Christianitatis latinae sermo et litterae institutiones II

Nota sulla historia christiana - Prima di Ilariano in Occidente abbiamo libri di cronografia, non di storia cristiana.²⁰⁷ Sulpicio Severo scrisse, poco dopo il 403, due libri di Chronica, dalla creazione del mondo fino al primo consolato di Stilicone (a.400), ma la struttura dell’opera appare più vicina alla cronografia che non alla storia, mentre la produzione storiografica (breviaristica) pagana è ricca e presenta l'opera di vero storico di Ammiano Marcellino.

Il Cronografo dell'anno 354 mostra come le rappresentazioni della storia dei pagani e dei cristiani possano coesistere, ma diverso è il modo di intendere il rapporto dell'uomo con gli eventi della storia (non il modo di scrivere opere di storia): i pagani sono rivolti verso il passato cercando nella grandezza motivi che consentano di ritrovare fiducia nel presente e speranza per il futuro, i cristiani invece volgono lo sguardo alla loro storia, che è storia della salvezza, puntando sul futuro, in prospettiva escatologica, con una visione che è nello stesso tempo storica e metastorica, abbraccia insieme tutto il passato e tutto il futuro dell'uomo, partendo da Adamo, cioè dalla creazione dell'uomo (non ab urbe condita, come Tito Livio) e proiettandosi sino alla fine dei tempi e del tempo.

I cristiani credono che l'uomo, creato da Dio, ha avuto un inizio e avrà una fine: la storia si svolge secondo un rectum iter (Agostino, civ., XII 18). Nella prospettiva pagana, invece, per l'impero di Roma c'è stato un inizio ma non ci sarà mai una fine: imperium sine fine dedi, dice Giove nell’Eneide di Virgilio (1, 279) Roma victura dum erunt homines, afferma Ammiano Marcellino (14.6.3); gli fa eco Rutilio Namaziano, nell'inno a Roma.

L'atteggiamento dei cristiani è espresso dal Chronicon anni post Christum 334, che traduce e continua la Cronaca di Ippolito: Quoniamque oportet per omnia paratum esse veritatis ministrum, optimum arbitratus sum compendiosum sermonem facere ad congruam sapienciam... etenim per ostensionem non vacue cogitantes sed liquidum secundum veritatem historie inquirere in brevi quae generant litem et obscurant sensum ignorantiumque possunt studeri (Chron. Minora, I, p. 82.11 18 Frick): chiarezza, verità, brevità sono i criteri di base dell'opera storica.

Gli fa eco un excerptum retorico de historia:²⁰⁸ historici officii sunt tria: ut veras res, ut dilucide, ut breviter exponatque adprehendimus, amputantes primum contenciones ignorantium.

Tali precetti appartengono all'insegnamento retorico dell'età tardoantica e su di essi si ritrovano d'accordo pagani e cristiani.

Prospettive e interpretazioni problematiche degli eventi proposte dagli storici pagani, presentati tutti sprezzantemente come ignorantes, in rapporto ai cristiani, che sono invece veritatis ministri, le quali generano liti e rendono difficile, a chi non lo conosce, il senso delle cose che si possono studiare (SERVIO, De centum metris, GLK 4.457.2 4), esclude ogni considerazione delle rationes, nella presentazione dei metri, convinto che la scientificità plus confusionis quam utilitatis habet.

Il testo del Chronicon si può tradurre: E poiché conviene che chi è a servizio della verità [cioè il cristiano] sia preparato mediante la conoscenza di tutto, ho ritenuto che la cosa migliore sia fare un discorso abbreviato in vista di un sapere adeguato [gr.: "per rinsaldare il sapere"]. Bisogna pertanto, pensando non vacuamente per mettersi in mostra, ma in maniera chiara, ricercare in breve secondo la verità della storia le cose che abbiamo appreso, tagliando via prima di tutto le discussioni degli ignoranti, le quali generano liti e rendono difficile, a chi non lo conosce, il senso delle cose che si possono studiare.

In questo programma culturale notiamo il bisogno della brevità (compendiosus sermo; in brevi) e la esclusione di tutto ciò che è problematico. L'anonimo cristiano assume di fronte alla cultura lo stesso atteggiamento diffuso presso i pagani, specialmente tra gli autori di breviari e tra i grammatici. Subito dopo si precisa che esiste un campo storico nel quale il veritatis minister dev'essere competente in maniera accurata e di esso egli informa in maniera particolareggiata fornendo l'elenco delle cose da sapere. Questo riguarda la "storia sacra", la storia dell'umanità e del popolo eletto secondo i testi dell'Antico e del Nuovo Testamento (qui autem diligenter volunt et studiose historiam discere, cognoscant gentium divisiones, et patrum genealogiam, et temporum peregrinationes, et civitatum conventiones, et iudicum dispositiones, et regum tempora et prophetarum), fino ad apprendere la successione degli anni (cronologia) "dalla creazione del mondo fino ad oggi" (a constitutione mundi usque in hodiernum diem).

Il testo mette in evidenza i punti di contatto della mentalità dei pagani e dei cristiani e, anche, la specificità dei cristiani nei riguardi della storia, distinta in storia profana (per la quale basta, al cristiano, possedere pochi dati e nozioni essenziali: ecco perché si scrivono cronografie) e storia sacra (della quale il cristiano deve avere una conoscenza accurata, attinta alla Sacra Scrittura).

Posta questa premessa, i Chronica di Sulpicio Severo sono non un'opera di storia, ma una guida e un'introduzione alla lettura della Scrittura, perché il primo libro illustra la storia ebraica sino alla cattività babilonese e il secondo ancora le vicende ebraiche sino alla nascita di Cristo e poi le persecuzioni dei cristiani nell'impero, il riconoscimento della libertà di religione, le difficoltà e le lotte dentro la Chiesa, tra le varie, contrastanti, posizioni dottrinali e pragmatiche. E' singolare, ma comprensibile, il fatto che Sulpicio Severo escluda del tutto dalla sua Cronaca la vita di Cristo e l'età apostolica: a tale riguardo egli invita i lettori a rivolgersi direttamente ai Vangeli e agli Atti degli Apostoli (i suoi lettori conoscevano bene il Nuovo Testamento; la sua Cronaca non si rivolge a lettori pagani).

L'interesse di Sulpicio è rivolto precipuamente alla Scrittura e si estende, oltre tutto il primo libro, anche per la prima metà del secondo. La storia profana o globale dell'umanità non è presa in considerazione, anche se varie sono le fonti pagane: Tacito, Pompeo Trogo nell'epitome di Giustino, Cornelio Nepote, e a livello di conoscenza Sallustio e Velleio Patercolo.²⁰⁹

Delle tendenze letterarie della sua età condivide solo la preoccupazione per la brevitas: il suo modello formale e stilistico è Sallustio. Gli importa la distinctio temporum, cioè la collocazione cronologica esatta degli avvenimenti, caratteristica propria del Cronografo dell'anno 334.

Per i suoi tempi egli è il punto di arrivo degli studi cristiani di cronografia che, attraverso le Chronographiai di Sesto Giulio Africano, posteriori al 221 d.C., e le Cronache, più o meno coeve, di Ippolito, culminano nella Cronaca di Eusebio e nelle sue traduzioni, tra cui quella latina di San Girolamo, che la estese sino al 378. Carattere di summa e di riepilogo delle ricerche cronografiche ha il cosiddetto Cronografo dell'anno 354, nella cui raccolta di documenti è inclusa anche la cronaca universale.

Lo sviluppo della cronografia cristiana risponde ad un'esigenza prima di tutto apologetica, per mostrare, l'antichità della fede cristiana con i suoi presupposti ebraici che risalivano fino alla creazione del mondo e per fornire ai cristiani, alla loro "sapienza" portatrice di "verità", uno strumento inoppugnabile da contrappore ai pagani. L'altra domanda, a cui risponde la cronografia cristiana, riguarda l'attesa escatologica della fine del mondo e il bisogno di sapere quando esattamente questo nostro mondo sarebbe finito. Con il presupposto della settimana cosmica e con l'ausilio dei calcoli cronografici, anche a tale domanda veniva fornita risposta.

Nella prospettiva dell'interesse del cristiano che, nei riguardi della storia, si sposta dalla riflessione sul passato proiettandosi verso il futuro, la storia diventa storia della salvezza: della salvezza eterna di tutti gli uomini e di ciascun uomo. Perciò la "storia" secondo i cristiani di questi primi secoli è volta (paradossalmente) tanto al passato quanto al futuro.

Per questi cristiani la vicenda storica va letta in chiave di salvezza eterna, di tutta l'umanità e non solo dalla creazione del mondo e dell'uomo fino ai tempi in cui vive chi scrive, ma fino alla fine del mondo e alla scomparsa dell'uomo dalla Terra. Una visione della storia non più soltanto come storia delle res gestae ma anche come storia delle res quae gerentur.

Esemplare sotto questo aspetto è Q. Giulio Ilariano, sul finire del s.IV, precisamente nell'anno 397. Egli è l’autore, forse dell'Africa proconsolare, di De cursu temporum (o De mundi duratione), di De ratione Paschae et mensis, contenente teorie e ricostruzioni del calcolo pasquale, composto del De cursu temporum (156.13 20 Frick), ma non ha suscitato interesse.²¹⁰

Il Liber genealogus pare posteriore al 397, data dei due scritti sicuri di Ilariano. Il nome si presenta con l'alternanza Hilarianus / Hilario. Il GELZER, lo indica come Q.Iulius Hilario, ma il Frick attesta, p. CCXVII, che il cod. Leid. Voss. n. 5 (s. VIII IX) posto a fondamento della sua edizione, reca ad inizio del testo: incipit liber Quinti Iuli Hilariani de cursu temporum e a chiusura: explicit liber Quinti Iuli Helariani. Dalla ricerca compiuta da Elena Malaspina nella Biblioteca Vaticana risulta che, nella Maxima Bibliotheca Veterum Patrum et antiquorum scriptorum, sul fondamento della Magna Bibliotheca Veterum Patrum di Margarin De La Bigne (la Vaticana ha la terza edizione di Colonia, 1618) ha il nome di Ilarione (il testo, basato su una tradiz. ms. diversa da quella a cui si riferisce il Frick, è nel t. VI, pp. 373 GH   376 F con il titolo De mundi duratione).

Il Gelzer, l'unico studioso che dedicò qualche attenzione ad Ilariano, non prese in considerazione l'atteggiamento di fronte alla storia di cristiani. Egli giudicò grottesca la rappresentazione apocalittica della lotta dell'Anticristo tracciata da Ilariano e tuttavia a prescindere dai deliria apocalittici chiliastici lo definisce spirito libero e ardimentoso e nonostante la sua rozzezza non indegno del confronto con Sulpicio Severo [Op. cit., pp. 128 129].

Occorre capire su quali presupposti si fondasse per ricostruire e costruire la storia.

