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[7] L’argomento, amplissimo, non viene trattato in questa relazione, perché forma oggetto d’analisi di altri contributi al Convegno. [8]



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[7] L’argomento, amplissimo, non viene trattato in questa relazione, perché forma oggetto d’analisi di altri contributi al Convegno.

[8] ANTISERI D., Epistemiologia contemporaneae logica della diagnosi clinica, in SGRECCIA E., (a cura di), Storia della medicina e storia dell’etica medica verso il terzo millennio, Rubettino Ed., Soveria Mannelli (Ct) Edit. 2000.

[9] G. FEDERSPIEL, La conoscenza scientifica e il problema metodologico del dolore in medicina, Minerva Anestesiologica, 1999,65,679-87. G. FEDERSPIEL, R. VETTOR, N. SICOLO, C. SCANDELLARI, L’analisi decisionale clinica, in Atti del 102 Congresso Nazionale della Società Italiana di Medicina Interna, 23-26 ottobre 2001, CEPI Ed., Roma in Annali diMedicina Interna 16 (suppl. 1), 2001

[10] La questione delle frodi nella ricerca scientifica è di grande interesse, come capitolo delle “trasgressioni” etiche del ricercatore, ma non può essere nella sua complessità affrontata in questa circostanza. Si rinvia alla monografia di DI TROCCHIO F., Le bugie della scienza, A. Mondadori Ed., Milano, 1993,ed all’ottimo studio di PORTIGLATTI BARBOS M., MAGGIONA B., I comportamenti illeciti nella pubblicazione dei risultati della ricerca medica e loro aspetti etico-deontologici, in Rassegna di criminologia IV/1 (1993), pp 117-166.

[11] La questione della generalizzabilità delle informazioni nasce quando è possibile constatare il verificarsi della stessa informazione nelle medesime condizioni di stimolazione in un numero appropriato di casi. Tuttavia, è problema epistemiologicamente complesso e da affrontarsi in sede clinica con molta prudenza (v. ad es.FEDERSPIEL G., I limitidella medicina: rischio, probabilità e linee guida, Congresso: La fibbrillazione atriale, Verbania Pallanza, 4-6 maggio 2000.

[12] L’osservazione non va intesa, come nel passato, quale unico passivo criterio “longitudinale”, non interventistico, per conoscere l’evoluzione naturale della malattia. E’ necessario però che l’osservazione sia condotta con metodologia analitica ineccepibile, cogliendo quegli elementi che sono significativi per l’ipotesi proposta dal ricercatore ed il relativo giudizio di verificabilità-falsificabilità. Di conseguenza, l’osservazione come procedimento scientifico della biomedicina comporta la precisa “codificazione” dei fenomeni percepiti dal ricercatore (sensoriali) o rilevati (strumentalmente) a carico del soggetto sottoposto alla sperimentazione e la loro esatta descrizione/memorizzazione. Si tratta del “linguaggio-base” della ricerca (che si esprime in proposizioni descrittive nel senso di Wittgenstein). Il complesso delle osservazioni costituiscono la “base empirica”, delle proposizioni che caratterizzano il protocollo, e consentono la costruzione della “sovrastruttura teorica” dallo stesso, compiuta in modo logicamente valido e coerente sopra la base empirica.

[13] Di proposito, si è usata l’espressione vaga di “modo migliore”. Il giudizio complessivo prende in carico vari elementi, da rapportarsi alla specificità del “protocollo”, come costruito e articolato. Come è noto, B. Freedman elaborò alcune considerazioni ad uso dei membri degli Institutional Review Boards (IRBS) distinguendo fra validità scientifica e valore scientifico dello studio.

La validità scientifica si identificherebbe nella seguente serie di elementi:



  • possibilità di avere informazioni attendibili dall’ipotesi che intende valutare;

  • l’essere condizione prioritaria e necessaria per la ricerca;

  • non poter prescindere da conoscenze note, dal protocollo proposto e dall’ipotesi fatta;

  • l’avere valore in sé mentre irrilevanti sono i fattori presuntivi (capacità del ricercaotre, laboratori, documentazione possibile;

  • non poter sempre tenere conto di altri elementi (come ad es. il consenso). Come elementi di giudizio per il CdE dovrebbero essere presi in considerazione il disegno, la statistica, il background clinico e delle scienze di base.

