74
Manuela Girgenti
eventualità è preferibile rivolgersi a Dio e richiedere il suo intervento provvidenziale,
«perché Dio fa si che dopo la bufera che essi avranno scatenato sul popolo vengano
eliminati e ciò riporta la pace».
61
In breve, Tommaso ripropone una teocrazia ponti-
ficia, giacché, pur distinguendo le due sfere (potere politico e potere religioso), nella
realtà, subordina il primo al secondo, se compito del sovrano è principalmente quello
di educare il popolo ad acquisire le virtù religiose in vista della beatitudine eterna.
Il sovrano deve, dunque, assicurare pace sociale, giustizia e mezzi sufficienti
per vivere, ma il tutto deve essere finalizzato ad un fine più alto che non è altro che la
beatitudine celeste. È inevitabile che con questi presupposti il potere politico venga
subordinato a quello religioso e che a buon diritto il pensiero dell’Aquinate possa
essere considerato come uno dei principali pilastri teoretici di
una visione politica
teocratica. Malgrado nel suo pensiero non manchi una maggiore attenzione per i
problemi sociali in genere, è pur vero che l’idea di giustizia presente in Tommaso è
molto parziale, blanda e sotto certa aspetti strumentale.
Prevalendo la
vox Dei, manca nell’Aquinate il concetto di indipendenza del
diritto.
Silete theologi in munere alieno si affermava nei
secoli passati per rivendi-
care al diritto la sua autonomia dal dogma religioso, «poiché ogni volontà che vuole
trasformarsi in diritto […] deve farsi procedura, passare al filtro di numerosi control-
li, istituzionalizzarsi e, dunque, oggettivarsi. Fuori di ciò, nel sentimento spontaneo
o nella volontà di chicchessia, non c’è diritto, ma distruzione del diritto».
62
Va inoltre rilevato, sempre in riferimento allo svolgersi del pensiero di Tom-
maso D’Aquino, che non sempre ciò che è ragionevole obbedisce a una istanza etica
universale. Spesso in nome della libertà e della giustizia si arriva a negare proprio la
libertà e la giustizia. Bisogna tenere presente che nella promulgazione di un codice
legislativo la valutazione di ciò che rientra nel concetto di libertà o di giustizia è sem-
pre in riferimento a ciò che si presuppone sia collegato al contenuto del codice stesso.
Tutto ciò che resta fuori è eversione e, in quanto tale, degno di condanna e di pena.
Considerare, a tal proposito, più o meno legittimo un comportamento, in riferimento
ai precetti di un credo religioso, è un’idea che nasconde molte ambiguità e nega ogni
principio di libertà. L’Aquinate non si sognerà mai, infatti, di difendere i diritti delle
minoranze e, in particolare, quelli di chi dissente o non si allinea. Anzi, era dell’idea
che l’eretico meritasse di essere bruciato, così come per Bernardo di Chiaravalle uc-
cidere
un eretico non era un omicidio, ma un malificio, benedetto da Dio.
Il tentativo di fondare, in opposizione ad una teocrazia pontificia, una seria e
innovativa teoria della sovranità popolare si deve a Marsilio da Padova. Un tentativo
non facile per quest’ultimo, tenendo anche conto che le tendenze organiche ed unita-
rie dell’aristotelismo avevano enormemente contribuito
a dare man forte alla nuova
61
i
D
.,
De regimine principum, in
Opuscoli, cit., libro I, cap. 11, p. 78.
62
G. Z
aGReBeLsKy
,
Contro l’etica della verità, Roma-Bari 2008, p. 121.
75
Il concetto di giustizia nell’età antica e medievale
prassi dell’accentramento politico. In poche parole, avevano contribuito a rompere
l’empirico compromesso che, dal V all’XI secolo, aveva caratterizzato il potere tem-
porale e quello religioso, tra cui vigeva una coesistenza pacifica, senza pretese di
dominio dell’uno sull’altro.
Era opinione largamente condivisa che ciascuno dei due poteri derivasse diret-
tamente da Dio e che ognuno fosse indipendente dall’altro nella propria sfera. I testi
politici di Aristotele, come dicevamo, sollevarono la questione del primato tra i due po-
teri. Nella contesa, il Sommo Pontefice «riuscendo più tempestivamente ad affermare
la propria monarchia, e avendo a suo favore il privilegio della più alta natura spirituale
della propria funzione, conseguiva le prime vittorie e, da Gregorio VII a Bonifacio
VIII, fissava in una forma definitiva, la dottrina della teocrazia ecclesiastica».
63
Una posizione, quest’ultima, che scaturiva dalla convinzione che se il papa ha
la
potestas ligandi in caelo et terra, ne consegue che ha il potere di giudicare, non solo
sulle cose celesti e spirituali, ma anche sulle cose temporali. Ogni autorità imperiale na-
sce, di conseguenza, dalla delega del papa, che ha il potere di rimuovere ogni sovrano
che non si attiene alle sue direttive. È facilmente comprensibile che in un clima cultura-
le e politico siffatto, nel quale la presenza e il controllo della Chiesa è soffocante, non ci
possa essere il minimo spazio per la libertà, la giustizia e il confronto dialettico. Contro
tali pretese si schierò in aperta e violenta polemica, come dicevamo, Marsilio Ficino, a
tal punto che, sebbene l’idea moderna di sovranità fosse estranea al mondo medievale,
pur tuttavia è in questo intellettuale che va ricercata la sua genesi.
Per il Ficino, infatti, la sovranità risiede solamente nel popolo, che non potrà
mai alienarla o, tutt’al più, delegarla a un governante supremo o a dei magistrati non
in senso assoluto, ma solo relativo. Il legislatore deve solamente preoccuparsi, nel
pieno rispetto della volontà popolare, di assicurare il bene comune, la pace, la con-
cordia e la giustizia, senza subire alcuna influenza da parte delle strutture gerarchiche
della Chiesa. I governanti, in sintesi, nella loro azione politica sono legittimati solo
ed esclusivamente dal consenso del popolo in senso lato, poiché, secondo Ficino,
differenziandosi anche sotto questo aspetto dalla visione aristocratica di Aristotele,
anche le forze produttive della città dovevano entrare a far parte della
Universitas
civium, a riprova «dell’importanza che il lavoro umano aveva assunto nella matura
civiltà medievale: un mondo del fare e dell’operare inserito a pieno titolo nella con-
cezione dell’uomo e della società che si andava affermando».
64
Conseguentemente
per il Ficino, con l’esclusione della casta sacerdotale, l’autorità
di correggere e con-
trollare i governanti tocca solamente ai cittadini e «ai fabbri, ai pellettieri e a tutti gli
altri che accudiscono alle arti meccaniche».
65
63
G. D
e
R
uGGieRo
,
La filosofia del cristianesimo, vol. III, Bari 1941, p. 222.
64
G. M
aGLio
,
L’idea costituzionale nel Medioevo, cit., p. 144.
65
M
aRsiLio
Da
P
aDova
,
Defensor minor, II, 7, a cura di C. Vasoli, Napoli 1975, p. 92.