Ilariano dimostra nel suo breve scritto (19 pagine nell'edizione Frick) Sul corso dei tempi che, come la creazione si compì in sei giorni e poi nel settimo il Creatore si riposò, e poiché, come si legge nel Salmo 89 (90) 4, citato nella seconda lettera di Pietro, 3.8, "presso il Signore mille anni sono come un giorno", così gli uomini sulla Terra vivranno seimila anni (che hanno il loro parallelo nei sei giorni cosmici), poi, quando incomincerà il settimo millennio (parallelo al settimo giorno dell'opera della creazione, nel quale Dio, come si legge nel Genesi, "si riposò"), tutti i giusti risorgeranno e per mille anni vivranno il dies septimus et sabbatus aeternus et verus (172.24 173.1 Frick), mentre i malvagi, per i medesimi mille anni, vivranno in mundo cum poena (172.23). Compiuti i settemila anni, terminata cioÞ la settimana cosmica, tunc erit secunda resurrectio omni carni (173.20 21), che segnerà il trionfo definitivo di Dio e dei giusti che avranno creduto in Lui.

La storia è tutta prefigurata nella vicenda della creazione divina del mondo: sei giorni, pi¨ il settimo in cui il Creatore si riposò: il mondo durerà per ciò la settimana cosmica dei 7000 anni in tutto.

Il procedimento dimostrativo di Ilariano è, a modo suo, semplice: gli basta contare con un calcolo, a suo dire, esatto (ratione cogente, 157.10) lo scorrere degli anni dalla creazione in avanti per sapere quando   cioè in quale anno esattamente   il mondo finirà. Ascoltiamolo nelle sue dichiarazioni perentorie, espresse in un latino più o meno "barbarico":

Nunc de annorum integro numero racio vertitur, ubi non potest quis pro perfecto numero imperfectum ponere, aut ipsum perfectum posse transcendere numerum, et quod minus fuerit aut plus a perfecto numero astruere verum. (157.18 22)

"Come", poi, il mondo finirà egli lo sa pure, perché lo trova scritto neIl'Apocalisse di Giovanni. Ilariano è sostenitore convinto della visione millenaristica. Su questa base egli respinge fermamente la sapienza mondana che sostiene (dice Ilariano, sempre nel suo latino approssimativo): mundi initium finemque eius paenitus [da intendere: "con sicurezza"] a nobis scire non posse (155.18 19): gli uni pretendono che il mondo abbia ormai pi¨ di ventimila anni, altri non vogliono ammettere per il mondo nÚ un inizio nÚ una fine, altri ne ammettono l'inizio ma vogliono il mondo eterno. Ma questa è un'ars philosophica mundi, replica Ilariano, che mira ad ingannare (è una inanis deceptio verborum, 156.2) con sfoggio di parole e di opinioni, un'ars philosophica che rifiuta la verità preferendo, appunto, "un vuoto inganno e sfoggio di parole e congetture". Ilariano invece, rivolgendosi più volte ai destinatari dello scritto (p. es.: si permittitis, 156.7) che gli è stato espressamente richiesto (ut vultis et ut ipse promisi, 157.1 2), mostrerà, basandosi sulla divina lex (cioè sulla Sacra Scrittura), quale sia la verità (quod, annuente Domino, si permittitis, vobis simpliciter [con schiettezza] enarrabitur, 156.6 7); e si arroga, senza superbia (egli dice) ma apertamente, il merito di riuscire a fare i calcoli necessari meglio di chi, tra i cristiani, lo ha preceduto. Egli applica la ratio (il criterio) che gli consente di arrivare con il computo al numero perfetto di anni, cioè a settemila anni, quanti ne durerà complessivamente il mondo. Se altri saprà fare i computi meglio di lui, egli non se ne adonterà affatto (cita, 157.12 17, come suo riferimento al riguardo, Paolo, I Cor. , 14.30).

Non seguiremo nei particolari i suoi calcoli minuziosi. Ci limitiamo a registrare le principali scansioni temporali secondo Ilariano: - dalla creazione di Adamo al diluvio universale: 2257 anni; - dalla creazione del mondo alla liberazione degli Ebrei dalla schiavit¨ di Egitto: 3699 anni; - dalla creazione del mondo a quando Samuele unse re Saul: 4300 anni; - dalla creazione del mondo all'inizio della cattivitÓ degli Ebrei a Babilonia: 4814 anni; - dalla creazione del mondo alla morte di Ges¨ Cristo: 5530 anni (170.21 22): a fabrica mundi usque ad passionem Christi salvatoris nostri anni sunt V milia DXXX [la morte di Gesù viene infatti collocata nel 16 anno di Tiberio (170.19 20), nel 29 [Sotto i consoli C. Fufio Gemino e L. Rubellio Gemino, il 25 marzo, come asseriscono, p. es., TERTULLIANO, Adversus Iudaeos, 8, 18; AGOSTINO, civ., XVIII 54]. Perciò dalla morte di Cristo al compimento dei 6000 anni mancano 470 anni: proinde ad conclusione VI milium annorum debentur anni CCCCLXX (170.23 24):

Necesse est enim ut, quo modo filii Israhel a pollicitatione domini dei facta ad Abraham post CCCCLXX annum promissionis terram acceperunt, [Gli Ebrei entrano nella Terra promessa dopo aver trascorso 430 anni in Egitto e 40 nel deserto] sic etiam nos Christiani post totidem annos primam resurrectionem habebimus (170.25  171.3)

"Di necessità", dice Ilariano: infatti, egli continua, Populus enim Iudaicus in omnibus figuram nostram portat, "in quos fines saeculorum cucurrerunt" (Paolo, l Cor. 10.11).

Chiarisce così i suoi calcoli: Ergo a passione domini Christi, ex quo tempore in se fide credentibus resurrectionem pollicitus est dei filius, anni compleantur necesse est CCCCLXX, ut concludatur summa VI milium annorum. Septimo et millesimo anno incipiente fide vera credentes liberabuntur e mundo: tunc enim erit resurrectio prima omnium sanctorum. De CCCC vero et LXX annis a passionem domini in consolatu Caesari et Attici die VIII Kal. Aprilis anni transierunt CCCLXVIIII. Restant itaque anni CI, ut consummentur anni VI milia (171.5 14).

Dunque dalla passione di Cristo Signore, dal quale tempo il figlio di Dio ha promesso la resurrezione per coloro che credono in lui, di necessità devono compiersi 470 anni, affinché si completi la somma dei 6000 anni. Quando incomincerò il settimo millennio, i credenti nella vera fede saranno liberati dal mondo: allora infatti ci sarà la prima risurrezione di tutti i santi. Dei 470 anni dalla passione del Signore fino al consolato di Cesario e di Attico [cioè fino al 397, quando appunto sono consoli Flavio Cesario e Nonio Attico Massimo], il giorno ottavo avanti alle calende di Aprile [il 25 marzo, giorno in cui fu creato il mondo (158.21 22) e giorno della morte di Cristo sono trascorsi 369 anni [Infatti dal 29 d.C., cioè dal 16 anno di Tiberio, in cui è collocata, come abbiamo visto, la morte di Cristo, al 397, quando Ilariano scrive, sono trascorsi, contando sia l'anno di inizio, 29, sia l'anno di arrivo, 397, appunto 369 anni]. Restano pertanto 101 anni per completare i 6000 anni.

Ilariano descrive (171.14 172.24; 173.15 174.4) sul fondamento dell'Apocalisse, capp. XIIss che cosa avverrà nei prossimi cento e uno anni: saranno anni terribili per tutta l'umanità. Questo mondo finirà nell'anno 497 (contando sia l'anno di partenza sia quello di arrivo).

Il 397, l'anno in cui Ilariano scrive, è l'anno in cui muoiono Ambrogio di Milano e Martino di Tours, è l'anno in cui Alarico in Grecia con i suoi Goti devasta regioni sacre alla civiltà dell'Ellade; in Asia e in Tracia le truppe imperiali combattono contro gli Unni invasori; in Africa il generale mauro Gildone si ribella ad Onorio e priva Roma degli essenziali rifornimenti di grano: nel tardo autunno salpano da Pisa, dopo un'allocuzione di Onorio, le truppe scelte per domare la rivolta di Gildone in Africa. Girolamo (epist. 60.16) descrive gli orrori e lo sgomento dei Romani: Inorridisco ad esporre le catastrofi dei tempi nostri: son vent'anni, ed anzi di più ancora, che tra Costantinopoli e le Alpi Giulie ogni giorno si versa il sangue romano. Scizia, Tracia, Macedonia, Tessaglia, Dardania, Dacia, Epiro, Dalmazia, tutte le Pannonie sono devastate, depredate, saccheggiate dal Goto, dal Sàrmata, dal Quado, dall'Alano, dagli Unni, dai Vandali, dai Marcomanni. Quante donne, quante vergini consacrate, e persone libere e nobili hanno subìto oltraggio da queste belve! Vescovi fatti schiavi, preti uccisi, come anche membri del clero dei più diversi gradi, chiese in rovina, accanto agli altari di Cristo le lettiere dei cavalli, dissotterrate le reliquie dei màrtiri: ovunque pianto, ovunque lamenti, ed appare in infinite forme la morte [ubique luctus, ubique gemitus, et plurima mortis imago: Eneide, II, 368 s.] Il mondo romano crolla (Romanus orbis ruit) ma la nostra testa superba non si piega. Quale sarà, secondo te, lo stato d'animo dei Corinzi, degli Ateniesi, dei Lacedèmoni, degli Arcadi e di tutti gli abitanti della Grecia, sotto il dominio di barbari? E non ho nominato che poche città, che furono un tempo grandi potenze (tr. di E. Gallicet).

In Ilariano non si trovano riferimenti alla realtà contemporanea: il punto di riferimento è l'Apocalisse ed è sulla trama dell'Apocalisse che costruisce le sue scene. La figlia di Babilonia, Roma (l'impero romano), sarà tolta di mezzo dai dieci re su cui regnerà il dragone dell'Apocalisse: saranno gli Anticristi tempora in cui si scateneranno le forze demoniache. Ma alla fine dei 6000 anni, nel 497 d. C., l'Anticristo sarà ucciso, il dragone, diavolo e satana, sarà legato e chiuso nell'abisso; ci sarà la risurrezione di tutti i santi, qui sulla terra (l'analogo della Terra promessa per i figli di Israele), dove resteranno e vivranno mille anni. Al compimento dei 7000 anni ci sarà poi la seconda risurrezione, di tutti gli altri uomini, malvagi, che saranno giudicati e condannati secondo il giudizio giusto di Dio pro eo quod non crediderunt deo sed sibi placuerunt in iniustitiis suis. Et post haec auferetur caelum hoc et terra ista. (173.20 24). Sarà il trionfo definitivo di Dio: Et erit caelum novum et terra nova et utraque in perpetuitate manebunt, impii in ambustione aeterna, iusti autem cum deo in vitam aeternam. Amen. (174.1 4)

In Ilariano non appare alcuna differenza nel grado della sua conoscenza del passato, del presente e del futuro: tutto è già stato scritto nella Scrittura, basta saperla leggere e fare i conti in maniera rigorosa (ratione cogente). Perciò egli con egual grado di certezza sa come si è svolto il passato e sa (grazie all'Apocalisse) come si svolgerà il futuro. Egli sa quando è incominciato il mondo e sa egualmente quando finirà. Il concetto di storia è totalmente stravolto.

