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Dare del "frocio" a qualcuno e' un reato



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Dare del "frocio" a qualcuno e' un reato
Lo ha stabilito come sempre la Cassazione annullando la sentenza di un giudice di pace di Teramo, che aveva assolto un uomo ritenendo che l'epiteto non fosse un'offesa.
Secondo la Cassazione il giudice "ha edulcorato e svalutato la portata lesiva della frase pronunciata dall' imputato". Frocio e' "un chiaro intento di derisione e di scherno, espresso in forma graffiante". E sciocchina. - TgCom

ASL: condannati imprenditori e manager
(Il Messaggero Roma: pag. 34 - 18 luglio 2006) Si è conclusa la prima tranche dell'inchiesta sulla truffa alle ASL romane: 5 condanne con rito abbreviato e pene fino a 7 anni. Il giudice ha condannato a 7 anni di carcere Mario Celotto, ex Direttore Amministrativo delle ASL B e C e a 6 anni e 4 mesi Paolo Ippopotami, funzionario dell'ASL Rm B che aveva seguito Celotto alla ASL C. Massimiliano Berardi, legale rappresentante di Thill italia, e Alessandro Visca, responsabile legale di 2000 sas sono stati condannati a 3 anni e 4 mesi, 2 anni e mezzo per Ferdinando D'Alise. Le accuse vanno dall'associazione per delinquere finalizzata alla truffa, al falso, al riciclaggio fino all'accesso abusivo ad un sistema informatico. I 5 imputati, tra il 2002 ed il 2005, avrebbero sottratto alle ASL circa 10 mln di euro. Nel frattempo anche l'Assessorato alla Sanità della Regione Lazio si sta muovendo con controlli interni.

Siamo inglesi e ci masturbiamo!



In Inghilterra sara' la Settimana della sega. Letteralmente. Channel Four trasmettera' infatti la Wank-a-Thon, una maratona della masturbazione ispirata all'ormai celebre Masturbate-Thon che si tiene a San Francisco. Come nella versione americana i soldi raccolti durante l'iniziativa verranno devoluti in beneficenza ad associazioni che operano nel campo dell'educazione sessuale. La settimana prevede inoltre altri due programmi di intrattenimento, di cui non sono stati svelati particolari, sempre sul sesso. Durante la maratona tenteranno di battere l'invidiabile record americano di 8 ore e mezza di masturbazione di massa. Astenersi perditempo. Per commentare questa notizia http://www.jacopofo.com/?q=node/1869





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Bye bye Silvio. Così i rapporti Usa hanno previsto le sconfitte di Berlusconi.

