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libero, se pure nella condizione di esposto, suonerebbe inconcepibile per il
diritto romano classico.
Nel Codice giustinianeo è conservato un rescritto di Diocleziano, CI.
5, 4, 16 (
49
), che conferma la sopravvivenza del vincolo tra la famiglia di
origine e l’esposto, nonostante quest’ultimo sia stato allevato da terzi:
l’imperatore dalmata infatti, nel decidere un caso pratico sottoposto alla
sua attenzione, sancisce che il padre naturale, una volta riconosciuta
l’esposta, riacquista immediatamente i diritti connessi alla patria potestà,
dal momento che la figlia ha bisogno del suo assenso per potersi sposare.
Se fino a questo momento l’abbandono degli infanti non attira alcun
giudizio negativo e i diritti connessi alla patria potestà prevalgono sempre
sulla circostanza dell’esposizione, successivamente, anche per l’avvento
del Cristianesimo e la modifica dei costumi che ciò ha comportato, la
percezione del fenomeno cambia notevolmente.
La Chiesa infatti critica fortemente la pratica dell’expositio, ritenendo,
in confronto, preferibile la vendita, perché a causa di quest’ultima il
neonato rischia di perdere la libertà, mentre l’esposto rischia la vita, che
per i cristiani è il bene più importante: la vendita di neonati, anch’essa
alquanto diffusa, è dunque vista come il male minore.
Costantino si trova ad affrontare il duplice fenomeno della vendita e
dell’esposizione d’infanti che all’epoca, a causa di una difficile
congiuntura economico-sociale che spinge le classi più umili a liberarsi dei
neonati, costituisce un problema pressante (
50
).
L’expositio viene disciplinata dall’imperatore nel 331 con un’apposita
costituzione, CTh. 5, 9, 1, contenente regole diverse da quelle previste per
la vendita (
51
).
(
49
) CI. 5, 4, 16: Idem AA. et CC. Rhodoni. Patrem, qui filiam exposuit, at nunc adultam
sumptibus et labore tuo factam matrimonio coniungi filio desiderantis favere voto convenit. qui si
renitatur, alimentorum solutioni in hoc solummodo casu parere debet.
(
50
) Per questo motivo emana due costituzioni in cui assume provvedimenti di carattere
assistenziale a favore di neonati a cui i genitori non possono provvedere: si tratta di CTh.
11, 27, 1 del 315 e di CTh. 11, 27, 2 del 322 destinate rispettivamente all’Italia e all’Africa.
(
51
) Costantino, consapevole che la vendita dei figli serve ad allentare le tensioni
demografiche ed economiche, tollera il fenomeno e si limita a disciplinarne gli effetti con
145
CTh. 5, 9, 1 Imp. Constantinus A. ad Ablavium p(raefectum)
p(raetori)o. Quicumque puerum vel puellam proiectam de domo, patris vel
domini voluntate scientiaque, collegerit ac suis alimentis ad robur
provexerit, eundem retineat sub eodem statu, quem apud se collectum
voluerit agitare, hoc est sive filium sive servum eum esse maluerit: omni
repetitionis inquietudine penitus summovenda eorum, qui servos aut liberos
scientes propria voluntate domo recens natos abiecerint. Dat. XV kal. Mai.
Constantinopoli Basso et Ablavio conss. [331 Apr. 17].
Lo scopo perseguito è duplice, in quanto da una parte si vuole
contenere il fenomeno per non correre il rischio di una vera e propria crisi
demografica, dall’altra s’intende trasformare in principi giuridici i nuovi
valori emergenti con il Cristianesimo, secondo cui l’atto dell’esposizione
costituisce un attentato alla vita umana e come tale va represso. Ne risulta
una disciplina molto severa nei confronti degli espositori di neonati: il
genitore o il padrone che abbandona il figlio o lo schiavo perde infatti la
potestas sull’esposto, sia patria sia dominica. Si tratta di un provvedimento
che spezza la tradizione classica poiché implica la privazione di una serie
di diritti che fino ad allora erano stati garantiti agli espositori nonostante
l’abbandono del bambino. Il sacrificio dei diritti concernenti la patria
potestas avvantaggia d’altra parte la posizione dei ritrovatori, i quali
due leggi conservate in Fragmenta Vaticana 33-34 e con una costituzione conservata nel
Teodosiano: CTh. 5, 10, 1. Controversa è la datazione dei due testi, ci si avvale in questa
sede di quella proposta da O.
S
EECK
,
Regesten, 179 secondo cui CTh. 5, 10, 1 risale al 18
agosto 319 mentre Fr. Vat. 34 sarebbe da datare al 21 luglio 329: sul punto si veda
ampiamente G. D
E
B
ONFILS
, L'obbligo di vendere lo schiavo cristiano alla Chiesa e la clausola del
competens pretium, in Atti del X Convegno dell'Accademia Romanistica Costantiniana, Perugia
1991 (1995), pp. 503-528, in particolare note 29-30. Secondo D.
D
ALLA
, Ricerche di diritto
delle persone, Torino 1995, pp. 9-17, l’imperatore distingue tra la vendita di neonato
(richiamata in Vat. Fr. 34 e in CTh. 5, 10, 1) che ha l’effetto di ridurre il bambino in
schiavitù salva la possibilità di riscatto e la vendita di altri figli (Vat. Fr. 33) che invece è
invalida. Sul medesimo tema si veda anche D.
N
ARDI
, Ancora sul “ius vendendi” del “pater
familias” nella legislazione di Costantino, in Sodalitas, Studi in onore di Antonio Guarino, V,
Napoli 1984, pp. 2287-2308 e il relativo ampio apparato bibliografico, nonché R.
M
ARTINI
,
Sulla vendita dei neonati nella legislazione costantiniana, in
Atti del VII Convegno
dell'Accademia Romanistica Costantiniana, Perugia 1988, pp. 423 ss.
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