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Giuseppe Allegro
fa il saggio di Elisa Cuttini.
2
Per l’autrice sono molteplici le sfumature di significato
e gli usi del termine
reductio in Bonaventura. Se ci fermiamo alla lettura di Gilson
sembrerebbe che
reductio debba essere
quasi interpretato come resolutio, nel senso
che «ciò che è ricondotto non avrebbe valore in se stesso» e quindi deve essere
«necessariamente riportato al fondamento da cui dipenderebbe». In questo senso
anche le scienze dovrebbero essere ricondotte alla teologia perché venga messo in
luce che la loro vera funzione non sarebbe quella di conoscere le cose, ma Dio attra-
verso le cose.
3
Nel
De reductione artium ad Theologia sarebbe rappresentata allora
la «tendenza a considerare la filosofia esclusivamente come una particolare sezione
della teologia». Seguendo Gilson allora, dal punto di vista razionalista della filosofia
moderna la dottrina di san Bonaventura appare come la più medievale delle filosofie
del medioevo. Insomma, la filosofia non sarebbe coltivata per se stessa, ma solo in
funzione della teologia.
4
Nella lettura della Cuttini invece il tema della riconduzione-riduzione di tutto
il sapere alla teologia, caro al pensatore francescano, non va interpretato né come
progetto di nullificazione del valore della conoscenza profana né come il progetto
dell’assorbimento (e asservimento) passivo della scienza e della filosofia agli in-
teressi religiosi; esso testimonia bensì l’attestazione di un grande slancio unitario
di sintesi dei saperi, e anzi la consapevolezza del loro accrescimento di valore: «la
Scrittura rivela che le scienze sono portatrici degli insegnamenti divini, e perciò le
eleva a una dignità ancora maggiore rispetto a quella che esse hanno in quanto cono-
scenze di uno specifico settore della realtà. Il loro valore, lungi dall’essere “ridotto”,
è accresciuto».
5
Si tratta quindi, come si vede, di una rilettura che muta sostanzial-
mente il tradizionale modo di vedere la percezione dei medievali del sapere profano.
Una controprova del fatto che i pensatori medievali non svalutano sempre e
comunque il sapere mondano in nome di quello sacro, come spesso si è tentati di
credere, ci può pervenire dalla lettura di alcuni testi di Ugo di san Vittore. Nel
Di-
dascalicon, opera che si occupa del tema dell’insegnamento e della trasmissione del
sapere, il teologo medievale dice:
Omnia disce. Videbis postea nihil esse superfluum.
Coarctata scientia iucunda non est («Impara tutto, e poi ti renderai conto che nulla
è superfluo. Un sapere limitato non dà vera soddisfazione»).
6
È interessante qui l’u-
2
E. c
uttini
,
Ritorno a Dio: filosofia, teologia, etica della mens nel pensiero di Bonaventura da
Bagnoregio, Soveria Mannelli (CZ), Rubbettino 2002.
3
E. G
ilson
,
La philosophie de saint Bonaventure, Paris, Vrin 1924.
4
Per dirla con Nardi, i pensatori medievali opererebbero «la
reductio artium ad theologiam che,
mentre redime e fa sua la cultura antica, ne segna il limite e l’utilizza al servizio della rivelazione» (B.
n
arDi
,
Il pensiero pedagogico del Medioevo, Firenze 1956, p. VII).
5
E. c
uttini
,
Ritorno a Dio, cit., p. 73.
6
u
Go
Di
s
an
v
ittore
,
Didascalicon 6,3, PL 176, 801A; tr. it. V. Liccaro, Milano, Rusconi
1987, p. 193.
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Medioevo e teologia. Scienza e ricerca di Dio
so
del verbo coarcare, che letteralmente significa comprimere, restringere, ma che
può indicare il soffocamento, lo strangolamento, mentre in senso figurato indica il
chiudere, l’imprigionare. Ma altrettanto significativo mi pare l’aggettivo
iucunda.
La vera scienza è “gioconda”, gioiosa, porta con sé una intrinseca letizia che, come
traduce il curatore, “dà soddisfazione”. Affermazioni di questo tenore vanno sicura-
mente in direzione opposta a quelle di autori medievali - solitamente molto più citate
- che bollano il sapere mondano come
vana curiositas.
Non si può trascurare inoltre l’attenzione profonda degli uomini dell’età di
mezzo per la cultura del passato, per ciò che può costituire una fonte preziosa per
il sapere: le cosiddette
auctoritates. Siamo come «nani sulle spalle di giganti, così
che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non certo per l’altezza del nostro
corpo, ma perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti» (Bernardo
di Chartres, prima metà XII secolo).
7
Qui emerge l’amore per la conoscenza (
tutta
la conoscenza, nulla escluso) e l’interesse per la elaborazione di un sapere che tenga
conto di tutto la conoscenza trasmesso dal passato; sono del tutto coerenti con questa
impostazione mentale l’enciclopedismo, la nascita delle università, l’affermazione
del cosiddetto metodo scolastico, la riscoperta e la penetrazione di Aristotele nel
mondo latino, il dialogo interreligioso con il mondo islamico ed ebraico, la costru-
zione delle
summae (vere e proprie “cattedrali di parole” rispetto alle cattedrali di
pietra, per dirla ancora con Gilson), tutti segnali precisi di una grande idea culturale
e filosofica: la preminenza assoluta
accordata alla costruzione, organizzazione e tra-
smissione del sapere, nella convinzione di essere debitori nei confronti dei grandi
del passato (“nani sulle spalle dei giganti”, appunto) e delle loro acquisizioni (le
auctoritates), nonché di avere al contempo un debito altrettanto grande nei confronti
delle generazioni future: perciò le
scholae, le università, gli amanuensi, l’attenzione
per l’erudizione e la pedagogia. È appena il caso di ricordare che senza il lavoro
dei copisti praticamente nulla del mondo classico ci sarebbe pervenuto. Ci può dare
un’idea della grande apertura mentale dei medievali nei confronti della sapienza
tutta e della necessità della sua trasmissione ai giovani studenti ancora l’importante
testo pedagogico del XII secolo, il
Didascalicon di
Ugo di San Vittore; in esso l’au-
tore ammonisce il giovane a leggere tutto, a consultare ogni libro, a non ritenere di
poco conto nessuna scienza, nessuna disciplina, a pensare che non ci sia autore che
non abbia detto qualcosa di buono da imparare:
Prudens lector omnes libenter au-
dit, omnia legit; non scripturam, non personam, non doctrinam spernit […] Nullam
scientiam vilem teneas, quia omnis scientia bona est.
8
Un discorso simile si può fare a proposito di un altro grande autore vissuto
7
Il passo ci è pervenuto attraverso G
iovanni
Di
s
alisBury
,
Metalogicon 3,4, ed. C. Webb, Ox-
ford, Clarendon Press 1929:
Dicebat Bernardus Carnotensis nos esse quasi nanos gigantium humeris
insidentes, ut possimus plura eis et remotiora videre (p. 136).
8
u
Go
Di
s
an
v
ittore
,
Didascalicon, cit., 3, 13, PL 176, 774BC.