LA STAMPA 23 luglio 2006 di Paolo Mastrolilli e Maurizio Molinari – N. Y. - Le elezioni regionali del 2005 convincono gli Stati Uniti che Silvio Berlusconi perderà le politiche nel 2006, perché non è riuscito ad affrontare i problemi economici dell’Italia. I diplomatici di Washington trovano la conferma di questa previsione nel dicembre del 2005, quando un alto esponente di Forza Italia spiega all’ambasciata di Via Veneto che il suo partito non nutre molte speranze di togliere voti all’opposizione, e quindi userà la nuova legge proporzionale per portare via consensi ai propri alleati nella Casa delle Libertà. Sono giudizi messi in chiaro nei rapporti più recenti mai usciti dagli archivi del dipartimento di Stato, che «La Stampa» ha potuto leggere.
Il primo è datato 29 marzo 2005 ed è firmato dall’ambasciatore Melvin Sembler, che avverte il segretario di Stato, Rice: «Il 3 e il 4 aprile gli italiani voteranno per eleggere i nuovi governi in 14 delle 20 Regioni. La maggior parte dei sondaggi suggerisce che la coalizione di centrodestra del premier Berlusconi perderà almeno due di queste Regioni», con previsioni particolarmente negative in Liguria e Abruzzo.
Lunga campagna elettorale
Il 31 marzo Via Veneto torna a scrivere a Foggy Bottom: «Molti politici italiani aspettano i risultati delle regionali come un indicatore per le politiche del 2006. L’anno tra le regionali e le politiche è percepito come una lunga campagna elettorale. Il fallimento della coalizione di centrosinistra guidata da Romano Prodi nel conquistare almeno una Regione verrebbe interpretato come un segnale che il premier Berlusconi è ben posizionato per vincere nel 2006. Allo stesso modo, la perdita di più di una Regione settentrionale da
parte del centrodestra verrebbe preso dalla sinistra come la prova che il governo sta perdendo sostegno al Nord».
I diplomatici americani pensano che Formigoni possa conservare la Lombardia, «nonostante il presunto coinvolgimento nello scandalo “Petrolio per cibo"», ma vedono più ravvicinato lo scontro in Veneto. Piemonte e Liguria, invece, sembrano avviate a cambiare colore. Da una parte, «Ghigo sta combattendo
contro una forte tendenza verso sinistra»; dall’altra, «il centrodestra è debole senza Sandro Biasotti». La diagnosi è negativa soprattutto per la formazione del premier: «Il partito vulnerabile della coalizione governativa è Forza Italia. E’ in ritardo nella scelta dei candidati, e la sua struttura è debole ovunque. In molte regioni, inclusa la Lombardia, i coordinatori di Forza Italia sono in conflitto con i principali candidati delle loro regioni.
Questa è la prima volta dal 1994 che i manifesti elettorali locali non mostreranno l’immagine di Berlusconi. Uno dei suoi consiglieri ci ha detto che è una scelta fatta apposta, perché il premier teme un risultato negativo e non vuole essere associato alla sconfitta». Via Veneto vede con preoccupazione anche l’insistenza della Lega sulla «devolution», in vista del referendum costituzionale: «Se si terrà, creerà divisioni tra Nord e Sud e nuovi problemi per Forza Italia e il governo».
Sembler torna a spedire un dispaccio confidenziale alla Rice il 15 aprile, dopo la vittoria del centrosinistra in 12 Regioni su 14 e il ritiro dei ministri Udc dall’esecutivo: «Le politiche - prevede - si terranno comunque nel 2006, perché né il centrodestra, né il centrosinistra, né il ciclo del bilancio economico sono pronti ad anticiparle». Ma il Berlusconi tris non convince l’ambasciatore, che lo dice alla Rice in un rapporto del 28 aprile classificato «sensitive»: «Il governo conserva la sua significativa maggioranza parlamentare, ammesso che i quattro partner principali restino a bordo. Tuttavia le tensioni fra i membri della coalizione rimangono, e l’avvicinarsi delle elezioni acuirà tali contrasti».
Sembler spiega la sua preoccupazione principale in un rapporto del 9 maggio, inviato alla Rice e al dipartimento del Tesoro: «La debolezza dell’economia è un elemento guida nell’insoddisfazione verso il governo Berlusconi». Ma le vie d’uscita non sono facili da percorrere: «L’esecutivo ha cercato di scaricare la colpa sulla politica monetaria europea e le importazioni cinesi a basso costo. Se il deficit salisse in maniera significativa sopra il 3% del Pil, Silvio Berlusconi incorrerebbe nelle ire della Commissione Europea e dei mercati obbligazionari sovrani. Però senza spese preelettorali, e azioni credibili per migliorare la percezione degli elettori riguardo i progressi economici, il premier si ritroverebbe nei guai alle urne».
