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illeciti contro il buon costume può dipendere dalla diffusione, in età
imperiale avanzata, di valori come l’ascetismo, la castità e la rinuncia ai
piaceri che, già affermati dallo Stoicismo, acquistano nuova importanza
per influsso della religione cristiana (
30
).
Nel 439 Teodosio II legifera di nuovo sul tema con Nov. Theod. 18:
con questa legge l’imperatore intende rispondere all’appello di Fiorenzo,
prefetto del pretorio, il quale lamenta che l’esercizio del meretricio sia
ampiamente tollerato a causa della tassa sulle prostitute, introdotta da
Caligola e ancora vigente, che permette all’impero di arricchirsi attraverso
questo costume contrario alla morale; il funzionario chiede perciò
l’abrogazione della tassa, offrendo il suo patrimonio per compensare in
qualche modo l’erario della conseguente perdita economica. Teodosio II,
in risposta all’istanza, conferma contro i lenoni la sanzione della perdita
della potestà sulle prostitute, le quali, se schiave, acquistano la libertà e, se
libere, sono sottratte all’obbligo di commercio del proprio corpo; fissa
inoltre la pena della verberatio e l’espulsione dalla città di Costantinopoli,
affinché questa severità sia di esempio per tutti. Infine l’imperatore ordina
al prefetto del pretorio Ciro di far osservare queste norme: in caso di
negligenza da parte di chi riveste la carica è minacciata la multa di venti
libbre d’oro (
31
).
(
30
) Si veda capitolo III, paragrafo 4.
(
31
) Nov. Theod. 18: Impp. Theodosius et Valentinianus AA. Cyro praefecto praetorio.
Fidem de exemplis praesentibus mereantur historiae et omni dehinc ambiguitate liberetur
antiquitas, quae nobis summos viros praetulisse rem publicam facultatibus indicavit, cum virum
illustrem Florentium praetorianae praefecturae administratione subfultum cernamus non iam cum
maiorum laudibus, sed cum suis magnis in rem publicam meritis praeclari animi aemula virtute
certantem existimationem rei publicae non solum consilio suo ac providentia, sed etiam devotione
ac munificentia pudendae turpitudinis labe atque ignominia liberasse. Nam cum lenonum
calliditate damnabili circumventam veterum videret incuriam, ut sub cuiusdam lustralis
praestationis obtentu corrumpendi pudoris liceret exercere commercium, nec iniuriam sui ipsam
quodammodo ignaram cohibere rem publicam, pio circa omnium verecundiam proposito
mansuetudini nostrae amore pudicitiae castitatisque suggessit ad iniuriam nostrorum temporum
pertinere, si aut lenones in hac liceret urbe versari aut eorum turpissimo quaestu aerarium
videretur augeri. Ac licet nos illud adverteret execrari etiam cessante vicaria oblatione vectigal,
tamen, ne ullum ad aerarium incommodum perveniret, propriam possessionem obtulit, ex cuius
134
Non molti anni dopo l’imperatore Leone I si pronuncia sulla materia
con un editto rivolto al popolo, risalente agli anni tra il 457 e il 467 e
riportato nel Codice giustinianeo in due versioni: CI. 11, 41, 7, più ampia, e
CI. 1, 4, 14, più sintetica. Con questa legge la lotta contro il lenocinio
effettua un ulteriore passo in avanti, dovuto senz’altro alle nuove istanze
etiche presenti nella società per effetto della diffusione del Cristianesimo.
La costituzione, che si apre con la dichiarazione solenne del divieto di
prostituire, aggrava le sanzioni contro i lenoni: a differenza da quanto
disposto da CTh. 15, 8, 2 – che puniva più pesantemente i lenoni recidivi –
CI. 11, 41, 7 applica le sanzioni alla prima trasgressione della legge. In
aggiunta introduce la variazione della pena pro qualitate personarum: agli
humiliores viene impartita la punizione afflittiva della condanna ai lavori
forzati nelle miniere o la relegatio extra limites, mentre gli honestiores
subiscono la perdita del patrimonio nonché l’eventuale privazione della
honesta professio da loro esercitata (
32
).
Un’altra novità apportata da Leone I riguarda la legittimazione ad
agire per ottenere l’attribuzione alla schiava della libertà, come
corrispettivo dell’integrità violata: l’imperatore stabilisce che la schiava
può essere rivendicata come libera da chiunque, in quanto ciò corrisponde
a un interesse pubblico (
33
).
reditibus possit accedere, quod praedictum pessimum genus consueverat pensitare. 1 Unde
providentiam et munificentiam eius libenter amplexi hac mansura in aevum lege sancimus, ut, si
quis posthac manicipia tam aliena quam propria aut ingenua corpora qualibet taxatione conducta
prostituere sacrilega temeritate temptaverit, in libertatem prius miserrimis mancipiis vindicatis vel
ingenuis personis conductione impia liberatis gravissime verberatus huius urbis finibus, in qua
vetitum nefas crediderit exercendum, ad exemplum omnium emendationemque pellatur, Cyre
p(arens) c(arissime) a(tque) a(mantissime). 2 Illustris igitur auctoritas tua ea, quae tuendae
honestatis decrevimus gratia, veneratione debita iubeat custodiri, officio amplitudinis tuae viginti
librarum auri poenam, si praecepta nostra neglexerit, luituro. Dat. VIII id. Dec. Constantinopoli
Theodosio A. XVII et Festo vc. conss. [439 Dec. 6].
(
32
) Si sofferma sul punto S
CARCELLA
, La legislazione di Leone I, cit., pp. 81-93.
(
33
) All’epoca infatti era noto che la condizione servile rendeva più facilmente vittime di
abusi sessuali e la tutela della morale sessuale, anche attraverso la rivendicazione in
libertà di una schiava, era un compito che in una società cristianizzata spettava a tutti. Sul
punto si veda S
ICARI
, Prostituzione e tutela giuridica della schiava, cit., pp. 47-49.
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