Il valore dello studio si affiderebbe ai seguenti elementi:

  • l’avere un’ipotesi utile o interessante;

  • il presupporre la validità scientifica;

  • l’aver valore in sé ma anche in relazione a quanto già noto o al tipo di protocollo;

  • il dover tener conto di fattori presuntivi (ricercatore, laboratorio, documentazione)

  • il dipendere da fattori esogeni (costi, priorità, abusi)

B. FREEDMAN, Scientific Value and Validity as Ethical Requirements for Research: a Proposed Explication, IRIB, 9,6 (1987), pp.7-10. Ulteriore trattazione può trovarsi in :

  • SPAGNOLO A.G., Principi etici e metodologie di sperimentazione clinica, in SPAGNOLO A.G., SGRECCIA E., (a cura di), Lineamenti di etica della sperimentazione clinica, Vita e Pensiero Ed., Milano, 1994 (pp. 51-70).

  • BIGNAMINI A., Costruzione di un protocollo di sperimentazione clinica conforme alla G.C.P. in SPAGNOLO A.G., SGRECCIA E. (a cura di), Lineamenti di etica della sperimentazione clinica, Vita e Pensiero, Milano, 1994 (pp 227-242).

[14] Esula dagli scopi (e dalla possibilità) di questatrattazione compiere una analisi degli aspetti applicativi specifici delle modalitàdella ricerca nelle varie condizioni di vita del soggetto umano.

[15] Si sostiene che ciò serva ad evitare duplicazione di ricerche i cui risultati sono da tempo consolidati, evitando dispersione di risorse. Questa giustificazione è validissima, ma è opportuno riconoscere che la conoscenza approfondita di ciò che è stato fatto in precedenza può valere anche per individuare dubbi e lacune residue, ed anche errori che – in taluni casi – hanno portato “fuori strada” il progresso medico. Pertanto, quando gli elementi a disposizione appaiano insufficienti, o dubbi, è chiaramente “scientifico” e nell’etica del ricercatore corretto ripetere gli esperimenti.

[16] Questa relazione, per evidenti motivi, non può affrontare il complesso dibattito che si è aperto sulla “medicina delle prove di efficacia” in sede clinica, ma si limita alle questioni della sperimentazione che servono a fondarne i presupposti. Si rinvia alle pubblicazioni di LIBERTI A. (a cura di ), La Medicina delle prove di efficacia, Pensiero Scientifico Ed., Roma, 1997, all’editoriale di M. BARNI, Medicina della scelta o medicina delle evidenze?, in Riv. Ital. Med. Legale XXIV/3-8/2002); ed al lavoro di FEDERSPIEL G. E VETTOR R., La evidence based medicine: unariflessione critica sul concetto di evidenza in medicina, in Ital. Heart J., Suppl. Vol 2, Giugno 2001.

[17] COCHRANE A., Effectiveness and efficacy., Nuffield Provincial Hosp.Trust, London, 1972 (Efficienza ed efficacia.Il Pensiero Scientifico Ed., Roma, 1999).

[18] KUHN T.S., The structure of scientific revolutions, Chicago Univ. Press, 1962.

[19] Si impiega la denominazione di test diagnostico quando, applicata al singolo individuo, la tecnica usata è in grado di rivelare una condizione morbosa (malattia in atto, o disordine di funzione, ecc..) e – nel caso dei test genetici – indicare se quella determinata persona possiede uno o più tratti genetici che possono predisporre, o determinare in futuro, lo sviluppo di malattie o disordini funzionali della stessa, ovvero dar luogo a malattie o disordini funzionali.