Il dilemma economico
Secondo l’ambasciatore americano, Berlusconi è intrappolato in un dilemma senza soluzione: «Il governo fronteggia richieste in conflitto. Gli elettori (e alcuni membri della coalizione), vogliono tagli alle tasse, aumenti degli stipendi e dei posti di lavoro statali, e sollievo dall’impatto delle esportazioni cinesi. La Commissione Europea e i mercati dei titoli chiedono disciplina fiscale, riforme economiche coerenti e consistenti, e il ripudio delle misure di finanziamento d’emergenza. L’esecutivo avrà grandi problemi a soddisfare uno qualsiasi dei due gruppi, per non parlare di accontentarli entrambi».
Sembler giudica «ottimistiche» le previsioni di crescita per il 2005, riviste al ribasso dal 2,7 all’1,2%, sottolineando come la base dell’industria tessile è stata colpita duro. Abolire l’Irap farebbe sparire 33 miliardi dalle casse dello Stato, mentre la proposta del «leasing» delle spiagge «è stata concepita in fretta e presentata male. Invece di guadagnare sostegno al Sud, regione essenziale per il governo, è stata vista come il segno di un esecutivo distante dalla realtà e non intenzionato ad affrontare le questioni vere, come lo
sviluppo delle infrastrutture».
Le riforme mancate
Sembler è duro anche con la strategia comunicativa del premier: «Nonostante i problemi fiscali dell’Italia, Berlusconi ha continuato a ripetere il suo ritornello dei tagli alle tasse fino alla sconfitta nelle regionali. Le analisi post elettorali hanno dimostrato che le riduzioni fiscali non hanno risuonato fra gli elettori, non convinti che potessero essere sostenuti nel futuro e quindi di scarso valore per il lungo termine. I votanti hanno capito anche che i tagli alle tasse sarebbero stati accompagnati da imposte sui servizi,
lasciando pochi soldi nelle loro tasche. Infine non erano parte di una riforma sistematica, per rendere più efficiente la spesa statale e ridurre gli sprechi nella burocrazia». Ai giudizi negativi, Via Veneto aggiunge pure che la legge Bossi-Fini sull’immigrazione «non sta funzionando come il governo avrebbe sperato». In quei mesi cambia l’ambasciatore americano a Roma, con Ronald Spogli che prende il posto di Sembler. Ma il 6 dicembre del 2005, descrivendo alla Rice la legge elettorale proporzionale voluta da Berlusconi, il nuovo titolare di Via Veneto dà poche speranze al centrodestra nelle politiche: «Le nuove regole costringeranno i membri della coalizione a correre uno contro l’altro. Berlusconi e il suo partner centrista Casini si sono già scambiati
attacchi». Non che il centrosinistra stia troppo meglio: «La sua disunione è famosa». Però un consigliere politico dell’ambasciata ha incontrato un alto esponente di Forza Italia, che lo ha stupito: «Ci ha detto che il proporzionale consentirà a Berlusconi di fare la campagna come capo del suo partito, e non leader della coalizione. In questo modo potrà rimproverare i fallimenti politici ai suoi alleati, promuovendo se stesso come l'alternativa». Il problema di fondo è che la Casa delle Libertà non pensa di poter vincere: «Il funzionario
di Forza Italia ha spiegato che i partiti delle due coalizioni hanno più possibilità di guadagnare voti a spese degli alleati, piuttosto che degli oppositori. Per esempio, ha dichiarato che Forza Italia può catturare più
voti da Alleanza Nazionale, che non dai DS. Quindi ha aggiunto che le tattiche della campagna elettorale verranno disegnate per sfruttare queste opportunità».
Spogli sa che anche a sinistra si litiga: «C'è una disputa fra gli elementi riformisti e quelli radicali riguardo la presenza italiana in Iraq. Esistono battaglie anche fra gli stessi partiti radicali, con i Verdi che cercano
di apparire più antiguerra di Rifondazione Comunista per guadagnare una manciata di voti». Quindi l’ambasciatore, notando i sondaggi che vedono «sfumare il vantaggio del centrosinistra in un testa a testa», prevede fuochi d’artificio per le politiche di aprile: «Non dovremo stupirci, se vedremo attacchi ancora
più forti tra membri della stessa coalizione».