Nessun riferimento esplicito agli eventi contemporanei, in Ilariano: eppure non possiamo sottrarci al pensiero che avesse ben presente la profezia, che correva tra i pagani, secondo la quale la religione cristiana sarebbe finita nel 398, cioè l'anno successivo a quello in cui Ilariano scrive.

Di questa profezia siamo informati in maniera chiara da Agostino (civ., XVIII 53 54). Dopo aver esposto la convinzione che non era possibile all'uomo conoscere quando il mondo finirà, perché Cristo ha detto (Atti 1.6 7) che non compete all'uomo conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato a sé: quindi dalla Scrittura non si può ricavare la data della fine del mondo, ci informa che i pagani, interpretando un supposto oracolo greco, attribuivano all'apostolo Pietro di aver compiuto atti di magia nera comprendenti l'uccisione di un bambino di un anno (la vecchia accusa di infanticidio) per ottenere che il nome di Cristo fosse venerato nel mondo per 365 anni (tanti anni quanti erano i giorni di vita vissuti dal bambino sacrificato): poi tutto sarebbe finito. Dunque secondo questi pagani la nuova religione sarebbe durata 365 anni, né uno di più né uno di meno. Gli anni della profezia sono 365 quanti sono i giorni dell'anno. Il Salmo 89, su cui si basa Ilariano, afferma che per Dio un giorno è come mille anni; invece per i pagani un giorno è come un anno. C'era il precedente di Roma presa dai Galli di Brenno proprio nel suo 365 anno di vita (Livio, Ab urbe condita, V 54.5: Furio Camillo, salvatore di Roma, parla ai concittadini per convincerli a non emigrare a Veii e ricostruire Roma distrutta dagli incendi): trecentesimus sexagesimus quintus annus Urbis, Quirites, agitur.

Agostino dice che i pagani ostili alla nuova religione avevano previsto la fine del cristianesimo nell'anno del consolato di Onorio e di Eutichiano, cioè proprio nel 398. Ma Agostino pone l'inizio del cristianesimo l'anno stesso della morte di Cristo, 25 marzo del 29, e più esattamente, il giorno della Pentecoste, 15 maggio del 29 (lo Spirito Santo discende sugli Apostoli e i discepoli), cioè cinquanta giorni dopo la risurrezione del Salvatore. Come può dunque Agostino sostenere che i 365 anni portano al 398? E' chiaro: 29 + 365 = 394 (l'anno dell'ultimo tentativo di riscossa   fallito   dei pagani con la battaglia del fiume Frigido), non 398. Tuttavia Agostino dice che la Chiesa incominciò la sua esistenza il giorno delle idi di maggio, cioè il 15 maggio, del 29 e che i 365 anni si compirono il 15 maggio del 398. Per quanto si intendesse poco di matematica, certo, ha osservato argutamente Jean Hubaux, fino a 365 sapeva contare! L'Hubaux pensava che, senza troppo preoccuparsi di calcoli, Agostino avesse accettato per la morte di Gesù il dato cronologico comunemente ammesso, il 29, ma che il calcolo dei 365 anni fosse basato sull'altra data, che veniva pure indicata, del 33 come anno della morte del Cristo: in tal caso i conti tornano: 33 + 365 = 398.

Propongo un'altra spiegazione: i 365 anni decorrono dall'anno in cui Pietro compì il sacrificio rituale del bambino, nel 33 (quattro anni dopo la morte di Cristo, ma anche l'anno della morte di Cristo): ma Agostino non sa e comunque non ci dice in quale anno Pietro avrebbe compiuto il (supposto) rito magico cruento. Quale che sia la spiegazione delle discordanze nel calcolo di Agostino, mi pare che debba essere in ogni caso accettata la data del 398 come data della profezia (di parte pagana) della fine del cristianesimo. Ilariano, scrivendo nel 397, un anno prima della scadenza della supposta profezia, vuole rassicurare gli amici (e tutti i lettori) che la fine del mondo (per i cristiani la fine del cristianesimo sarebbe coincisa con la fine del mondo) non sarebbe avvenuta di lì ad un anno, ma di lì a cento e uno anni. Il calcolo (ratio) era sicuro (cogens). La sua generazione non doveva lasciarsi prendere dal panico davanti al mare di sciagure del 397: esse non erano il segno della fine del mondo imminente.

Nella prospettiva di Ilariano i cicli della concezione pagana, cioè il ritorno, a tempi determinati, degli stessi uomini e degli stessi fatti: di nuovo ci sarà Socrate, di nuovo verrà condannato, di nuovo berrà la cicuta, per Ilariano sono, in forma analoga, i tu/poi, le figurae (AA.VV. La terminologia esegetica nell'antichità, Bari 1987; M. SIMONETTI, Lettura e/o allegoria. Un contributo alla storia dell'esegesi patristica, Roma 1985; ID., in "Vet.Christ., 1981, pp. 357 382). I 470 anni, che Abramo e i suoi discendenti vissero prima di poter entrare nella Terra promessa, prefigurano e quindi preannunziano i 470 anni che i seguaci di Cristo dovranno attendere prima che si realizzi per loro l'età del settimo millennio. La "figura" è valida non solo come prefigurazione   in ciò che è avvenuto al popolo eletto prima della venuta di Cristo   di ciò che avverrà ai fedeli del Salvatore dopo la sua morte, ma anche nelle sue precise indicazioni temporali. Questo è il fondamento della ratio cogens di Ilariano.

Il dato tipico di Ilariano fa capire come la vicenda profana dell'uomo, la storia propriamente umana, venisse svuotata dai cristiani di ogni interesse. Il significato della storia era collocato altrove e quindi la storiografia come genere letterario, come ricerca delle cause dei fatti, come ricostruzione e interpretazione delle vicende dei popoli, non poteva avere sviluppo, perché gli avvenimenti e le loro cause erano già tutti prefigurati nella Scrittura. Da questa svalutazione è da escludere la storia ecclesiastica.
I cristiani di Occidente hanno la loro prima opera di storia con Orosio, Historiae adversus paganos, composte per incitamento di Agostino (praeceptis tuis parui, beatissime pater Augustine: le prime parole delle Storie di Orosio), cioè proprio del pensatore che si opponeva nel De civitate Dei, XVIII 53 54, alle convinzioni di chi come Ilariano pensava che la storia fosse già tutta scritta, per il passato, e tutta prefigurata, per il futuro, nella Sacra Scrittura. Non a caso il primo storico cristiano, Orosio, intitola Historiae la sua opera, così segnando in maniera netta lo stacco da Sulpicio Severo, che intitolando Chronica la sua opera si poneva, sulla linea degli autori cronografi (autori di Chronica), di cui l'ultimo e illustre esempio, nell’occidente era stato Girolamo. Ma tra i Chronica di Sulpicio Severo e le Historiae di Orosio si pone la Città di Dio di Agostino, fondazione della teologia della storia.

Nei M.G.H., Auct. Antiquissimi, XIII. Chronica minora, III, pp. 415 417, il MOMMSEN pubblicò la Expositio temporum Hilariana a. CCCCLXVIII. Nella prefazione l'ignoto autore cerca di spiegare come mai il mondo non sia ancora finito. Infatti, leggendo nel testo di Ilariano che dalla creazione del mondo fino alla morte di Cristo erano trascorsi 5570 anni, e non 5530 secondo il testo delle ediz. di Ilariano, e che, per arrivare ai 6000 anni, dalla morte di Cristo dovevano trascorrere ancora 430 anni, e non 470, secondo gli editori di Ilariano, ne deduceva esplicitamente che la fine del mondo doveva collocarsi nell'anno 463 (per arrivare al 463 l'ignoto autore ai 430 anni ne doveva aggiungere 33, collocando quindi la morte di Cristo non nel 29, ma nel 33).

L'ignoto autore scrive nel 468, e appare evidente che la ratio di Ilariano non era affatto cogens e i calcoli ilarianei erano sbagliati. Egli tuttavia sa che non i calcoli in sé erano sbagliati, ma sbagliate erano le indicazioni cronologiche di Ilariano riguardanti le vicende delle singole generazioni e del popolo ebraico perché Ilariano le aveva ricavate non ex Hebraicis voluminibus sed ex septuaginta interpretum translationibus. La responsabilità dell'errore di Ilariano era così scaricata sulla versione dei Settanta. Ci siamo soffermati su questa curiosa Expositio per mostrare come le teorie di Ilariano avessero avuto una certa diffusione nel mondo cristiano, almeno fino all'anno 468. Non è quindi vero che, come scriveva il Gelzer, Sex. Jul. Afric., op. cit., II p. 23, la Cronaca di San Girolamo avesse raggiunto in Occidente una popolarità tale da far dimenticare del tutto l'operetta di Ilariano.
IOANNES CASSIANUS (370 435)²¹¹
Augustini opera de gratia et libero arbitrio Adrumeti monachos non parum turbaverat. Ad quos misit tractatus De gratia et libero arbitrio et De correptione et gratia, quibus mentem suam explanat de gratia et praedestinatione: cum enim originale peccatum fecisset homines universos massam damnationis, in ea Adae praevaricationis voluntate inclusum erat universum genus humanum. Potuit Deus, nulla facta iniustitia, damnare omnes homines. At misericordi consilio, prae omni iudicio meriti, ex hac massa damnationis numerum clausum, neque augendum neque minuendum elegit, cui donat auxilium quo, id est efficacem gratiam qua, convertuntur perseverant salvantur vel cadunt surgunt, salvantur. Si cadunt neque surgunt non inter praedestinatos annumerandi sunt. At cur iste vocatur, ille gratiam ineundi sed non perseverandi suscipit, ille denique ineundi, perseverandi, salvandi se? Mysterium imperscrutabile sapientiae divinae hoc est!

Utrum pacem fecerit nescimus. Verum doctrina potissimum in Gallia australi et in Provincia oppositores invenit, inter quos Cassianus (c.360 435) et Vincentius Lerinensis (c.440), Faustus Reiensis (c.405 490) annumerandi sunt. In hoc grege ortus est error a theologis s. XVI vocatus semipelagianesimus. Theologi econtra augustiniani fuerunt: M.Mercator (c.451), Prosper Aquitanus (c.463), Fulgentius Ruspensis (c.467 532), Caesarius Arelatensis (470 542).

Natione scytha (hodie Dobrugia inter Romaniam et Bulgariam), teste Gennadio (Vir.ill. 62 = p.82 Richardson: Cf La patrie de Jean Cassien, in Christianisme et Culture, 345 361: Scythia, Scythopolis, Gallia Australis: synthesis Revue du Moyen Age Latin 1(1945)7 17 et Mélanges Guillaume de Jerphanion, 2, Orientalia Christiana Periodica 13, Roma 1947, p.588 596 = "Sorti d'une vielle famille de propriétaires fonciers (maioribus nostris avita possessio), il portait tout naturellement le surnom géographique qui le rattachait à son canton natal" (Scythia, sive parva regio in Histria in terra boreali iuxa Tomi, heres antiquorum Scytharum), natus est c. anno 365.

