131
Ovviamente la prostituzione era conosciuta anche in età classica:
all’epoca si distingueva semplicemente tra prostituzione esercitata dalle
donne in modo autonomo e prostituzione organizzata da specifici soggetti
che ne traevano illecito guadagno. Tale protettore (leno o lena, qualora si
trattasse di una donna) si occupava del reclutamento delle prostitute e
della gestione dei luoghi in cui si svolgeva l’attività, i lupanari. Nella
società, prima ancora che nel diritto, i lenones erano oggetto di forte
riprovazione morale: la loro figura, sbeffeggiata già nei tempi antichi dal
teatro comico, suscitava sdegno misto a ilarità.
Solo successivamente il lenocinio viene a coincidere con il concetto di
sfruttamento della prestazione sessuale a scopo di lucro, assumendo il
tratto tipico di reato che si compie in modo continuativo e sistematico, non
occasionale (
26
); contestualmente, a partire dalla metà del V secolo,
l’intervento dell’imperatore nella repressione del prossenetismo assume
tratti sempre più severi (
27
).
(
26
) S. P
ULIATTI
,
Lenocinii crimen, in Il diritto giustinianeo fra tradizione classica e innovazione,
Atti del Convegno, Cagliari 13-14 ottobre 2000, Torino 2003, pp. 147-216 distingue tra il
lenocinii crimen punito ex lege Iulia de adulteriis e il lenocinium inteso come reato a sé stante:
se il primo riunisce una serie di comportamenti illeciti realizzati non necessariamente a
scopo di lucro (ad esempio il marito che tollera l’infedeltà della moglie o patteggia perché
non si producano le conseguenze penali dell’adulterio o l’uomo che sposa la donna
condannata per adulterio), il lenocinio vero e proprio si configura come sfruttamento
della prostituzione mirante esclusivamente al profitto. Solo in epoca tardoimperiale le
fonti giuridiche si soffermano sulla forma di lenocinio che consiste nell’avviamento e
nello sfruttamento della prostituzione e nelle fonti i termini leno e lena vengono utilizzati
unicamente in tal senso. Si confronti anche E.
V
OLTERRA
, Alcune innovazioni giustinianee al
sistema classico di repressione dell’adulterio, in Scritti giuridici, I, Famiglia e successioni, Napoli
1991, pp. 3 ss.: affrontando l’argomento da un altro punto di vista, l’Autore osserva come
il diritto giustinianeo, esentando da pena una serie di comportamenti che in età classica
rientravano nella fattispecie del lenocinio ed erano sottoposti alla lex Iulia de adulteriis, va
nella direzione di spogliare l’adulterio del suo carattere pubblico, trasformandolo in
crimine perseguibile solo dal marito e dai parenti stretti.
(
27
) Si veda, a proposito di prostituzione e lenocinio,
A.
S
ICARI
, Prostituzione e tutela
giuridica della schiava. Un problema di politica legislativa nell’impero romano, Bari 1991, pp. 27-
50; V.
N
ERI
, I marginali nell’Occidente tardoantico, Bari 1998, pp. 197 ss.
132
Nel Codice Teodosiano è conservata una costituzione di Teodosio II
del 428, CTh. 15, 8, 2 (
28
) che per la prima volta disciplina in modo esteso e
organico la materia. Il provvedimento infatti vieta ai padri e ai padroni di
prostituire le proprie figlie e schiave prevedendo, in caso di trasgressione,
pesanti sanzioni giuridiche: il comportamento di chi avvia alla
prostituzione ancelle e figlie è definito esplicitamente un grave crimen, un
abuso dei propri diritti di pater o dominus che merita di essere punito con
la perdita della potestà su di esse. La costituzione imperiale tuttavia non si
limita a porre il divieto, ma dispone anche degli strumenti per reagire al
caso in cui questa riprovevole pratica continui a essere esercitata: viene
infatti riconosciuta alle schiave e alle figlie costrette a vendere il proprio
corpo la facoltà di rivolgersi al vescovo o al defensor civitatis (
29
) per
ottenere protezione ed essere liberate dalla “necessità di peccare”; inoltre,
per i lenoni che, pur essendo già stati sanzionati una prima volta, ricadano
nel medesimo crimine viene prevista la confisca dei beni e la condanna ai
lavori forzati nelle miniere. Questa spinta repressiva nei confronti di atti
(
28
) CTh. 15, 8, 2: Impp. Theodosius et Valentinianus AA. Florentio praefecto praetorio.
Lenones patres et dominos, qui suis filiis vel ancillis peccandi necessitatem imponunt, nec iure frui
dominii nec tanti criminis patimur libertate gaudere. igitur tali placet eos indignatione subduci,
ne potestatis iure frui valeant neve quid eis ita possit adquiri. sed ancillis filiabusque, si velint,
conductisve pro paupertate personis, quas sors damnavit humilior, episcoporum liceat, iudicum
etiam defensorumque implorato suffragio omni miseriarum necessitate absolvi, ita ut, si
insistendum eis lenones esse crediderint vel peccandi ingerant necessitatem invitis, non amittant
solum eam quam habuerant potestatem, sed proscripti poenae mancipentur exilii metallis
addicendi publicis, quae minor poena est, quam si praecepto lenonis cogatur quispiam coitionis
sordes ferre, quas nolit. Dat. XI Kal. Mai. Felice et Tauro conss. [428 Apr. 21]. CTh. 15, 8, 2 è
riportata nel Codice di Giustiniano in due differenti versioni: la prima, CI. 11, 41, 6,
riproduce alla lettera il testo teodosiano con l’unica variante dell’uso di filiabus invece di
filiis mentre la seconda, CI. 1, 4, 12, ne costitituisce una sintesi che mira ad evidenzare la
possibilità per le figlie e le schiave costrette a prostituirsi di ricorrere all’aiuto dei vescovi.
(
29
) Si veda V.
M
ANNINO
, Ricerche sul “defensor civitatis”, Milano 1984, pp. 131-132:
nell’ambito di una approfondita analisi di questa istituzione cittadina l’Autore individua
tra le competenze ad essa attribuite quella di prestare aiuto alle donne che, avviate alla
prostituzione, volessero riscattarsi da questa turpe attività; tale funzione, volta
essenzialmente alla tutela delle classi più umili, è assegnata dall’imperatore anche ai
vescovi, che si trovano così investiti di un nuovo potere civile.
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