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Il Paese dei Buonamici.

1.7.2006 -Un tempo, appena intercettavi una banda di ladri o di mafiosi, ti imbattevi in un politico. Ora, insieme al politico, salta fuori il mezzobusto. Di Vespa, Saccà e La Garofana s’è molto parlato. Un po’ meno del Tg5, che in due mesi ha già raggiunto quota tre. In Calciopoli c’è Sposini, sorpreso in allegri conversari con Luciano Moggi che gli dà la linea per il Processo di Biscardi. Chiara Geronzi, figlia d’arte, si dedicava a Moggi jr., Alessandro, suo socio nella Gea.

A Potenza si parte dal casinò e si arriva al Savoia, si parte dalle porcelle e si arriva al portavoce di Fini passando per la Farnesina, si parte dalle slot machines e si arriva a Cesara Buonamici. Pare che raccomandasse, non si sa bene a che titolo, il faccendiere onomatopeico Bonazza presso il ministro Matteoli per sveltire le pratiche ai Monopoli di Stato. Lei dice di averlo fatto gratis, «per pura cortesia», altri dicono di no. Dalle telefonate pare che sia lei a bussare a quattrini ma, quando il pm glielo fa notare, tira fuori l’orgoglio professionale: «Io sono anche una giornalista, se mi permette: sono abituata a fare domande!». Lo insegnano anche a scuola: il bravo giornalista chiede sempre. Poi, certo, c’è chi chiede soldi a Bonazza. Chi, come Sposini, chiede l’imbeccata a Lucianone. E chi chiede a 2-300 calciatori di passare alla Gea. Poi tutti a leggere il Tg5, di fronte o di tre quarti. Anche Sottile chiedeva («Chi ci trombiamo stasera?»): infatti pure lui è giornalista, e non si da pace perché «i colleghi mi hanno linciato». Non ci sono più le mafie d’una volta.

Indignarsi ancora? Non è il caso, per così poco. Nel Paese che da cinque anni tiene fuori dalla televisione Biagi e Santoro per «uso criminoso» della medesima, han ragione Vespa e Sposini, Buonamici e Geronzi, forse persino Sottile. Resta da capire che mestiere fanno questi signori & signore, che passano la vita nei palazzi e nei salotti del potere (senza mai raccontarci niente di quel che vedono e sentono), e alla fine non riescono più a distinguersi dal potere, anche perchè sono diventati essi stessi potere. Ecco, se questi sono giornalisti, quelli che ogni giorno scrivono notizie e fanno domande che cosa sono? Meglio cambiar nome e albo professionale.

Anzichè quelle dei magistrati, bisognerebbe separare le carriere dei giornalisti di questa televisione da quelle dei giornalisti normali, che non reclutano soubrettes, non raccomandano faccendieri, non recitano i testi di Moggi, non «confezionano» programmi «addosso» al politico di turno. Istituire l’Ordine Nazionale dei Mezzibusti aiuterebbe. Sarebbe tutto più chiaro e si risparmierebbe il maldifegato ai telespettatori.

Ma ve lo vedete un giornalista normale che fa come Giovanni Floris, cioè intervista Moggi in pieno scandalo Gea e non gli fa una domanda sulla Gea perché l’ha promesso in cambio dell’intervista? Verrebbe licenziato in tronco. Come pure Mentana, che a Matrix ha fatto lo stesso con Bergamo e De Santis: domande leggerissime, risposte bugiardissime e, se uno s’azzardava a contestarle, veniva zittito con la frase di rito: «Non siamo qui per fare processi». Risultato: De Santis, Bergamo, Moggi fanno un figurone. A tratti, sembrano perfino innocenti. Mentana, come Floris, si gode lo scoop.

Se Floris, come Mentana, non viene licenziato, né rimproverato, anzi probabilmente promosso, è perchè fa un altro mestiere (l’intrattenitore? il soubretto? il bravo presentatore? il vespino de sinistra? il semiconduttore?): risponde ad altri parametri professionali, ad altri criteri di valutazione. Tanto vale prenderne atto e avvertire i critici. A Ballarò, come a Matrix, Porta a Porta, C’è posta per te, Verissimo e Isola dei famosi, ciò che conta è avere ospite un vip in esclusiva, non fargli le domande giuste (soprattutto la seconda domanda, quella che serve a sbugiardare la prima risposta). Anzi, le domande giuste è meglio evitarle, sennò il vip va da un’altra parte dove non gliene fanno.