Optime institutus est Graecis atque Latinis litteris, atque cum Germano in Palaestinam et in Aegyptum peragravit, ad monasticam vitam sequendam.

Constantinopoli anno 399 Ioanni Chrysostomo favit in controversia origeniana et diaconus ab eo ordinatus est. Anno 405 cum amico Germano Romae apud Papam Innocentium I eundem Ioannem defendit contra Theophilum Alexandrinum, ibique probabiliter decem annos commoratus est, Leonemque futurum pontificem cognovit. Presbyter ordinatus paulo post a.415 Massiliam petiit monasterium s.Victoris pro viris alterumque pro mulieribus fundavit ac praefuit usque ad mortem (a.435), vitam coenobiticam cum anachoretica componens.

Synthesim operatur in talibus 'colloquiis' suae experientiae apud monacos coptos, in Aegypto, Graecos, iuxta moderamen praeceptorum Ioannis Chrisostomi et Evagrii, Gallos Romanosque. Psychologia altissima utitur vitae interioris. Magnum influxum habuit in Regulam s.Benedicti in Italia et Isidori in Hispania. Eadem spirituali methodo est usus Honoratus in insula Lerino (ante portum Cannes), ex qua innumeri abbates, episcopi et docti laici profecti sunt: Eucherius Lugdunensis, Vincentius Lerinensis, Valerianus Cemeliensis ( nelanus) [Cemenelum = Cimiez), Faustus Reiensis, Caesarius Arelatensis.

Ponunt eum in aevo tardo antiquo notio Graeci sermonis et mens contra Augustinum; ponunt in aetate Media exaltatio monasticae vitae.
Exaravit De institutis coenobiorum et de octo principalium vitiorum remediis L.12 (a.420 424), addita 'cenodoxia' superbiae, et 24 Collationes patrum, 1 10 (a.420), 11 17 (a.426), 18 24 (a.429), analysi psychologica et ascetica repletos vitae interioris, qui veluit vademecum fuerunt in aetate Media ad salutem aeternam adipiscendam. Prosito enim fine ascetico contemplationis media ad eum consequendum explanatur: suipsius abrenuntiatio ut Christo fiat conformis, ieiuniis, vigiliis, lectionibus et meditationibus divinarum scripturarum, psalmodia, precibus continuis.

Collationes appellat quia dialogos exponit quos una cum amico Germano habuit cum eremitis Aegypti, at minime dialogi sed sermones sunt.

De incarnatione Domini contra Nestorium libri VII, scriptum est hortante archidiacono Leone (postea Pontifex) ad regulas conferendas (cf Lexique des anciennes regles monastiques occidentales..., Steensrugis 19.. = SL 1 208(7)). Mortuus est ad annum 435, a. fere 420.

De institutis coenobiorum et de octo principalium vitiorum remediis L.XII (a.420 424). Libri I IV de structura pertractant monasteriorum Aegypti et Palaestinae, de habitu (1) de officio nocturno (2) et diurno (3) de vita communi et virtutibus monaci (4). Quintus contra vitium gulae, sextus luxuriae, septimus avaritiae, octavus irae, nonus tristitiae, decimus acediae, undecimus cenodoxiae, duodecimus superbiae.

24 Collationes patrum, sunt fictae collationes cum clarissimis Aegypti anachoretis. Quarum pars prima (1 10) a.420 edita in deserto Scetis collocatur ubi Moises abbas de vita religiosa et virtute discretionis disserit (1 2), alii de tribus concupiscentiis et octo vitiis capitalibus (3 5), de morte santorum anachoretarum (6), de animi mobilitate et cogitationum (7) de daemonibus (8) de oratione (9 10); secunda pars (11 17) edita a. 426 in Thebaide collocatur Altae Aegypti, ubi abbas Cheraemon de perfectione (11) de castitate (12) de Dei providentia de libero arbitrio et de gratia potissimum (13) loquitur; Abbas autem Nesteros de scientia spirituali (14) de charismatibus (15), abbas Ioseph de amicitia (16) de fidelitate (17); ceterae collationes (18 24) editae a.429 apud Nili Deltam ponuntur in loco 'Dioclos', ubi abbas Piamum de tribus monachorum generibus colloquitur (18), Ioannes de fine vitae coenobiticae et eremiticae (19); ceteri de poenitentia (20), de ieiuniis (21), de tentationibus (22) de peccato vitando (23), de mortificatione (24).

De incarnatione Domini contra Nestorium libri VII: rogatu archidiaconi Leonis [Magni] scripsit (praef.) et perfecit a.430 cum Romae synodus contra Nestorium celebraretur.
Latinitas
In historia monasticae vitae maximi momenti habetur Cassianus, qui in occidente notam fecit atque vulgavit consuetudines et mores orientalium, praecipue opera origeniani Evagrii Pontici, sed etiam Historiam Monachorum, Historiam Lausiacam Palladii, Apophthegmata (Dicta) Patrum. Per abrenuntiationes radicales atque per gradualem 'discretionem' cenobita pervenit ad 'puritatem cordis' usque ad 'contemplationem', quod est maximum et peculiare donum eremitae. Cum nimis humana incepta extulisset, gratiaeque munus imminuisset, praesertim in XIII Collatione, ab augustiniano Prospero Aquitanensi non recte sensisse iudicatus est atque semipelagianismo originem dedit. Monasticae vitae spiritus: "... patientiam tuam non debes de aliorum sperare virtute, id est ut tunc eam tantummodo possideas, cum a nemine fueris inritatus   quod ut possit non evenire, tuae non subiacet potestati  , sed potius de humilitate tua et longanimitate, quae in tuo pendet arbitrio. Et ut haec omnia, quae latiore sermone digesta sunt, cordi tuo facilius inculcentur ac tenacissime tuis sensibus valeant inhaerere, quoddam ex his breviarium colligam, per quod possis brevitate et conpendio mandatorum memoriter universa conplecti.
Audi ergo paucis ordinem, per quem scandere ad perfectionem summam sine ullo labore ac difficultate praevaleas. 'Principium' nostrae salutis ac 'sapientiae' secundum scripturas 'timor Domini est'. De timore Domini nascitur conpunctio salutaris. De conpunctione cordis procedit abrenuntiatio, id est nuditas et contemptus omnium facultatum. De nuditate humilitas procreatur. de humilitate generatur mortificatio voluntatum. Mortificatione voluntatum exstirpantur atque marcescunt universa vitia. Expulsione vitiorum virtutes fruticant atque succrescunt. Pullulatione virtutum puritas cordis adquiritur. Puritate cordis apostolicae caritatis perfectio possidetur".

Vita Antoni (Athanasii) et Institutiones et Collationes praecipui habendi sunt fontes vitae monasticae, licet Decretum Gelasianum inter libros non recipiendos reiecerit, Benedictus usus sit in Regula componenda easque legendas bis disposuerit (42, 73).

Stilus facilis et perpolitus sermo neologismos non devitat neque prolixitatem.

Doctrina Cassiani de gratia et libero arbitrio
M.nne ZANANIRI, La controverse sur la prédestinaion au Ve siècle. Augustin, Cassien et la tradition [AnPhil Cassianus opponit Augustino doctrinam theologicam cohaerentem cum traditione et aptissimam ad methodum quod spectat. Econtra Augustinus in controversia quae dicitur semipelagiana videtur opponi universae Patrum traditioni. De consonantia autem et 'incomprensione' iam locutus erat D.J. MACQUEEN, Iohn Cassian on grace and free Will: RecTH 44(1977)5 28; C:TIBILETTI, Giovanni Cassiano. Formazione e dottrina: Augustinianum 17(1977)355 380.
Prima semipelagianismi vestigia inveniuntur apud Ioannem Cassianum (Coll.XIII). Qui Deo varios tribuit modos vocandi homines ad salutem, quorum nonnullos nescios esse asseverat ut Andreas et Petrus fuerunt (nihil de salutis suae remedio cogitantes), quosdam autem et invitos ut Paulus fuit (invitum et repugnantem), quosdam iam desiderio ad Deum conversos (et hoc est error), ut Zacchaeus (ad conspectum Domini se fideliter extendentem) et Cornelius (praecibus et eleemosynis iugiter insistentem). Scilicet homo per liberum arbitrium potest desiderare bonum et ad Deum converti. Quod desiderium finem suum non consequetur nisi adiuvante gratia, quae favet ei et ad exitum ducit. Gratia igitur est adiutorium quo carente voluntas sterilis et inefficax manet (sine quo non volumus, id est non perficimus); quod non est auxilium quo volumus, sine quo ne minimum quidem desiderium boni habere possumus (V.MESSANA, Povertà e lavoro nella paideia di Giovanni Cassiano, Caltanissetta 1985).
Errores Massiliensium id est semipelagianesimus

Duo ad nos pervenerunt epistulae anno 428 ad Augustinum missae: altera Prosperi Aquitani, strenui Augustini defensoris, altera cuiusdam laici Hilarii. Tres, brevi eloquio, sunt sententiae quibus semipelagianesimus innititur:

1) Libero arbitrio potest homo bonum desiderare supernaturale, licet perficere non possit desiderium hoc sine gratiae adiutorio.
2) Deus vult omnes homines salvos fieri gratiamque omnibus tribuit ut salventur, cui respondere possint, si velint.

3) Nulla est praedestinatio, licet Deus ante videat merita et demerita; homo moribus suis praedestinationis est causa.

Lectio divina
J.LECLERQ, Cultura umanistica e desiderio di Dio, tr.it. Firenze 1965.
Monaci rudimentis litterariis instituebantur ut legere ac intellegere possent 'lectionem divinam'. 'Lectio' a 'legere' non aliud est ac 'meditatio' a 'meditari' ut apud Regulam S.Benedicti invenitur. Postea praecipua litterarum monasticarum aetatis mediae nota fuit ut 'reminiscentia'.

