzione di prevenzione generale – 4. La funzione di prevenzione speciale – 5. La
funzione retributiva – 6. L’humanitas di Giustiniano – 7. La tipologia di pene e in
particolare la pena detentiva
1. Premessa
Nell’ambito della riflessione sul diritto criminale nelle Novelle di
Giustiniano merita un approfondimento la questione relativa alla funzione
della pena: si tratta di un argomento complesso, tuttora oggetto di
dibattito tra gli studiosi del diritto penale moderno, i quali sono tuttavia
concordi sul fatto che non vi sia sistema giuridico che riconduca
l’irrogazione della pena ad un’unica giustificazione (
1
).
In forza di questo assunto, di particolare interesse risulta la
produzione normativa giustinianea nel suo complesso, dal momento che
in essa coesistono tutte le funzioni tipicamente assegnate alla pena, vale a
dire, utilizzando categorie moderne, la funzione retributiva o satisfattoria,
(
1
) F.
M
ANTOVANI
, Diritto penale – Parte generale
5
, Padova 2007, pp. 714-720; T.
P
ADOVANI
,
Diritto penale
7
, Milano 2004, pp. 289-296; F.
A
NTOLISEI
, Manuale di diritto penale – Parte
generale
16
, Milano 2003, pp. 675-693.
Nello specifico, per una sintesi dei principali
orientamenti moderni in materia di funzione della pena, si veda M.A.
C
ATTANEO
, Pena
(filosofia), in ED, XXXII, 1982, pp. 701-712.
154
quella di prevenzione generale (deterrente) nonché quella di prevenzione
speciale (di emenda del reo).
Nella letteratura romanistica vi è infatti accordo nel riconoscere, pur
con argomentazioni differenti, la presenza nelle fonti postclassiche e
giustinianee – e in particolare nelle Novelle – di una pluralità di funzioni
della pena, compresa quella di redenzione del colpevole, che acquista
specifico rilievo per influsso degli scrittori della Chiesa (
2
), secondo la
quale il reo è paragonabile a un infermo la cui medicina è costituita
dall’espiazione della pena (
3
).
Si tratta di un panorama estremamente articolato che necessita di un
apposito studio, al fine di comporre il discorso sulla funzione della pena in
un quadro unitario, pur a prescindere dalla formulazione di una teoria
generale che quasi certamente era estranea alle intenzioni della stessa
cancelleria giustinianea (
4
).
(
2
) Non va però dimenticato che di tale funzione emendatrice esistono precedenti classici.
Si confronti in particolare D. 48, 19, 20 (Paul. 18 ad Plautium): Si poena alicui irrogatur,
receptum est commenticio iure, ne ad heredes transeat. cuius rei illa ratio videtur, quod poena
constituitur in emendationem hominum: quae mortuo eo, in quem constitui videtur, desinit. In
questo passo si fa riferimento al principio di personalità della pena, secondo cui la
sanzione non deve ricadere sugli eredi del colpevole in quanto, essendo essa stabilita “in
emendationem hominum”, a scopo educativo, cessa la sua funzione alla morte di colui al
quale era stata comminata.
(
3
) Alla funzione di emenda del reo e al legame intercorrente tra essa e il pensiero
cristiano concede ampio spazio il B
IONDI
, Diritto romano cristiano, III, cit., pp. 425-428 e J.
G
AUDEMET
, L’Église dans l’empire romain (IV-V siècles), Paris 1958, avec mise à jour 1989,
pp. 277- 282.
(
4
) Afferma giustamente M. H
UMBERT
, La peine en droit romain, in Recueils de la société Jean
Bodin pour l’histoire comparative des institutions, LV, La peine – punishment, Bruxelles 1989,
pp. 133-183, che la repressione dei delitti non ha sempre risposto ai medesimi interessi:
l’antichità non ha trasmesso alcuna testimonianza di una presa di posizione chiara sulla
vocazione della pena. Interessante è l’osservazione di C.
G
IOFFREDI
, Sulla concezione
romana della pena, in Studi in onore di Edoardo Volterra, II, Milano 1971, p. 333, secondo cui
“il fondamento della pena (…) dei problemi del diritto è tra i più ricchi di implicazioni
umane” e quindi, si potrebbe aggiungere, il più difficile da riassumere in una formula
univoca: forse per la sua complessità il problema del fondamento della pena è stato
oggetto dell’interesse e della riflessione filosofica dei massimi pensatori fin dall’antichità.
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Prima di affrontare l’argomento nello specifico è opportuno dare una
definizione di pena, che può essere descritta in prima battuta come la
reazione alla commissione di un crimine. La forma di pena più antica è la
vendetta, ovvero l’inflizione di un male che compensi il male commesso e
ripaghi chi ha subito il torto: evidente ne è il carattere sattisfattorio, sia
quando la vendetta è messa in atto dal singolo, sia quando è compiuta ad
opera della comunità, per ristabilire l’ordine delle istituzioni cittadine che
è stato turbato – e talvolta sovvertito – dal reo. La pena arcaica, sia privata
che pubblica, ha dunque l’obbiettivo di dare sfogo al risentimento
provocato dalla condotta criminosa nel soggetto leso e nell’intera società.
Inoltre, in caso di omicidio, la vendetta non appaga solo i parenti
dell’ucciso ma, secondo le credenze più antiche, lo stesso defunto
nell’oltretomba, cosicché si ritiene che sul gruppo dei familiari incomba un
vero e proprio dovere di reagire al crimine, al fine di assicurare la pace al
proprio congiunto morto. Altre volte la commissione di taluni reati può
essere percepita come un’offesa alla divinità, per cui la punizione assume
un carattere sacrale: già in epoca arcaica quindi la pena presenta una
pluralità di implicazioni, anche religiose, su cui prevale però l’aspetto
vendicativo e sattisfattorio (
5
).
In epoca postclassica, dopo una lenta evoluzione storica che ha visto
il progressivo affievolirsi dei concetti di vendetta privata e di
composizione tra l’offeso e il reo, la comminazione delle pene diventa una
funzione attribuita all'ordinamento statuale in via esclusiva. Con
Giustiniano il sistema della pena privata è ormai definitivamente
tramontato a favore della pena pubblica: il delitto è inteso come una
ribellione del singolo alla legge e come tale esige una riparazione che serva
a riaffermare l’autorità imperiale. La repressione criminale non ha più
come obbiettivo primario il soddisfacimento della vittima ma la difesa dei
valori basilari della comunità, ai quali il suddito deve soggiacere. Ne è una
dimostrazione il fatto che il carcere privato è punito prevedendo che
chiunque abbia indebitamente rinchiuso un'altra persona sospettata di
aver commesso reato debba essere incarcerato nella pubblica prigione per
(
5
) G
IOFFREDI
, I principi del diritto penale romano, cit., pp. 41-61.
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