Così, applicando il modello Moggi su vasta scala, presto avremo a Ballarò anche Totò Riina: se gli promettono di non parlare di mafia, lui spiega le più moderne tecniche di coltivazione del lupino e di allevamento della pecora sulle alture di Corleone. Poi toccherà a Provenzano: niente mafia, ma ampio spazio alle ricette della cucina popolare siciliana a base di ricotta e cicoria. Poi avremo Donato Bilancia: se gli promettono di non parlare di donne e omicidi, lui illustra la sua personale riforma delle ferrovie.

In fondo non siamo mica qui a fare processi. Siamo tutti Buonamici. – Marco Travaglio






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Succo di melograno contro il cancro alla prostata.

A cura de Il Pensiero Scientifico Editore 07/07/2006 - Un piccolo studio, condotto presso il Jonsson Cancer Center della University of California Los Angeles, ha scoperto che bere ogni giorno un bicchiere di succo di melograno contribuirebbe a rallentare la crescita e la diffusione del cancro della prostata nel corpo.
 Il lavoro, pubblicato sulla rivista Clinical Cancer Research, ha coinvolto 50 uomini che erano già stati sottoposti ad un intervento chirurgico o ad un ciclo di radioterapia. Ogni paziente doveva bere 8 once (28,41 ml) di succo al giorno. Il parametro tenuto sotto controllo è stato la concentrazione del PSA (antigene prostatico specifico), una proteina che segnala la presenza del cancro alla prostata, ed il tempo necessario a raddoppiarlo. 
 Più è corto questo tempo, più corta è l’aspettativa di vita del paziente. Con il trattamento, il tempo necessario a raddoppiare la concentrazione è passato da 15 a 54 mesi in media. “È troppo presto per consigliare ai pazienti di bere succo di melograno”, afferma tuttavia Allan Pantuck, autore dello studio. I dati, infatti, sono ancora provvisori ed è in corso la preparazione di uno studio più significativo. Il succo di melograno è stato scelto dai ricercatori grazie all’alto contenuto di antiossidanti e di polifenoli, sostanze protettive contenute in molte specie di  piante.
 Ovviamente nessuno dei ricercatori pensa che il succo di melograno possa rappresentare una cura contro il cancro alla prostata, ma “potrebbe essere efficace nel ritardare o prevenire la necessità di ulteriori terapie alle quali seguono debilitanti effetti collaterali tra i quali fatica, depressione e impotenza”, conclude Pantuck.
 Fonte: Pantuck AJ, Leppert JT et al. Phase II study of pomegranate juice for men with rising prostate-specific antigen following surgery or radiaton for prostate cancer. Clin Cancer Res 2006; 12:4018-4026.




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Le leggende metropolitane su indulto e amnistia.

Nel ciclico dibattito su indulto e amnistia, circolano varie leggende metropolitane. La prima e' che l'Italia abbia troppi detenuti: in realta', in rapporto alla popolazione, ne abbiamo tanti quanti il resto d'Europa, o addirittura meno.
Il guaio e' che abbiamo troppi delinquenti: nessun paese europeo ha tre regioni e mezza nelle mani delle mafie, ne' conosce un cosi' alto tasso di devianza delle classi dirigenti (da Tangentopoli a Bancopoli a Calciopoli). Oltretutto molti reati di grave allarme sociale restano impuniti per il 90-95%. Se, come si spera, il nuovo governo diminuisse di qualche giorno la durata dei processi salvandone qualcuno dalla prescrizione, il numero dei detenuti crescerebbe effettivamente a dismisura. E nessun indulto o amnistia potrebbe far fronte al nuovo fabbisogno di posti-cella.
Per decongestionare le carceri, e' molto meglio una politica mirata di depenalizzazioni (alcune in tema di droga e immigrazione), pene alternative in luoghi sicuri, trasferimenti dei detenuti malati in comunita' sorvegliate, edilizia carceriaria, e magari indulto che levi 1-2 anni a chi sconta condanne molto lunghe.
Altra leggenda: le carceri traboccano di "ladri di polli". In realta' il grosso dei detenuti per i reati meno gravi sono in custodia cautelare e restano dentro per pochi giorni o settimane, dandosi il cambio in un continuo turn-over che nessuna iniziativa potra' mai fermare. Quanto ai detenuti definitivi, in espiazione pena, sono perlopiu' autori di reati gravi: di mafia, di armi, di sangue, di traffico di droga, di pedofilia, di terrorismo. Proprio quelli che, per timore di eccessiva impopolarita', tutti sono d'accordo di escludere da un provvedimento di clemenza. Per finire dietro le sbarre, bisogna superare i 3 anni di pena (al di sotto ci sono i domiciliari e i servizi sociali): dunque commettere reati piuttosto gravi.
Scarcerare i colpevoli di questi reati significa rischiare che qualcuno - come purtroppo e' probabile - torni a delinquere, rinfocolando rigurgiti forcaioli e tentazioni di giustizia di piazza. Tutta acqua al mulino del centrodestra, che strilla contro "la sinistra alleata dei criminali" e intanto lavora nell'ombra per salvare i soliti noti. Come se le carceri pullulassero di bancarottieri, corruttori ed evasori fiscali. In realta' gli autori di questi reati stanno in Parlamento. E, possibilmente, vorrebbero restarci. – M.T.