Etenim apud antiquos non tantum oculis sed ore et auribus legebatur, verba scilicet pronuntiando, exprimendo, et audiendo, ita ut intellegerentur 'voces paginarum'. Ita lectio idem est ac auditio: 'legere' idem valet ac 'audire'. Haec est 'clara lectio'. Lectio tacita vel submissa voce adhibetur etiam, teste Benedicto: 'tacite legere' vel 'legere sibi', et Augustino: 'legere in silentio', sed potior est lectio activa, scilicet motus coniuncti vocis, oris, oculorum. Quod proximum est 'meditationi'. Meditari in latino sermone pagano idem valet ac cogitare, perpendere, considerare, sed ad actionem ponendam vel directionem moralem sequendam.Cogitatur de aliqua re ad praefigurandam eam in spiritu, ad desiderandam eam, ad parandos semetipsos, ad exercendos semetipsos adeam ad actum quasi anticipate deducendam. Ideoque vox spectabat ad exercitia corporalia et ludicra [sportivo], militaria, scholastica, rhetorica, poetica, musica et moralia. Exercitare ac cogitare semetipsos hac in provincia idem est ac in memoria quodlibet figere ac discere. Haec omnia inveniuntur et apud christianos, sed verbum exercetur erga Summum Verbum, quod in sacris Litteris continetur, atque apud Patres explicatur. In Christianum lexicon verum haec vox, meditatio, ingressa est per versiones biblicas et Vulgatam, ac potissimum per monasticam traditionem asservatam ad usque nostram aetatem, cum novis significationibus et levibus immutationibus. In Biblia sacra meditatio est versio vocis hebraicae 'haga, et valet discere Thora et verba Sapientium, dicenda submissa voce, recitanda ad semetipsos, atque ore murmuranda.

Hic modus discendi potius est ediscere, sed dicendus esset ore discere, quia apud antiquos 'discitur ore', quod meditatur sapientiam: Os iusti meditabitur sapientiam. Pro quibusdam textibus murmur minimus erit, interior, spiritualis, sed significatio vocis manet: dicere sacra verba ad figenda ea in semetipsis. Est ergo lectio per aures et exercitatio memoriae et considerationis: loqui   cogitare   recordari. In christiana et in rabbinica traditione nonnisi de textu meditari potest, scilicet de Verbo Dei: est ergo meditatio complementum necessarium et veluti idem ac 'lectio divina'. Nostra aetate meditatio quid abstractum factum est: meditatur de divinis attributis, Cartesius perscripsit 'Meditationes'. Apud antiquos meditari idem est ac legere textum et ediscere totis viribus, corporis per os quod eum recitat, memoriae quae eum imprimit, intellectus qui sensum intellegit et exprimit, voluntatis quae desiderat ad actum eum deducere. Haec actio innititur ergo litteris. Primum monachorum instrumentum ad bona opera explenda est textus, qui lectionem meditatam verbi Dei permittit. Exegesis monastica ad vitam ergo spectat non ad scientiam abstractam.

Litterae magnum momentum habent una cum activitatibus psychologicis ad legendum et meditandum, sunt quaedam condicio necessaria. Ad meditationem explendam oportet novisse, discere et pro nonnullis etiam docere 'grammaticam'. Quam Quintilianus dicit esse Litteras, Mariusque Victorinus, Varronem laudans, declarabat: "Ars grammatica quam litteras vocamus est scientia earum rerum quas poetae, historici, oratores dixerunt" ...praecipui eius fines sunt scribere, legere, intelligere experiri (Ars gr. 1,6s). Grammatica est igitur primus gradus et fundamentum culturae generalis. Voces Grammaticus et litteratus fere synonimae sunt ad indicandum hominem, qui scit legere, scilicet non tantum litteras legere sed textus intelligere. Grammatica est analysis logica categoriarum intelligendi. Haec analysis fit expressiva cum textus recitatur ad semetipsos, cum optime intellectus sit. Institutio monastica est ergo 'dominici schola servitii', cum quaerat Deum.

EUCHERIUS Lugdunensis (+ 450)
S.PRICOCO, Eucherio di Lione, Il rifiuto del mondo, BPI 16, Firenze 1990.
Inter Lerinenses peculiarem locum obtinuit Eucherius, Lugdunensis episcopus a.434 450, quem coaevi laudaverunt propter doctrinam et sanctitatem.

Eucherius scripsit de exegesi biblica atque ascetica doctrina: Formulae spiritalis intellegentiae et Instructiones, De contemptu mundi et saeculari philosophia (ad Valerianum hortandum ut fugeret a mundo), De laude eremi (in quo extollit pacem et gaudia solitudinis Lerinensis), Passio Acaunensium martyrum (Legionis Thebanae).

Epistula de fuga mundi est parvus tractatus qui extollit vitam chritianam et asceticam.
VINCENTIUS LERINENSIS (+ f.450)
Monachus et presbyter in monasterio illo ab s.Honorato fundato (a.429) in quadam insula Lerina (coram Cannes) cui et nomen donaverat, obiit ante a. 450, Vincentius qui Commonitorium (memoriale, commentaria in adiutorium memoriae), coscripserat a. 434. Brevis est tractatus 28 capitum, qui ab Reformatione quam vocant usque ad dies nostros miram obtinuit fortunam: fere centum editiones totidemque versiones. Duobus in libris res est divisa, in secundo autem tantum summa usque ad nos pervenit.
Epitome quaedam est clarissima ac severa forma doctrinarum Patrum de fontibus fidei christianae deque rationibus verae fidei decernendae. Nonnulli auctores (a G. Vossius a.1618, ad G. Bardy in DTC a.1950) magni existimant locum c. 28 de 'privatis opiniunculis' et polemicos fines contra Augustinum habuisse opinantur, cuius de gratia doctrina receptam non fuisset ab monachis Adrumeti atque Aquitaniae, a quibus postea semipelagianesimus originem sumpsit, propterea se celavisse sub Peregrini nomine.

Stilus est concinnus et classicam auctoris institutionem patefacit qui novit De praescriptione Tertulliani, quem Commonitorium sequitur fere re et momento (U.HÜNTEMANN, Tertulliani De Praescriptione Haereticorum libri. Analysis, cum appendice De Commonitorio Vincentii Lirinensis, Ad Claras Aquas 1924, 61 76).Tertullianus in opere De praescriptione haereticorum criteria statuerat catholicitatis et hortodoxiae, Vincentius autem veras a falsis doctrinis distinguendi rationes tradit. Huiusmodi ratio decernendi veritatem in traditione, 'quod ubique, quod semper, quod ab omnibus creditum est', et doctrina de dognatis progressu ut organica auctio non autem coniunctio elementorum exstraneorum, clarissima habentur, eisque innititur Concilium Vaticanum I (Set. III, 1870), in Constitutione de fide catholica, in qua Commonitorium laudatur.

Eundem auctorem faciunt operis Obiectiones Vincentianae, quod periit, quodque ex refutatione Prosperi Aquitaniae novimus, et Excerpta sanctae memoriae Vincentii Lirinensis insulae presbyteri ex universo beatae recordationis Augustini episcopi in unum collecta, quod inventum est a. 1940 in Hispania atque editum a J. Madoz: collectio est locorum Augustini, inter praefationem et conclusionem, contra Nestorianos.

Commonitorium ( a) scripsit paulo post Ephesinam Synodum (431): pervenerunt ad nos primum et quaedam synthesis utriusque. Scriptura Sacra fundamentum extat doctrinae christianae, quae autem interpretanda est iuxta antiquiorem atque concordem traditionem: "In ipsa item catholica ecclesia magnopere curandum est, ut id teneamus quod ubique quod semper quod ab omnibus creditum est; hoc est etenim vere proprieque catholicum". Hic Locus, frequentissime laudatus in theologicis tractationibus, ab Vincentio intenditur sensu restrictivo contra doctrinam innovatricem augustinianam de gratia; propter quod Vincentius est habendus quasi semipelagianus.

Ad dignoscendam veram fidem alterum criterium a sacra scriptura, alterum autem ab ecclesiae traditione attingit: "primum scilicet divinae legis auctoritatem, tum deinde ecclesiae catholicae traditionem". Huiusmodi "ecclesiasticae intelligentiae auctoritas", "ecclesiastici et catholici sensus norma" ita est necessaria "ut id teneamus, quod ubique, quod semper, quod ab omnibus creditum est" (2,1 5).

Distinctio univeralitatis, seu Catholicitatis, localis, temporalis, personalis, aliquantulum rhetorica videtur (si ubique, si semper, omnes crediderunt), sed sollemnitatem quandam doctrinalem insinuat. Et declaratur vel assimilatur cum catholicitate, cum apostolicitate (antiquitas), cum unitate (consentio omnium).

Vincentius concinnitate et proprietate linguae ceteros vincit auctores eiusdem aetatis.
Commonitorium

Pricoco S., Vincenzo di Lerino, Il Commonitorio. [1995 in preparaz.]

2. Dicente scriptura et monente: Interroga patres tuos et dicent tibi, seniores tuos et adnuntiabunt tibi, et item: Verbis sapientium adcommoda tuam aurem, et item: Fili, meos sermones ne obliuiscaris, mea autem uerba custodiat cor tuum, uidetur mihi minimo omnium seruorum Dei Peregrino, quod res non minimae utilitatis Domino adiuuante futura sit, si ea quae fideliter a sanctis patribus accepi, litteris conprehendam, infirmitati certe propriae pernecessaria, quippe cum adsit in promptu, unde inbecillitas memoriae meae adsidua lectione reparetur. Ad quod me negotium non solum fructus operis, sed etiam consideratio temporis et opportunitas loci adhortatur. Sed tempus, propterea quod, cum ab eo omnia humana rapiantur, et nos ex eo aliquid in inuicem rapere debemus, quod in uitam proficiat aeternam; praesertim cum et adpropinquantis diuini iudicii terribilis quaedam exspectatio augeri efflagitet studia religionis, et nouorum haereticorum fraudulentia multum curae et adtentionis indicat. Locus autem, quod urbium frequentiam turbasque uitantes remotioris uillulae et in ea secretum monasterii incolamus habitaculum, ubi absque magna distractione fieri possit illud quod canitur in psalmo: Vacate, inquit, et uidete quoniam ego sum Dominus...

Hic forsitan requirat aliquis: Cum sit perfectus scripturarum canon sibique ad omnia satis superque sufficiat, quid opus est ut ei ecclesiasticae intellegentiae iungatur auctoritas? Quia uidelicet scripturam sacram pro ipsa sui altitudine non uno eodemque sensu uniuersi accipiunt, sed eiusdem eloquia aliter atque aliter alius atque alius interpretatur, ut paene quot homines sunt, tot illinc sententiae erui posse uideantur.

Aliter namque illam Nouatianus, aliter Sabellius, aliter Donatus exponit, aliter Arrius, Eunomius, Macedonius, aliter Photinus, Apollinaris, Priscillianus, aliter Iouinianus, Pelagius, Caelestius, aliter postremo Nestorius. Atque idcirco multum necesse est propter tantos tam uarii erroris anfractus, ut propheticae et apostolicae interpretationis linea secundum ecclesiastici et catholici sensus normam dirigatur.

In ipsa item catholica ecclesia magnopere curandum est, ut id teneamus quod ubique, quod semper, quod ab omnibus creditum est; hoc est etenim uere proprieque catholicum, quod ipsa uis nominis ratioque declarat, quae omnia fere uniuersaliter conprehendit.

