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esilio. Poiché neppure dopo questo si astennero da quella empia azione, ma
apparve molto chiaramente un’infamia di tal genere che, tra molti, pochi ne
uscirono incolumi tanto che alcuni tra gli stessi che si salvarono testimoniarono al
nostro cospetto che da novanta a stento se ne salvarono tre, chi disprezza la
propria salvezza al punto da trascurare ciò e lasciarlo invendicato? Ma se le
nostre leggi sottomettono a supplizi coloro che stringono la spada contro
qualcuno, come può accadere che tolleriamo delitti commessi con tanto oltraggio
e un’azione fatta ugualmente contro Dio e contro le nostre leggi? Abbiamo
dunque ritenuto necessario perseguire più severamente con la presente legge
coloro che osano tali cose.
1 Sanciamo dunque che quelli che in qualunque luogo del nostro Stato
osano o oseranno castrare qualunque persona, se invero sono uomini coloro che
osarono od osano ciò, allora subiscano la medesima cosa che hanno fatto, e se
saranno fuggiti incolumi, i loro beni siano assegnati al fisco tramite colui che al
momento a tua gloria funge da magistrato, e gli stessi siano mandati a Gipso per
rimanere lì tutto il tempo della loro vita. Se invece sono delle donne a fare ciò,
anch’esse siano punite, e i loro beni siano assegnati al fisco tramite colui che
ricopre pro tempore il medesimo incarico, e le stesse siano mandate in esilio:
affinché da quell’empietà dalla quale pensarono o pensano di ricavare per sé un
guadagno, da quella medesima subiscano la pena e la perdita dei loro beni. Ma
comandiamo che quelli che commissioneranno ciò e procureranno persone per
questo scopo, o anche offriranno od offrono case o qualche luogo per questo, sia
uomini sia donne, subiscano le stesse pene di quelli che hanno materialmente
compiuto l’ingiusta azione.
2 Sebbene fare eunuchi usasse già da tempi assai antichi, tuttavia
comandiamo senz’altro che dalla dodicesima indizione del ciclo ora in corso
dovunque nei luoghi del nostro Stato gli eunuchi siano liberi, e che non siano
ricondotti in schiavitù in nessun modo o per nessun genere di contratto, né che
un documento pubblico o una privata scrittura che sia stata fatta o sarà fatta in
qualche modo o con l’inganno riguardo a loro sia valida, ma che non avvengano
le cosiddette indagini su quelli o non valgano se siano avvenute: ma anche
ordiniamo che tutti quelli che offrono un incarico per contratti di tal genere, in
seguito subiscano le suddette pene. Se tuttavia accadesse che un servo fosse
castrato a causa di malattia, comandiamo che anche quello goda della libertà:
quelli che infatti fin dal principio sono liberi, quando per caso cadono in tale
malattia, hanno il potere di usare per sé il rimedio che vogliono. Dunque
comandiamo che dalla data suddetta ad ora siano cercati i castrati, che sono nel
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nostro Stato presso qualunque persona, e che siano liberi né mai siano tratti in
schiavitù. Ma se alcuni hanno osato tenere alcuni tra gli stessi castrati dopo la
nostra presente legge, diamo anche a quelli la facoltà, poiché hanno ottenuto la
libertà grazie alla presente legge, tanto di rivolgersi qui all’imperatore quanto di
riferire la cosa al santissimo patriarca in carica e ai nostri gloriosissimi magistrati,
nelle province invece ai santissimi vescovi dei luoghi e ai presidi di quelle;
affinché, per la solerzia di tutti i nostri magistrati e sotto il pericolo degli uffici
che sono sottoposti a loro, sia a Costantinopoli sia in qualsiasi altro luogo del
nostro Stato, essi siano liberati e ad essi sia conservata la libertà data dalla
presente nostra legge. Infatti in nessun modo sopportiamo che siano trascurate
tante stragi commesse nel nostro Stato a causa di coloro che osano queste cose. Se
infatti i barbari, uditi i nostri insegnamenti riguardo a ciò, li hanno custoditi,
come possiamo tollerare, dopo tante sanzioni dei precedenti imperatori, che si
commetta qualcosa di tal genere o che ciò sia lasciato impunito nel nostro Stato?
epil. Ciò che a noi piacque ed è dichiarato per mezzo di questa sacra legge
generale a tua gloria sia qui sia nella provincia sarà eseguito ed osservato.
Nov. 143 Sulle donne rapite e che sposano i rapitori.
praef. A nessuno viene in dubbio che l’interpretazione di una legge
compete soltanto alla massima autorità, in quanto la superiorità rivendica a sé la
competenza di promulgare una legge. Rammentiamo pertanto, riguardo al
rapimento di donne, sia che fossero già promesse o congiunte ai mariti sia anche
vedove, di aver posto questa legge, che fossero sottoposti alla pena capitale non
solo i rapitori ma anche i loro complici ed altri che si sappia abbiano offerto aiuto
al tempo dell’irruzione in casa, e di aver dato, grazie alla medesima legge,
soddisfazione non solo ai genitori delle donne, ma anche a consanguinei e tutori
e curatori, e specialmente di aver dato luogo alle pene se le donne, già sposate o
fidanzate, fossero rapite, poiché non solo viene compiuto il rapimento della
donna, ma anche l’adulterio attraverso un atto così temerario. E oltre alle altre
pene previste per il rapitore e per gli altri suoi complici, stabiliamo con la
medesima legge che il patrimonio sia attribuito alla donna rapita, affinché le sia
consegnata buona parte della dote da dare al marito legittimo attraverso le
sostanze del rapitore. Aggiunto specialmente ciò, che non vi sia nessuna
possibilità per la donna o vergine rapita di scegliere il matrimonio col rapitore,
ma (vi sia possibilità solo) con colui a cui i genitori la vollero unire in legittime
nozze eccettuato il rapitore, senza che sia permessa, in nessun modo e in nessun
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