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no sovente riferimenti a derivazioni d’acqua da fiumi o da acquedotti
pubblici condivise fra più persone, proprietarie dei poderi limitrofi (d.
8.3.2.2; d. 8.6.16). le fonti specificano che queste derivazioni (ad es.
quella di d. 8.3.17 già cit.) richiedevano una concessione della pubbli-
ca autorità (d. 39.3.10.2; d. 39.3.18, 23; d. 43.20.1.9, 38, 41, 42)
anche nel caso del semplice passaggio di un condotto privato attraver-
so una strada o un fiume pubblico, mentre ciò non occorreva per il
semplice aquae haustus (d. 8.1.14.2). occorreva infatti che l’autorità
controllasse ex ante eventuali rischi per la comunità, come mutamenti
di alveo o secche del fiume causati dalla derivazione (d. 43.13.1.1). i
privati venivano anche incentivati a denunziare, attivando la procedu-
ra interdittale, eventuali derivazioni illegittime che avessero l’effetto di
mutare il flusso dell’acqua rispetto alla precedente estate (d. 43.13.1):
ciò riguardava tutti i fiumi, navigabili o non, purché pubblici (d. eod.
1.2) e concerneva specificamente le variazioni del flusso dell’acqua ine-
renti alla quantità, al modus o al rigor del suo corso, tali da provocare
danno o disagio ai vicini (cum incommodo accolentium: d. eod. 1.3).
il parametro di riferimento per valutare l’entità di tali variazioni era
la portata del fiume nella precedente estate: questo perché, come dice
Ulpiano in d. 43.13.1.8, il corso naturale dei fiumi è, in estate, sempre
più certo che in inverno, intendendo per estate il periodo precedente
all’equinozio autunnale.
talvolta queste derivazioni di acqua da fiumi o acquedotti pubblici
venivano realizzate dalla pubblica autorità nel corso di ristrutturazioni
agrimensorie di territori più o meno vasti: questa realtà, documenta-
ta anche dalla ricerca archeologica, trova conferma anche nei testi del
digesto dove si parla, ad es., di operae aquae mittendae causa publica
auctoritate factae (d. 39.3.2.3; cfr.
anche d. 39.3.18; 23) regolate da
una lex agrorum. Queste leges dovevano descrivere le opere realizzate sul
luogo (aggeres, fossae etc.: cfr. d. 39.3.1.23) ma anche regolare i diritti
e gli obblighi dei concessionari di acqua all’interno di una comunità di
irrigazione e prevedere sanzioni e mezzi amministrativi applicabili in
caso di inosservanza: quindi, da una parte, dovevano indicare le quan-
tità d’acqua concesse e i turni dell’approvvigionamento
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; dall’altra, gli
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era pratica comune quella di fissare turni orari per l’uso dell’acqua. lo abbiamo visto
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eventuali vectigalia da pagare alla comunità di appartenenza, gli obbli-
ghi di purgatio e manutenzione dei rivi (es. d. 39.3.2.1), le limitazioni
al proprio diritto di proprietà sui fondi e particolarmente sulle rive, per
consentire alla pubblica autorità i necessari lavori di ripristino; infine,
gli interventi di carattere pubblico previsti contro i concessionari dello
ius aquae che non adempissero agli obblighi previsti dalla
lex. talvolta,
soprattutto in caso di controversie fra rivales (cfr. ad es. d. 43.20.1.26),
ciò veniva riportato per iscritto, eventualmente su una mappa o for-
ma come negli esempi epigrafici presentati sopra: del resto, i testi dei
giuristi documentano, da una parte, la variabilità delle strutture idrau-
liche utilizzabili (d. 8.3.15) e quindi la probabile necessità della loro
descrizione particolareggiata; dall’altra, la necessità di fissare una volta
per tutte il luogo destinato al passaggio dei condotti, evitandone trasfe-
rimenti successivi (es. d. 8.1.9). anche d. 8.3.17 attesta che il titolare
o possessore del fondo che reclami uno ius aquae superiore rispetto al
modus di questo debba portare la prova del diritto eccezionale presen-
tando la relativa documentazione.
in mancanza di una lex agrorum dicta, la regolamentazione dei rap-
porti fra i vicini teneva conto degli usi inveterati applicati nella comu-
nità di appartenenza (cd. vetustas).
anche in queste comunità di irrigazione istituite e regolate da una
lex publica, la tutela delle strutture idrauliche non doveva essere delegata
in tutto alla pubblica autorità, ma doveva ammettere o addirittura pre-
supporre l’intervento attivo dei singoli a scopo di pubblica utilità. così,
ad esempio, qualunque cittadino (d. 39.1.3.4: omnes cives) poteva sen-
za troppe formalità bloccare un’opera privata intrapresa sui condotti
e non ancora completata (d. 39.1.1.1) al fine specifico di proteggere
il diritto dell’intera collettività all’uso comune del bene pubblico (d.
39.1.1.16): infatti, come dice il giurista paolo, … rei publicae interest
quam plurimos ad defendendam suam causam admittere (d. 39.1.4). lo
strumento tecnico adatto allo scopo era la cd. operis novi nunciatio iuris
publici tuendi gratia (d. 39.1.1.14 ss.) con cui un’attività di costru-
nella documentazione epigrafica presentata nel testo, ma vale anche per molte attestazioni
del digesto giustinianeo: es. d. 8.1.4.2; d. 8.1.5.1; d. 8.3.2.2; d. 8.6.16; d. 39.3.17pr.;
d. 43.20.1.2; d. 43.20.2.