Sed hoc ita demum fiet, si sequamur uniuersitatem antiquitatem consensionem. Sequemur autem uniuersitatem hoc modo, si hanc unam fidem ueram esse fateamur, quam tota per orbem terrarum confitetur ecclesia; antiquitatem uero ita, si ab his sensibus nullatenus recedamus, quos sanctos maiores ac patres nostros celebrasse manifestum est; consensionem quoque itidem, si in ipsa uetustate omnium uel certe paene omnium sacerdotum pariter et magistrorum definitiones sententiasque sectemur...
PROSPER TIRO AQUITANUS (+ 455c.)
PROSPER d'AQUITAINE, L'appel de tous les peupleus, cura F.Frémont Vergobbi et B.Throo, I, Turnhout 1993. M.MARCOVICH, Prosper of Aquitaine, De Providentia Dei, Leiden 1989: agitur de religioso et philosophico poematio exarato ca.416, in quo influxus Stoicismi patet.
Natus in Aquitania, monachus laicus Massiliae vixit, testante Gennadio (vir.ill. 85 [86]). Natus videtur fere a. 390. Matrimonium iniit si ei tribuendum est bellum poemation Ad uxorem, quo hortatur eam ut se totam Deo devoveat. Anno 428 tractatum Augustini De correptione et gratia, novit necnon Galliae meridionalis monasteriorum potissimum Lerinensis et Massiliensis sententias adversus doctrinam augustinianam de non facili argumento gratiae et praedestinationis. Salutationis gratia iam epistulas antea miserat sed tunc ut certiorem faceret de his quae in Gallia dicebantur de eius doctrinis declarationesque susciperet una cum laico Hilario epistulas misit. Quibus Augustinus respondit duobus tractatibus De praedestinatione sanctorum e De dono perseverantiae.

Augustinum defendit epistula ad amicum, quae periit, et praeclara Epistola ad Rufinum de gratia et libero arbitrio a. 429. Eodem fere tempore (a.429 430) composuit De ingratis carmen, scilicet de adversariis gratiae, 1002 versibus hexametris contra Pelagianos eorumque asseclas semipelagianos et Epigrammata.

Prosper et Ilarius Romam petierunt (a.431) ut Augustinum defenderent coram Pontifice Caelestino (+ 27.VII.432), cuius epistola ad Galliae episcopos octo articulis catholicam explanat veritatem. Annis 431 433 edidit: 1) Pro Augustino responsiones ad capitula obiectionum, aliorum calumniantium (monachorum Lerinensium et Massiliensium?), qui 15 errores augustinianos damnaverant de praedestinatione potissimum: in prima parte solvit quaestiones, in secunda autem 15 sententiis mentem suam exponit. 2) Pro Augustino responsiones ad capitula obiectionum Vincentianarum, sc. auctoris Commonitorii: 16 sententiis explanat doctrinam augustinianam de gratia et praedestinatione; capitula appellantur 'diabolicus indiculus, prodigiosa mendacia ineptissimarum blasphemiarum'; textus primaevus periit et ipse testatur anonyme edidisse.
Concludendum est iuxta recentiores auctores, stilum et lexicum concordare asserentes, Prosperum auctorem fecisse Vincentium, in Commonitorio pseudonymo (Peregrinus) usum. Obiectiones Vincentianae ita breviantur: I. Christus non pro omnibus mortuus est; II. Deus non vult omnes homines salvos fieri; III. Deus creavit humanum genus ut maxima ex parte perderet; IV. humani generis pars maior creata est ut voluntatem diaboli faceret; V. Deus auctor dicendus peccatorum nostrorum quia malam fecit voluntatem nostram deditque naturam quae nonnisi peccare possit; VI. liberum arbitrium hominis et diaboli nonnisi malum operari potest; VII IX. Dei est voluntas maiorem partem Christianorum nolle nec posse salvos fieri; X XI. Deus auctor est adulteriorum omniumque hominum delictorum; XIII XV. Gratia et praedestinatio homines a filiis Dei in filios diaboli mutant, qui igitur non victimae suorum vitiorum vel defectu perseverantiae sunt sed Dei praedestinationis; XVI. Cum orant fideles 'fiat voluntas tua' orant pro sua morte aeterna quia haec est Dei voluntas. 3) Pro Augustino responsiones ad excerpta Genuensium, sc. de novem locis, a duobus Genuensibus presbyteris excerptis ex operibus De praedestinatione sanctorum et De dono perseverantiae atque ad Prosperum missis ut ea declararet.

Maioris momenti est opus De gratia Dei et libero voluntatis arbitrio contra Collatorem, id est contra Ioannem Cassianum, fundatorem monasterii Massiliensis S.Victoris, auctorem Collationum [a.420, 426, 429], exaratum a. 433 434 (potissimum contra Collationem XIII).

Capitula addita sunt epistulae Caelestini I.

Cancellariae addictus cum a.440 archidiaconus Leo, in Gallia nuntio suae electionis suscepto, secum Romam vocavit. Gennadius auctorem eum facit Tomi Flaviani contra Eutichem (Epist. 28; cf vir.ill. 85). Eodem tempore edidit Expositio psalmorum a C usque ad CL, secutus Enarrationes in Psalmos Augustini, Chronicon universale a creatione mundi ad a. 455, Liber sententiarum ex operibus S. Augustini delibatarum, primum florilegium augustinianum fere 392 sententiarum, quarum nonnullae (106) in epigrammatibus versibus distichis retractatae sunt: Liber epigrammatum ex sententiis S. Augustini; anonymum quoque De vocatione omnium gentium, omnium gentium salutem pertractat necnon doctrinam de praedestinatione moderatur, proclamans voluntatem Dei salvificam una cum gratia peculiari, quae nulli debetur sed multis datur. Huiusmodi moderatio est propria Prosperi post a.432: fortasse duce Leone et fovente ambitu Romano rationes severiores Augustini edulcuravit, atque voluntatem Dei salvificam universam docuit.

Obiit fere a. 455 (alii a.463).

Epitome chronicae ab origine mundi historiam enarrat ad a.433, chronicum vulgatum prosequitur ad a.444, denique chronicum integrum ad. a.455: magni momenti est ab anno 425 ad a.455. Probabiliter auctor est quoque Epistolae ad Demetriadem de humilitate (PLS 3,149).
SALVIANUS Presbyter Massiliensis (390c.[400] 470 c.)²¹²
Salvianus introducit nos in suam aetatem, et in novum caelum historicum.

Massiliensis dictus est quia vitam degit Massiliae, sed natus est probabiliter Treviris ineunte s.V. Rhetorica et iuridicis studiis imbutus uxorem duxit Palladiam, filiamque generavit. Una cum uxore asceticam vitam est amplexus, aliquantisper commoratus in Lerinensi monasterio, presbyter est ordinatus Massiliae. Multa perscripsit opera (GENN., vir.ill. 68), quorum tantum Epistulae IX, Ad ecclesiam vel Adversus avaritiam [Genn.] L.IV, De gubernatione Dei vel De iusto Dei praesentique iudicio [Genn] L.VIII (octavus mancus), fere a.450, supersunt.

In opere Ad Ecclesiam contra avaritiam latissime diffusam, praesertim apud clericos, vehementer disserit cum ubique inopia abundet, divitiae distribuendae sunt pauperibus et saltem in articulo mortis ecclesiae tradendae ut ipsa pauperes adiuvet.

In opere De gubernatione Dei Providentiam Dei numquam deficere asserit etiam temporibus difficilioribus. Hortatur societatem civilem coaevam, a barbaris eversam, cuius tamen mores magis dissolutos esse asserit quam barbarorum, ut meditationem suae condicionis atque luculenter et vehementer pingit mala socialia imperii occidentalis medio saeculo V.Germanorum momentum intellegit, et maximi est momenti historiae notarum causa.

Novem epistulas ad Lerinenses monachos (I), Eucherium Lugdunensem (II,VIII), Agricium Age[n]din[ c]um [Sens] (III), soceros (IV), amicum Limenium (VI), Aprum et Verum (VIII), Salonium ep. (IX) misit, sed potius exercitatio litteraria quam fides historica habendae sunt.

Inter amissa annumerantur De virginitate L.III, commentarii in finem libri Ecclesiastes, poemation Hexameron, homeliae ad episcopos, homeliae de sacramentis (precibus et ritibus). Sermo et stilus Salviani rhetoricam classicam sapiunt, sed eius aetatis innovationes non desunt.

FAUSTUS REI(I)ENSIS episcopus (+ c.490)
T.A. SMITH, Faustus of Riez, De Gratia: Faustus of Riez's treatise on grace and its place in the history of theology. Notre Dame U.P. 1990.

Abbas Lerinensis a.433 et ep. Reiensis [Reji, Regium] in Provincia renuntiatus (fere a.462), a.477 in exilium a Visigothis est missus. Fere a.485 reversus est. In tractatibus et epistulis doctrinales retractat et pastorales quaestiones, necnon contra praedeterminismum augustinianum (est semipelagianus). Ei tribuitur collectio homiliarum gallo romanarum ps.- Eusebi ab Emesa.

Opera
Contra arianos et macedonianos in opere De Spiritu Sancto (alioque deperdito) pugnavit et etiam contra interpretationem augustinianam de praedestinatione in opere De gratia Christi l.2, post annum 473/4 exaratum, semipelagianesimum amplexus. Faustus praedestinationem absolutam in crisim vocat quia vim precibus tolleret necnon humanae navitati. Initium fidei non praecipue ex Dei dono (quod est peculiare doctrinae semipelagianae) venit. Periit quoque opus de Dei incorporeitate. Sermones laudati quoque perierunt vel incerti sunt. Epistulae demum 10 supersunt de doctrina, ascesi, temporum adiunctis tractantes.
Epistulae
1. EPISTVLA FAVSTI AD LVCIDVM PRESBYTERVM.

Domino devinctissimo et mihi speciali affectv venerando ac svspiciendo fratri Lucido Presbytero Favstvs.

Grandis caritas est parum cauti fratris errorem per dei gratiam et adiutorium magis uelle curare, quam, sicut summi antestites meditantur, ab unitate suspendere. quid possum de hoc sensu, sicut uis, cum unanimitate tua per litteras loqui, cum te praesens multa et blanda et humili conlocutione numquam potuerim ad uiam ueritatis adtrahere?

Loquentes ergo de gratia dei et oboedientia hominis id omnimodo statuere debemus, ut neque proni in sinistram neque inportuni in dexteram regia magis gradiamur uia.

Illud autem uenerationem tuam dixisse miratus sum, quod nullus umquam sub religiosa professione contra catholicam fidem uel scripserit uel praedicauerit, cum plurimi multiplices et profanos errores suos etiam scriptorum monumentis crediderint inserendos, qui tamen Christiano nomine gloriabantur.

Breuiter ergo dicam, quantum cum absente loqui possum, quid sentire cum catholica ecclesia debeas, id est, ut cum gratia domini operationem baptizati famuli semper adiungas et eum, qui praedestinationem excluso labore hominis adserit, cum Pelagii dogmate detesteris.

Anathema ergo illi, qui inter reliquas Pelagii inpietates hominem sine peccato nasci et per solum laborem posse saluari damnanda praesumptione contenderit et qui eum sine gratia dei liberari posse crediderit.