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Case della Salute: al congresso CARD del 28 settembre le linee guida nazionali.

La CARD, alla quale afferiscono tutte le Associazioni Regionali degli operatori dei Distretti in Italia, condivide l'analisi del Ministro Livia Turco enunciata in occasione della presentazione del modello della Casa della Salute organizzata a Roma il 18 luglio scorso dallo Spi Cgil. (necessità di modificare l'attuale assetto dell'offerta dei servizi orientando la sanità verso un potenziamento del territorio e assegnare all'ospedale un ruolo esclusivo per le acuzie e gli interventi appropriati).
Piena condivisione, inoltre, sull'affermazione della centralità del Distretto, sulla necessità di una strutturazione del territorio anche attraverso l'individuazione di un luogo di riferimento certo in analogia a quanto già avviene per l'ospedale nonché sulla necessità di una forte integrazione tra professionisti e tra attività.
"La proposta della Casa della Salute come "presidio strategico del Distretto" - sottolinea il Presidente della CARD Rosario Mete - è, del resto, un tema che la nostra Confederazione ha lungamente approfondito, anche con un'attenta analisi del cosiddetto "Chronic Care Model", tanto da diventare uno dei temi di spicco del prossimo V Congresso Nazionale che si svolgerà a San Marino dal 28 al 30 settembre p.v. Nel corso del Congresso, infatti, il lavoro di studio sfocerà nella presentazione di numerose esperienze e nella definizione di un modello replicabile di quello che viene definito Presidio Intergrato di Cure Primarie.
La CARD - conclude Mete - intende mettere a disposizione del Ministero della Salute e delle Regioni tutta la propria esperienza in questo campo, nonché le competenze che il "network" dei Distretti italiani ormai esprime, forte di oltre 1000 operatori di Distretto distribuiti su tutto il territorio nazionale. Siamo certi che il Ministro Livia Turco saprà far tesoro di questo patrimonio scientifico, tecnico e culturale della rete di professionisti che la CARD esprime per collaborare insieme, in questa fase di studio, affinché quanto da tanti espresso in ordine all'importanza dell'assistenza territoriale, diventi realmente un consolidato sistema organizzativo del nostro Servizio sanitario Nazionale".




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Il bue e l’asinello.

Qualche anno fa l’allora sindaco di New York Rudolf Giuliani si trovò alle prese con un guaio non da poco: la corruzione nei pubblici appalti (in America la corruzione è ancora considerata un guaio). Soprattutto nel lucrosissimo business dei rifiuti. Lo risolse così: con un regolamento che consentiva di partecipare alle gare soltanto alle aziende che mettessero per iscritto l’autorizzazione a subire intercettazioni telefoniche e ambientali a sorpresa. Chi non firmava, non partecipava.