[20] Secondo Ann MC KIBBON e coll. (2000), la sensibilità misura la proporzione di pazienti affetti dalla patologia o condizione in esame che hanno un risultato positivo. La specificità del test misura la proporzione di pazienti non affetti dalla patologia o condizione in esame che hanno un risultato negativo al test. Sia la sensibilità che la specificità devono essere elevate perché un test diagnostico sia di vera utilità in ambito clinico. Nella pratica, entrambe dovrebbero superare l’80% perché il test sia clinicamente utile. Per i test di screening, la performance dovrebbe essere prossima alla perfezione (100%) per evitare di diagnosticare erroneamente soggetti non affetti dalla patologia in esame; i test diagnostici invece possono funzionare bene con una sensibilità ed una specificità minori. Nessun test ha una sensibilità ed una specificità del 100%. Spesso, se il livello di risultato del test viene aggiustato per massimizzare la sensibilità, la specificità diminuisce, mentre se il livello di risultato del test viene aggiustato per massimizzare la specificità, diminuirà la sensibilità.

Il potere predittivo positivo è la proporzione di pazienti risultati positivi al test che hanno la malattia o condizione in esame. Il potere predittivo negativo è la proporzione di pazienti risultati negativi al test che non hanno la malattia o condizione in esame.

I valori predittivi vengono influenzati dalla prevalenza della condizione in esame nella popolazione oggetto di studio. Per la valutazione di un test diagnostico, la prevalenza è la proporzione di pazienti affetti da una data condizione su tutti i pazienti testati. La prevalenza viene anche talvolta definita probabilità pre-test o verosimiglianza pre-test di una malattia o condizione

[21] I temi erano i seguenti:


  • sviluppo storico dei sistemi di valutazione in medicina;

  • differenze internazionali nell’approccio alla valutazione in medicina;

  • differenze interdisciplinari nella valutazione;

  • politica degli studi randomizzati controllati;

  • partecipazione dei consumatori negli studi randomizzati controllati;

  • industria, regole governative e studi clinici;

  • qualità degli studi randomizzati controllati;

  • il lavoro quotidiano della conduzione di studi randomizzati controllati;

  • studi di particolare significato storico o metodologico;

  • come gli studi clinici influenzano la pratica clinica;

  • studi clinici e politica sanitaria – priorità e studi clinici;

  • il futuro della valutazione nelle scienze sanitarie

[22] B. PITT E COLL., così si esprimono nella prefazione alla monografia “La sperimentazione clinica” (Il Pensiero Scientifico Ed., Roma, 2000): “E’ di importanza cruciale che tale valutazione sia oggettiva e imparziale, e che venga attuata ogni possibile strategia per evitare errori sistematici e distorsioni (bias) nella selezione dei pazienti, nella gestione, nel follow-up e nella valutazione dei risultati. Lo studio clinico controllato randomizzato è l’unico strumento affidabile per ottenere risultati di alto livello nella ricerca clinica.

[23] BOISSEL J.P., LEIZOROVIEZ A., Disegno e condizione di uno studio clinico, in B. PITT E COLL., La sperimentazione clinica, Il Pensiero Scientifico Ed., Roma, 2000 (pp 1-44).

[24] La regressione verso la media si osserva quando un soggetto viene selezionato sulla base di un valore alto o basso di un parametro fisiologico. E’ un fenomeno puramente statistico, la cui estensione dipende dal processo di reclutamento dei pazienti. Dato che lo stesso parametro viene misurato anche successivamente nel corso dello studio, il nuovo valore osservato sarà – in generale – più vicino a quello della media della popolazione. Il risultato è che, dopo qualche tempo, il valore anormale di selezione si è spostato verso il valore medio della popolazione e se l’evoluzione della malattia viene valutata utilizzando il cambiamento osservato nel parametro, un cambiamento puramente statistico potrebbe essere visto come cambiamento dello stato di malattia.

La definizione di placebo si applica “a qualsiasi trattamento che non ha un’azione specifica sui sintomi soggettivi e sui segni obiettivi di un processo morboso” (G.Folli, 1994, p.87); dunque può essere una “sostanza priva di qualsiasi attività farmacologica” (sostanza inerte, definita come placebo puro) o – quanto meno non fornita di attività specifica per la condizione morbosa o alle dosi in cui viene impiegata (placebo impuro) (L. Candia, 1994, p. 21). FOLLI G., L’uso del placebo in trials clinici: significato scientifico e valore sperimentale, in SPAGNOLO A.G., SGRECCIA E., (a cura),Lineamenti di etica della sperimentazione clinica, Vita e Pensiero Ed., Milano, 1994, pp. 85-90. CANDIA L., L’uso del placebo nei trial clinici: considerazioni etico deontologiche, in SPAGNOLO A.G., SGRECCIA E.(a cura di), Lineamenti di etica della sperimentazione clinica, Vita e Pensiero Ed., Milano, 1994, pp. 85-90.