Item anathema illi, qui hominem cum fideli confessione solemniter baptizatum et adserentem catholicam fidem et postmodum per diuersa mundi huius oblectamenta et temptamenta prolapsum in Adam et originale peccatum perisse adseruerit.

Item anathema illi, qui per dei praescientiam hominem deprimi in mortem dixerit.
Item anathema illi, qui dixerit illum, qui periit, non accepisse, ut saluus esse posset [id est de baptizato uel de illius aetatis pagano, qui credere potuit et noluit].

Item anathema illi, qui dixerit, quod uas in contumeliam non possit adsurgere, ut sit uas in honorem. Item anathema illi, qui dixerit, quod Christus non pro omnibus mortuus sit nec omnes homines saluos esse uelit. Cum autem ad nos in Christi nomine ueneris aut cum a sanctis sacerdotibus euocatus fueris, tunc oportuna, si dominus iusserit, locis suis testimonia proferemus, quibus et quae catholica sunt manifestentur et quae catholicis contraria destruantur.

Nos autem per inluminationem Christi ueraciter et confidenter adserimus et eum, qui periit per culpam, saluum esse potuisse per gratiam, si gratiae ipsi famuli laboris oboedientiam non negasset, et eum, qui per gratiam ad bonae consummationis metas seruitio obsequente peruenit, cadere per desidiam et perire potuisse per culpam.

Nos ergo per medium Christo duce gradientes post gratiam, sine qua nihil sumus, laborem officiosae seruitutis adserimus. sed omnimodo adrogantiam et praesumptionem laboris excludimus, ut totis uiribus desudantes, ne gratia in nobis euacuetur, quidquid de manu domini susceperimus, donum pronuntiemus esse, non praemium, scientes laboris ipsius fructum officii rem esse, non meriti, cum euangelista dicentes: serui inutiles sumus, quod debuimus facere fecimus.

Haec, quae strictim pro epistulae breuitate memorata sunt, aut recipere se aut respuere unanimitas tua recurrente sermone respondeat. ceterum qui hanc ueritatis mensuram gratia praecedente et conatu adsurgente non sequitur, dignus erit, qui a sacris liminibus arceatur.

Ego tamen indiuiduam mihi bonitatem tuam toto sincerae benignitatis amplexu in uia retinens intra matris ecclesiae gremium permanere repudiato hoc errore desidero. qui si cito respuatur, ignorantia fuisse uidebitur, blasphemia uero reputabitur, si pertinaciter defendatur.

De gratia libri duo
PROLOGVS. Professio fidei contra eos, qvi, dvm per solam dei volvntatem alios dicvnt ad vitam adtrahi, alios in mortem deprimi, hinc fatvm cvm gentilibvs asservnt, inde libervm arbitrivm cvm manichaeis negant. Domino Beatissimo ac Reverentissimo Leontio Papae Favstvs.

Quod pro sollicitudine pastorali, beate papa Leonti, in condemnando praedestinationis errore concilium summorum antistitum congregastis, uniuersis Galliarum ecclesiis praestitistis. quod uero ad ordinanda ea, quae conlatione publica doctissime protulistis, operam infirmis humeris curamque mandastis, parum, ut reor, tanto negotio, parum sanctae existimationi uestrae consuluistis, me iudicio caritatis, uos periculo electionis onerastis.

Quia ergo et uestram laborare personam sub inposito nobis fasce cognoscitis, communem causam hoc loco agitis, si ei, quem opinione uestra inparem cernitis, manum suffragii porrigatis.

Studium asserendae gratiae conpetenter et salubriter suscipit qui oboedientiam famuli laboris adiungit, tamquam si patrono uel domino inseparabiliter pedisequus minister inhaereat.

Quodsi unum sine altero erit, aut inhonorus absque seruo dominus apparebit aut seruus domini locum conditionis inmemor occupabit.

Recte ergo inter adiuuantem pariter et adnitentem ordo iste seruabitur, ut hic teneat pleno iure dominatum et ille tota reddat subiectione seruitium. augebitur autem dignitas imperantis, si ei semper praesto sit sedulitas obsequentis.

Socientur ima summis sicque socientur, ut subiciantur utique, non aequentur. sed sicut deesse non conuenit gubernatori remigem suum, sacerdoti ministrum suum, imperatori militem suum, ita oportet ut gratia alumna oboedientia inseparabili seruitute conexa sit.

Verum quia Pelagius nudum laborem inportunius exaltat et humanam demens infirmitatem sine gratia sibi posse sufficere stulte credidit, impie praedicauit elationis turrem in caelum conatus erigere, blasphemias eius breui sermone praestringere et confutare necessarium iudicauimus, ne forte is, qui donum laboris, id est praeceptum iubentis excludit, asserentibus nobis, quod dei misericordia fide et operibus promerenda est, catholicam uocem ad Pelagii sensum discretionis nescius adplicaret et omissa uia regia in dexteram cadens in sinistram declinare nos crederet, et, dum de labore seruo gratiae loquimur, offendiculum ante pedes caeci opposuisse uideremur.

Cum autem mentionem de opere ac labore fecerimus, prophetae, apostoli, euangelistae et uerbis utemur et sensibus. quibus si quis contraire praesumpserit, non nostra inuenta destruere, sed caelestia sine dubio iura dissoluere et fidei subruere fundamenta tentabit.

Latius utcumque sermonem de praescientia et praedestinatione produximus, ut quae putabantur obscura absolutiora tardioribus redderentur. non autem aliquos, qui uerborum phaleris delectantur, offendat, quod testimoniorum uirtute contenti absque sublimitate sermonis lucem protulimus ueritatis, in quo quidem opusculo post Arelatensis concilii subscriptionem nouis erroribus deprehensis adici aliqua synodus Lugdunensis exegit.

LIBER I: Quod Pelagii sensvs, qvi gratiam negavit, primo loco necesse sit destrvi.

De gratia dei et tenuitate liberi arbitrii inluminante sancto spiritu iuxta euangelicas disciplinas et apostolicas regulas tractaturi primo loco Pelagii blasphemias scilicet iam dudum ecclesiae catholicae fide proditas eruditione confusas, auctoritate calcatas breui et necessario sermone praestringendas esse credidimus, pro eo quod inter reliquas dogmatis sui abominationes etiam laborem hominis ualere posse sine gratia elatione damnabili adfirmare conatus est. et ideo nefarios sensus suos uel ex parte aliqua in medium proferre curabimus, ut sollicitus quisque cognoscat multo aliud esse salutari gratiae officium laboris adiungere, aliud uero nudum absque patrocinio gratiae laborem temeritate una cordis asserere.

Hic ergo dum altius humanam fragilitatem inmemor diuini timoris extollit, iudicii sui perdidit sanitatem ita ex parte alia cecidit, dum arbitrii libertatem integram praedicat et inlaesam, sicut illi, qui eam ex toto asserunt fuisse euacuatam.
GENNADIUS Massiliensis (+ 492/505)
Presbyter Gennadius 8 libros Adversus haereses exaravit, quorum fragmentum superfuit, et 5 libros Adversus Nestorium, quorum nullus superfuit. Doctrinam trinitariam et christologicam perptractat in epistula ad Gelasium papam. Composuit quoque 18 vel 19 Tractatus (homiliae) de annis de apocalypsi beati Ioannis (Ps.-Augustini), ex commentariis in Apocalypsim episcopi donatistae Tyconii depromptos. Versiones quoque exaravit quarum nulla superest.

Probabiliter negat contra Claudianum Mamertum incorporeitatem animae, et semipelagianis consentit. At potissimum nostra interest De viris illustribus, quod prosequitur Hieronymum usque ad a.480, additis quoque notitiis in praecedentibus auctoribus. Semipelagianismo inclinat.

CAESARIUS ARELATENSIS (+ 542)
S.CESARIO D'ARLES, La vita perfetta: Scritti monastici. A cura di M.Spinelli, Roma 1981; E.COLI, Etica matrimoniale e familiare in Cesario di Arles: Gior.It.Filol. 40(1988)101 7; cf 12(1981)117 133; A.MALNORY, Saint Césair d'Arles, Paris 1984; Césaire d'Arles, Sermons au peuple, t.1 (Sermons 1 20), t.2 (21 55), t.3 (56 80), par M. J. Delage, Paris 1971, 1978, 1986 (SC 175, 243, 330, 345); P.RICHÈS, Césaire d'Arles, Paris 1958; Ch.MOUNIER, Autorité épiscopale et sollicitude pastorale (IIe  VIe siècles), 1991.
Ad nos usque pervenit Vita ab eius familiaribus conscripta, id est ab quinque discipulis, quorum tres episcopi (Cyprianus, Firminus et Viventius) primum librum, presbyter (Messianus) et diaconus (Stephanus) secundum exaraverunt. Differt autem a ceteris vitis encomiasticis et miris, cum rebus innitatur et historia, licet secundus liber cedat primo propter plurima miracula atque stilo rudi et barbaro.

Cesarius ex romana gente Cabilloni [Chalon sur Saone] a.470, monasticam degit vitam Lerini (c. 490 496), sed infirmitate laborans propter nimia exercitia ascetica Arelate est missus, ubi rhetoris Pomerii discipulum fuit. Ab Arelatensi episcopo Eonio presbyter ordinatus monasterio in eadem urbe praefuit (499), eique successit 40 annos (502 542). Metropolita Provinciae Narbonesis et Alpium Maritimarum 25 episcopis praefuit. A.514 Symmachus papa vicarium suum fecit totius Galliae et Hispaniae. Obiit die 27 augusti 542.

Qui episcopale munus sequens Ambrosium imperio et caritate perfecit paupertatem austeram amplexus ad pauperes et vinctos liberandos. Ravennam petiit ut coram rege Theodorico causam suam ageret contra adversarios (513), Romamque ubi familiaret egit cum Symmacho qui pallio primum ornavit episcopum extra fines Italiae.
Potissimum digni qui recolantur sunt 238 sermoni, ad auditorum aures quam maxime aptati, quibus mentem etiam provocabat alienatosque ita revocabat ut ecclesiae quoque ianuas reseraret ne quis abiret. Innumeri loci augustiniani praesertim laudabat ex integro, ceterorumque auctorum.

Regulam ad monachos exaravit et Regulam ad Virgines ad sororem Caesariam missam quae praeerat monasterio S.Ioannis. Quae prima est Regula monasticha pro mulieribus peculiariter et systematice est exarata, post illas genericas Basilii, Ambrosii, Hieronymi et Augustini (Ep. 211).

Supersunt tractatus Opusculum De gratia contra semipelagianesimum, Libellus De mysterio sanctae Trinitatis et Breviarium adversus haereticos contra arianismum, Expositio in Apocalypsim quae est quoddam excerptum, tres Epistulae pastorales, aliae ad vitam asceticam et monasticham spectantes, Testamentum.

Caesarius neque fines letterarios sibi proponit neque artificiosos, neque nativos. Theologum sequitur Augustinum, pastorem se ipsum exhibet necnon doctorem ducemque animarum. Potissimum orator sacer exhibetur. Ceteros auctores laudat ex integro, potissimum Augustinum, quem habet magistrum, Faustumque Reiensem, ad suos aptans fideles, inderdiu additis brevi introductione et conclusione. Propterea nonnulli sermones ab incunabulis traditis inter Augustini opera ad nos usque pervenerunt.