Se la corruzione fosse considerata un problema, e non una virtù o una chance, anche in Italia, bisognerebbe rovesciare come un calzino l’eterna polemica sulle intercettazioni. Visto che buona parte della nostra classe dirigente (o digerente) manifesta una discreta tendenza a violare le leggi o a frequentare chi le viola, non solo non si dovrebbero limitare i controlli. Ma si dovrebbe pretendere dal candidato a una carica pubblica di autorizzare “ex post” intercettazioni sul suo conto. Chi ha una vita trasparente non ha nulla da temere, e firma. Chi non se la sente, affari suoi.

È il mondo dei sogni, ovviamente. Nell’Italietta reale, nel nostro piccolo mondo a parte, sono tutti, ma proprio tutti scatenati contro le intercettazioni. Ogni scusa è buona: i bacetti di Anna Falchi, le moine della Saluzzi, i passaggi delle «belle porcellone» nel letto di politici e «prìncipi reali» per una comparsata in Rai sono ottimi pretesti per strillare alla «privacy violata» e per tagliare le mani ai magistrati, onde impedire che intercettino i potenti. Perché è vero che la stampa dovrebbe autocontrollarsi, mettendo qualche «bip» e «omissis» in più a certe conversazioni magari utili alle indagini, ma inutili al dovere di cronaca. Ma davvero qualcuno è disposto a credere che, se destra e sinistra si stanno accordando addirittura per un decreto che limiti le intercettazioni e/o la loro pubblicazione, è per tutelare la vita privata di una Falchi o di una Saluzzi o di una Monsè?

Naturalmente non possiamo pensare che Prodi voglia legare il suo nome a un decreto, ­ sarebbe il primo del suo governo, ­ a una simile operazione, mancata persino dal governo Berlusconi (ed è tutto dire). Ma il clima è questo: alimentato, oltrechè dal sacro terrore di molti potenti di finire in qualche inchiesta, anche da commentatori che letteralmente non sanno quello che dicono.

Ieri Angelo Panebianco ha scritto sul Corriere cose che noi umani non potevamo immaginare: se i giornali pubblicano le intercettazioni di Potenza, è perché «non possono fare altro», in quanto assediati da «una misteriosa manina che le fotocopia diligentemente, le mette dentro tante buste e le invia alle redazioni dei principali quotidiani». Saranno felici i cronisti del Corriere, che come tutti si ammazzano di fatica per trovare le notizie. Ora, siamo in grado di rivelare al professor Panebianco l’identità della manina, per nulla misteriosa, che ha diffuso le telefonate incriminate: si chiama Alberto Iannuzzi, fa il gip a Potenza, e sabato scorso ha recapitato a una ventina di indagati, nonchè ai rispettivi avvocati, un’ordinanza di custodia di 2 mila pagine contenente le prove (soprattutto telefoniche) a loro carico. Da quel momento le telefonate sono in circolazione, pubbliche e pubblicabili come il sole e la pioggia.

Vogliamo abolire i mandati di cattura? Vogliamo che la gente venga arrestata senza sapere il perché? Vogliamo che i giudici tengano segrete le prove perché altrimenti qualcuno le pubblica? È questo il garantismo di questi professori? Ma il Panebianco una ne sa e cento ne pensa: mette sullo stesso piano il caso-Potenza con la nobile iniziativa vicepresidente Usa Dick Cheney, che «aveva avallato un piano di intercettazioni degli americani in funzione antiterrorismo» e fu subito perseguitato dai «commenti scandalizzati» della sinistra imbelle e complice di Al Qaeda: «Il bue che dà del cornuto all’asino». Forse al professor Panebianco sfugge che negli Usa le intercettazioni «ufficiali», disposte dalla magistratura, sono meno numerose di quelle italiane perché l’Italia è un paese garantista e affida solo ai giudici il potere di intercettare, e solo in presenza di gravi notizie di reato. Negli Usa, come in altri paesi, intercettano il governo, i servizi, la Sec (qualcosa di simile alla nostra Consob) senz’alcun controllo giudiziario «terzo», e senza bisogno di notizie di reato. Tutte intercettazioni che non risultano nelle statistiche ufficiali.

Non sappiamo chi sia il bue di cui parla il professor Panebianco. Ma sappiamo con certezza chi è l’asino. - 21.6.2006 di Marco Travaglio





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