[25] ANN MCIBBONet al., Guida alla evidence-based medicine, Il Pensiero scientifico Ed., Roma, 2000.

[26] A. MC KIBBON e coll. (l.c.), così descrivono il criterio in esame: “Tre sono i gruppi di persone solitamente coinvolti in studi clinici: i pazienti, gli operatori sanitari ed il personale che lavora alloallo studio. Ilprocesso di blindingdenominato “cieco” si riferisce in genere alla non conoscenza del gruppo diassegnazione o delpaziente oppure dell’operatore sanitario. Il “doppio cieco” si riferisce in genere al fatto che né il paziente né l’operatore sanitario sanno quale trattamento medico o altro tipo di intervento il paziente stia ricevendo. Il “triplo cieco” comporta che né l’operatore sanitario né il paziente né il personale che lavora allo studio, compreso il personale che gestisce i dati, sanno quale dei trattamenti sia quello attivo e quale il placebo o il trattamento standard fino al completamento dell’analisi finale dei dati” (pag.47).

Secondo questi AA., il triplo cieco è molto importante per gli studi sponsorizzati dall’industria farmaceutica. Le case farmaceutiche sono spesso criticate per il fatto di anteporre i loro profitti alla corretta pubblicazione dei dati negativi relativi ai loro prodotti, e questo sistema di triplo cieco esteso a tutti i livelli aiuta tutti i fruitori della ricerca medica a poter fare affidamento sui risultati finali che vengono pubblicati. Il doppio cieco è la forma più comune di procedura diblinding” (pag.48).



[27] “Un esempio di follow-up facile è uno studio a breve termine disegnato per valutare i benefici relativi di un trattamento antidolorifico standard per via endovenosa con uno strumento controllato dal paziente tramite un sistema di iniezione a pompa, nelle prime 24 ore dopo un intervento di cardiochirurgia. In questo tipo di studio è facile avere un follow-up del 100%. Il follow-up è molto più difficile quando lo studio dura più a lungo, i pazienti sono più mobili ed esistono minori incentivi per mantenere l’interesse dei pazienti. Esempi di follow-up difficile sono un programma di cura e prevenzione della diffusione della tubercolosi nei senzatetto o studi poliennali di trattamento con metadone e colloqui periodici di pazienti con problemi di tossicodipendenza” (pag.49).

[28] GALBRAITH S., STAT M; MARSCHNER I, Guidelines for the design of clinical trials with longitudinal outcomes, Controlled Clinicaltrials 23, 257-273, 2002.

[29] Perunapiù ampia rassegna delle condizioni di monitoraggio si legga: CURTIS L. MEINERT,Clinical trials andtreatementEffects Monitoring, Controlled Clinical Trials 19, 515-522, 1998

[30] “Il principio consiste nello stabilire un’ipotesi nulla, che indica cioè che il valore della differenza tra i cambiamenti è zero, e calcolare la probabilità (valore di P) della differenza osservata rispetto all'ipotesi nulla. Se il valore di P è alto, l’esperimento non è stato in grado di dimostrare una differenza, o perché questa non esiste realmente, o perché i dati non erano sufficienti. Ciò può essere dovuto o a una dimensione dell’effetto minore, o a una variabilità nei risultati maggiore rispetto al previsto. In entrambi i casi il numero di pazienti arruolati nello studio era troppo bassa (per scoprire un effetto). E’ importante sottolineare che il test di significatività non è in grado di distinguere tra queste due alternative. Se il valore di P è piccolo, di norma inferiore a 0.05, si può concludere che non è probabile che la differenza sia un effetto del caso. Il test di per sé non dice nulla a proposito di qualsiasi relazione di causalità tra la differenza osservata e il trattamento valutato. Questo problema si collega all’assenza di bias nel disegno e nell’esecuzione di uno studio clinico” (pag.14).