Notae eius stili simplicitas et lucidus ordo, neque deest quaedam rusticitas, plebi rudi et incultae grata urbis Arelatis. Ut legerentur vel mitterentur in vicos scripsit opera sua. Cum Mediolanensi Ecclesia communicavit, quae tunc schisma sequebatur trium capitulorum.

In Caesarii operibus manifesta apparent signa scissurae cum antiquo aevo et innovati sermonis ad aures audientium aptati. Monachus Lirinensis et postea episcopus Arelatensis (502 542), tractatus reliquit contra semipelagianos, epistulas, regulas monasticas, sermones (c.200), vi praedicationis et vivo sermone,etiam vulgari, peculiares.

Praefuit Synodo Arausicanae [Orange] a.529, quae Augustinum disserentem de gratia probavit, non autem eius rigidum praedestinationismum, qui minuisset universalem Dei salvificam voluntatem.

Caesario vel eius ambitui est tribuenda collectio homiliarum, quae sub nomine Eusebii Gallicani agnoscuntur. Argumenta praecedentium auctorum retractant, inter quos Faustus Reiensis.

Admonitionibus populum hortatur ut paganos mores deserant, potissimum deorum cultum: "Ianus autem iste duxquondam et princeps hominum paganorum fuit: quem inperiti homineset rustici dum quasi regem metuunt, velud Deum colere coeperunt" (Ser 92, De Kalendis Ianuarii, 1,738).

Rhetoricas leges videtur praetermittere et stilum humilem adhibere.

Mulieres admonet ne poculis fructum sui ventris necent, neque viros ante nuptias concubinas suscipiant: "Si enim nullus vir est qui sponsam suam velit ante nuptias adulterinum habere concubitum, sed omnes homines virgines uxores accipere volunt, qua fronte, qua conscientia ante nuptias concubinas habere non erubescunt? Qua fronte uxorem integram vult intervenire, cum ipse sit corruptus?... Sed forsitan aliquis putat licere hoc viris, et feminis non licere: ut enim viris liceat, sicut iam dixi, peccantium obtinuit multitudo. Nam in populo christiano, quidquid feminis non licet, nec viris umquam aut licuit aut licebit" (Ser 32,4,135s).

"Cum enim illi de quibus loquimur uxores suas castas esse velint, qua conscientia adultera nefanda committunt, et dicunt sibi licere quod eis omnino non licet; quasi alia praecepta deus dederit viris, alia feminis?; 5,180: "Et admoneo caritatem vestram, ut quicumque uxores accepturi sunt, viriginitatem usque ad nuptias custodiant: quia quomodo nullus est qui sponsam violatam velit accipere, sic nullus sedebet ante nuptias adulterina commixtione corrumpere" (Ser 42, 3,178).

"Nulla mulier potiones ad avorsum accipiat,nec filios aut conceptus aut iam natos occidat... Sed nec illasdiabolicas potiones, nec mulieres debent accipere, per quas iamnon possint concipere. Mulier quaecumque hoc fecerit, quantoscumque parere pouerat, tantorum homicidiorum se ream sse cognoscat" (Ser 44, 2,187s).

"Et illae graviius peccant, quae aut iam conceptos aut iam natos occidant, vel cete unde unde non concipiant potiones sacrilegas accipiendo damnant in se naturam, quam Deusvoluit esse fecundam. Quantoscumque filios parere potuerant, tanta homicidia fecisse non dubitent" (Serm. LI, 4,220).

"Quando aliquibus mulieribus persuadet, ut postquam duos vel tres filios genuerint, reliquos aut iam natos occidant, aut poculum avortionisaccipiant: timentes ne forte, si plures filios habuerint, divitesesse non possent?" (Ser LII, 4,221s).

"Nemo dicat, fratres carissimi, quod temporibus nostris martyrum certamina esse non possint: habet enim et pax martyres suos. Nam sicut frequenter suggessimus, iracundiam mitigare, libidinem fugere, iustitiam custodire, avaritiam contemnere, superbiam humiliare, pars magna martyrii est. Et beatus Ioseph ut impudicam dominam posset evadere, pallium quo adprehensus fuerat reliquit, et fugit. Ergo contra libidinis impetum adprehende fugam, si vis obtinere victoriam; nec tibi verecundum sit fugere, si castitatis palmam desideras obtinere. Apostolus Paulus evidenter ostendit, qui, cum omnibus vitiis praedicaverit resistndum, dum contra libidinem loqueretur, non dixit, resistite, sed fugite fornicationem" (Ser XLI,1,172).

Similia in eodem sermone firmantur exemplo David: "David enim ille sanctissimus in mille passibus mulierem nudam vidit, et statim homicidium fecit et adulterium; et aliqui in unadomo cum extraneis mulieribus habitantes putant se castitatis obtinere triumphum" (Ser 41, 2,173).

"Vere enim nimium plangenda et miseranda condicio est, ubi cito praeterit quod delectat, et permanet sine fine quod cruciat. Submomento enim libidinis impetus transit, et obproprium infelicis animae permanet" (Ser 41,3,174).

Principiis obsta: "Homo iuvenis sum, facio quod mihi delectat, et postea paenitentiam ago. Hoc est dicere; Percutio me crudeli gladio, et postea ad medicum vado; et nescit quod unius horae puncto vulnus accipitur, sed vix longo tempore ad sanitatem pristinam revocatur" (Ser 41,4,174).
Somnium de serpente proficiscente a libro profano super quem somnum ceperat adolescens culturam profanam relinquendam esse suggessit. 'Sermones' aptantur rusticitati audientium et quandam tacitam rerum eversionem proclamant in aesthetica, usumque incipit vulgaris sermonis in sacra eloquentia.
Admonitio sancti caesarii episcopi vel suggestio humilis peccatoris generaliter omnibus sanctis vel omnibus sacerdotibus directa

Si neglegentiarum mearum culpas et rusticitatem vel imperitiam diligens examinator attenderem, vix forsitan in parrochiis aliquos rusticos aliquod bonum admonere praesumerem, propter illud quod scriptum est: eice primum trabem de oculo tuo; et illud: qui docet alium, seipsum non docet.

Sed dum me ista nimium deterrent, aliud maius et dictum est: serve male, quare non credidisti pecuniam meam nummulariis ad mensam, et ego veniens cum usuris utique exegissem illam? haec ergo cogitans timui, ne forte, si nec vobis suggererem, nec operibus adimplerem, duplicati criminis reus essem.

Propterea velut inutilis negociator margaritas dominicas, ex quibus ignavus vel alienus, inscius, piger, tardus, ignavia mea nullum sibi lucrum sibi lucrum poterat reparare, cum omni humilitate et reverentia vobis eas tamquam idoneis et efficacibus negociatoribus christi offerre praesumpsi, ut, cum vobis ingentia lucra facientibus immarcescibilis domino reddente corona reddetur, mihi vobis intercedentibus peccatorum venia tribuatur.

Vnde digna et debita sanctitati vestrae salutatione praemissa cum omni humilitate suggero, et per deum, cui vos immaculate servitis, adiuro, ut et praesumptioni meae, quae deo propitio de vera humilitate et perfecta erga vos caritate descendit, veniam tribuatis, et preces meas illa, quam vobis contulit deus benignitate suscipiatis. Non quasi enim magister discipulum docere, nec quasi velox tardum admonere, sed velut minor maiori, rustico quidem et imperito, sed caritate prolato sermone praesumo suggerere, deprecans, ut, quod deo propitio, sicut credimus, et semper fecistis, adhuc amplius studeatis facere, ut per vestram sanctam institutionem pro animarum salute quotidianae lectionis ad sanctum convivium vestrum et faciendum verbum in ecclesia utilis et necessaria consuetudo aut, si iam est, servetur et augeatur, aut, si adhuc non est, christo inspirante per vestrum sanctum studium inchoetur.

Si enim bono et sollicito corde consideramus grave periculum et infinitum pondus imminere cervicibus omnium sacerdotum, non est leve quod specialiter sacerdotibus intonat dominus per prophetam: clama, inquit, ne cesses; quasi tuba exalta vocem tuam; et iterum: si, inquit, annuntiaveris iniquo iniquitatem suam, animam tuam liberasti si autem non annuntiaveris, ille quidem in impietate sua morietur, sanguinem eius de manu tua requiram; et illud, quod apostolus ait: memoria retinete, quoniam per triennium die ac nocte non cessavi cum lacrimis monens unumquemque vestrum.

Quis enim haec non grandi timore consideret, si ille, ut se apud deum absolveret, die noctuque , et dominicis ovibus sal doctrinae ministrare neglegimus? et ideo haec timens apostolus in consequentibus ait: mundus sum a sanguine omnium.
GREGORIUS TURENSIS [Tours] (538 594)²¹³
Saeculo VI duo auctores magni momenti vixerunt in Aquitania: Venantius Fortunatus et amicus eius Gregorius a Clermond, episcopus oppidi Turonici [Caesarodunum, Tours ] (572 594). Cum in Gallia humanitas classica vel servanda vel imitanda in scholis dicebatur, Gregorius novos populos eorumque historiam tradendam posteris putavit. Qui Arvernae natus a.fere 538 appellabatur Georgius Florentius sed nomen sibi imposuit Gregorium ab consanguineo Gregorio olim episcopo Langres. Ab infirmitate liberatus cum esset diaconus a.563 a s.Martino Turensi, quo peregrinus venerat, decem post annos episcopus ibidem renuntiatur et moritur a.594.

Clarissimum est opus Historia Francorum L.X in quibus historiam ab Adam ad mortem s.Martini (397) enarrat, inimicitiam suam non celans contra novos reges et populos. Sed et Miraculorum l.VIII, licet minus sit notum maioris tamen est momenti, ad litteras et humanitatem quod attinet, quia synthaxis logicae, mentis, sermonis classica traditio corrupta apparet. Mira et incredibilia miracula totum opus complent.

Item De cursibus ecclesiasticis, antequam indicet tempus nocturni officii celebrandi iuxta ortum stellarum, praemittit multa de 14 naturae miraculis, quorum septem ab Deo reliqua autem ab homine facta.

Magni momenti tamen stilus eius est, qui fudit sermonem cotidianum et sermonem scholasticum, eumque ad 'res' potissimum aptavit [realistico].

Amicitia proximus fuit Fortunato Venantio, qui eum auctorem facit carminum, quae ingoramus. In summa dicendum est Gregorium orationem solutam numeris innumeris ditavisse, locosque non defuisse Vergilii et Horatii aliorumque, licet, eo testante, grammaticam ignoravisse: etenim scripta erroribus ac mendis abundant.

Saec. VII Gallicus Ps.Fredegarius eius Historiam tam confuse prosecutus est ut occasum praebuerit usque ad barbariem sermonis Latini.

REGIO AFRICANA