[31] Si ottiene la risposta con una procedura in due fasi, secondo PITT e altri (2000). “Per prima cosa si dovrebbe dimostrare che la differenza tra i due gruppi è stata causata dall’intervento, e che pertanto la dimensione osservata dell’effetto è un valore reale, dato l’ambito sperimentale… In secondo luogo, stabilito che la prima fase si sia conclusa con un sostegno soddisfacente alla relazione di causalità, si vorrebbe conoscere il valore della dimensione dell’effetto. La teoria statistica della stima dimostra che il valore più probabile dell’effetto vero è la differenza osservata, ma che altri valori, sebbene meno probabili, sono perfettamente coerenti con i dati raccolti. Allo scopo di fornire al ricercatore uno spettro di tali valori, si calcolano i limiti fiduciari, che costituiscono l’intervallo dei veri valori che non sono significativamente diversi dalla differenza osservata a un livello di X%. Dato che X è di norma fissato al 5% di significatività, i limiti fiduciari sono di conseguenza al 95%”.

[32] CALAMO SPECCHIA F.P., FUSCO A., LOJUDICE M.T., Etica e statistica nella gestione dei dati sperimentali in SPAGNOLO AG., SGRECCIA E. (a cura di), Lineamenti di etica della sperimentazione clinica, Vita e Pensiero, Milano 1994 (pp. 211-226).

[33] MEINERT C.L., TONASCIA S., HIGGINS K., Contents of reports on clinical trials: a critical review, Controlled Clinical Trials 5 (1984), pp 328-347.

[34] R. MORTON, The clinicaltrials: deceitful , disputable, unbelievable, unhelpful, shameful : what next?, ControlledClinical Trials, 22, 593-604, 2001.

[35] MC KIBBON A. ET AL., Storia naturale e prognosi, in MC KIBBON A. ET AL., Guida alla evidence basedmedecine,Il Pensiero Scientifico, Roma, 2000.

[36] BRAWLEY OW, A study of untreated syphilis in Negro male, Int.J. Radiat.Oncol.Bio.Phys-40, 5-8, 1998.

[37] Pertanto, valgono le indicazioni dell’Evidence-Based Medicine Working Group per gli studi di storia naturale e di prognosi in ordine all’importanza per i clinici (LAUPACIS A. et al., User’s guides to medical literature: how to use and article about prognosis,JAMA, 1994; 272: 234-7):

  • campione ben definito di pazienti ad uno stesso punto del decorso della malattia;

  • lunghezza e completezza del follow-up;

  • criteri di esito oggettivi e non soggetti a bias;

  • aggiustamento per i fattori prognostici importanti

[38] Anche il Comitato Nazionale per la Bioetica (CNB) non ha mancato, in più occasioni, di trattare l’argomento. Si vedano, ad es., i “Pareri” seguenti:

  • I comitati etici (27 febbraio 1992)

  • Informazione e consenso all’atto medico (20 giugno 1992)

  • La sperimentazione dei farmaci (17 novembre 1992)

  • Sperimentazione sugli animali e salute dei viventi (8 luglio 1997)

[39] Scrivono FIEDERSPIL e VETTOR: “Oggi, quindi, la conoscenza scientifica non è più considerata come una conoscenza “vera” né tanto meno come una conoscenza “certa”, ma solo come una conoscenza “fondata ed oggettiva”. Il termine oggettività può avere però due sensi diversi che è opportuno distinguere. Da un lato esso può essere inteso sia in senso forte, per il quale è “oggettivo” ciò che è “proprio” di un oggetto ovvero ciò che inerisce a quell’oggetto, sia in senso debole, per cui “oggettivo” è ciò che prescinde dai gusti, dalle preferenze personali, dai sentimenti, dalle speranze del soggetto. Come ha sottolineato Michael Dummett, “la scienza (….) cerca delle descrizioni della realtà che prescindano dalla nostra collocazione specifica nell’universo e dai nostri mezzi per percepire le cose”.

Fra i metodologi della scienza prevale oggi il secondo senso della parola per cui l’oggettività viene identificata con l’intersoggettività. Le “cose” – molecole, specie animali, pianeti, farmaci, fiumi, catene montuose, raggi luminosi, ecc. – che fanno parte della scienza sono in realtà concetti, ovvero oggetti “costruiti” mediante l’uso di alcuni criteri operativi che sono stati preliminarmente accettati dalla comunità scientifica. Ciò vuol dire che nella costruzione del loro sapere i membri della comunità scientifica stipulano fin dall’inizio un accordo che li vincola ad accettare alcuni criteri per definire gli “oggetti” che costituiranno l’ambito di una certa disciplina scientifica”. L’accordo sul significato di un termine non è però sufficiente a fondare l’oggettività scientifica. Affinché si possa parlare di oggettività è infatti necessario che le operazioni da effettuare e i risultati siano osservabili e registrabili, almeno in via di principio, da tutti e alla stessa maniera. Così, non basta che tutti gli immunologi siano d’accordo sul fatto che un antigene sia una sostanza che provoca la produzione di anticorpi ma è necessario che la presenza degli anticorpi possa essere messa in luce mediante una serie di tecniche effettuabili da tutti e sia osservabile da tutti. “La determinazione oggettiva (..) – ha scritto Agazzi – è quella che deve valere per tutti i soggetti che si occupano di quel determinatooggetto”. Ciò significa “semplicemente che chiunque si metta in grado di usare certi strumenti e di compiere certe operazioni, deve ritrovare lo stesso risultato”. Quel che si è detto finora riguarda l’oggettività delle osservazioni e dei concetti scientifici, tuttavia, è anche necessario considerare l’oggettività delle ipotesi e delle teorie scientifiche. Di fronte ad un certo numero di risultati sperimentali un ricercatore può sempre proporre diverse ipotesi esplicative, ma è possibile sostenere che tutte le congetture possibili sono ipotesi oggettive? Ad una simile domanda appare naturale rispondere negativamente, tuttavia una simile risposta solleva immediatamente il problema della distinzione fra le ipotesi oggettive e quelle non-oggettive. Al problema dell’oggettività Karl Popper ha trovato una soluzione che è divenuta ormai classica: “Dirò soltanto – ha scritto nella sua “Logica della scoperta scientifica” – che l’oggettività delle asserzioni della scienza risiede nel fatto che esse possono essere controllate intersoggettivamente”. (FEDERSPIEL G., VETTOR R., l.c., p. 681)



[40] DELLA TORRE G., La protezione dei soggetti di sperimentazione: il consenso informato e il consenso di chi non può consentire, in SPAGNOLO AG, SGRECCIA E. (a cura di), Lineamenti di etica della sperimentazione clinica, Vita e Pensiero Ed., Milano, 1994 , pp141-170.

[41] WALDRON J. (Ed.), Theories of Rights, OxfordUniv.Press, Oxford, 1995

[42] Si rinvia , in questa sede, alle relazioni dei Prof.ri MAY e soprattutto A. LORETI BEGHÉ e A. SPAGNOLO per gli aspettigiuridici e operativi.

[43] E. RAPAPORT (2001), scrive: “Gli studi clinici randomizzati controllati con placebo forniscono l’approccio scientifico più valido attualmente disponibile per stabilire se una particolare scelta diagnostica, preventiva o terapeutica può modificare uno specifico risultato. Stabilita la correttezza del disegno, questa tipologia di studi clinici fornisce non solo la possibilità di verificare se esiste un beneficio, ma aiuta anche a quantificare il livello di efficacia che può essere raggiunto in relazione a uno o più obiettivi primari o secondari predefiniti.

Le scelte dei medici in merito alla cura dei pazienti dipendono sempre più spesso dai risultati forniti dagli studi clinici randomizzati. Sebbene l’esperienza accumulata nella cura di una particolare malattia sia importante, gli studi clinici randomizzati forniscono una dimostrazione obiettiva sulla quale ogni medico dovrebbe basare le proprie decisioni. Se gli studi clinici randomizzati nonvengono realizzati su vasta scala per valutare terapie importanti, il clinico potrebbe trovarsi in una posizione difficile, incapace di stabilire quale sia la cura migliore per un particolare paziente.



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