Ufficio dei Referenti per la Formazione Decentrata del Distretto di Brescia Settore Diritto Europeo



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, Cfr. in modo davvero intenso, Ruggeri, Corti costituzionale e corti europee, cit.-pag.33 datt.-:"...L’impianto dello studio e le verifiche in esso condotte portano a dire che la logica di una rigida separazione degli ordinamenti (e, per ciò pure, delle sfere di competenza delle relative Corti) non ha ormai più alcun senso, se mai ne ha avuto. È vero che gli stessi ordinamenti parrebbero accreditarla; e basti solo pensare alla perdurante vigenza del principio di attribuzione in ordine ai riparti di materie e funzioni tra Unione e Stati, come pure – per ciò che specificamente attiene alla salvaguardia dei diritti – al principio secondo cui la stessa Carta dei diritti dell’Unione dichiara di poter valere unicamente negli ambiti materiali di competenza dell’Unione stessa. E, tuttavia, l’esperienza ormai insegna che separare a colpi di accetta gli ambiti stessi è impresa vana, i rapporti piuttosto essendo governati da canoni volti a renderne quanto più possibile duttile lo svolgimento e mobili i confini dei campi.”


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 Conclusioni dell’Avvocato generale Poiares Maduro presentate il 30 settembre 2009 nella causa C-135/08, Janko Rottmann, p.10: «…anche se una situazione è riconducibile a una materia rientrante nella competenza degli Stati membri, essa è compresa nell’ambito di applicazione ratione materiae del diritto comunitario allorché comporta un elemento di estraneità, vale a dire una dimensione transfrontaliera. Infatti, solo una situazione i cui elementi si collochino tutti all’interno di un unico Stato membro costituisce una situazione puramente interna». Analogamente Corte giust. 2 marzo 2010, n. C-135/08, Rottmann, p.41. Il punto è colto in modo altrettanto chiaro da Cass.17 marzo 2009 n. 6441, ove si esclude che In tema di diritto dello straniero al ricongiungimento familiare, la nozione di “familiare” ai sensi dell’art. 30, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 286 del 1998, possa desumersi dagli artt. 8 e 12 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo o dall’art. 9 della Carta di Nizza-Strasburgo, non trattandosi di materia disciplinata dal diritto comunitario.

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Cfr. Spiegazioni della Carta di Nizza sub art.51 e 52.

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Cfr. Corte giust. 17 marzo 2009, causa C-217/08, Mariano, che, nell’affermare che il diritto comunitario non contiene un divieto di qualsiasi discriminazione di cui i giudici degli Stati membri devono garantire l’applicazione allorché il comportamento eventualmente discriminatorio non presenta alcun nesso con il diritto comunitario, affermava testualmente che nemmeno la Carta di Nizza può modificare la natura puramente interna della questione (p.29 ss): «…Neppure il riferimento alla Carta dei diritti fondamentali può venire a sostegno di una conclusione diretta a far entrare il presente procedimento nella sfera di applicazione del diritto comunitario. A tal riguardo basta sottolineare che, conformemente all’art. 51, n. 2, di detta Carta, quest’ultima non introduce competenze nuove o compiti nuovi per la Comunità europea e per l’Unione, né modifica le competenze nonché i compiti definiti nei Trattati.» Conf. Corte giust. 26 marzo 2009, causa C-535/08, Pignataro; Corte Giust., 3 ottobre 2008 , causa C-287/08, Crocefissa Savia; Corte. Giust., 23 settembre 2008, causa C-427/06, Birgit Bartsch. V., anche di recente, sia pure in una prospettiva aperta, le citate Conclusioni dell'Avvocato Generale Sharpston nella causa C-34/09, Ruiz Zumbrano, p.156: "...  Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte, è possibile invocare i diritti fondamentali dell’Unione europea solo quando il provvedimento contestato ricada nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione. Tutti i provvedimenti adottati dalle istituzioni sono pertanto soggetti ad una valutazione quanto al loro rispetto dei diritti fondamentali dell’Unione. Lo stesso vale per gli atti degli Stati membri emanati nell’esecuzione di obblighi derivanti dal diritto dell’Unione o, più in generale, che ricadono nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione. Si tratta di un aspetto ovviamente delicato, poiché riconduce la tutela dei diritti fondamentali dell’Unione nell’ambito di ciascuno Stato membro, dove coesiste assieme ai livelli di tutela dei diritti fondamentali sanciti dal diritto nazionale o dalla CEDU. I problemi che conseguentemente derivano riguardo alla sovrapposizione tra livelli di tutela in forza dei diversi sistemi (diritto dell’Unione, diritto costituzionale nazionale e CEDU) e il livello di tutela dei diritti fondamentali garantito dall’Unione europea sono ben noti  ...".V., ancora, Corte Giust. 5 ottobre 2010, causa C 400/10 PPU, McB, p.51:”… le disposizioni della Carta si applicano, ai termini del suo art. 51, n. 1, agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione. In virtù del n. 2 della medesima disposizione, la Carta non estende l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle competenze dell’Unione, «né introduce competenze nuove o compiti nuovi per l’Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti nei trattati». Così, la Corte è chiamata ad interpretare, alla luce della Carta, il diritto dell’Unione nei limiti delle competenze che le sono attribuite.”;Corte Giust. 12 novembre 2010, causa C 339/10, Asparuhov Estov e a., p.12 e ss:”… per quanto riguarda la presente controversia, occorre ricordare che, ai sensi dell’art. 51, n. 1, della Carta, le disposizioni di quest’ultima si applicano «agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione» e che, in forza dell’art. 6, n. 1, TUE, che attribuisce alla Carta efficacia vincolante, e come risulta dalla dichiarazione sulla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea allegata all’atto finale della Conferenza intergovernativa che ha adottato il Trattato di Lisbona, essa non crea alcuna nuova competenza per l’Unione, né ne modifica le competenze. Peraltro, risulta da costante giurisprudenza che le esigenze derivanti dalla tutela dei diritti fondamentali vincolano gli Stati membri in tutti i casi in cui essi sono chiamati ad applicare il diritto dell’Unione e che essi sono tenuti, con ogni mezzo, a non disattenderle …). Poiché la decisione di rinvio non contiene alcun elemento concreto che consenta di ritenere che la decisione del Ministerski savet na Republika Bulgaria del 16 dicembre 2009 costituisca una misura di attuazione del diritto dell’Unione o che essa presenti altri elementi di collegamento con quest’ultimo, la competenza della Corte a risolvere la presente domanda di pronuncia pregiudiziale non sussiste.”; Corte Giust. 1° marzo 2011, causa C 457/09, Chartry, p.25:”… sebbene il diritto ad un ricorso effettivo, garantito dall’art. 6, n. 1, della CEDU, cui fa riferimento il giudice del rinvio, costituisca un principio generale del diritto dell’Unione … e sia stato riaffermato dall’art. 47 della Carta, nondimeno la decisione di rinvio non contiene alcun elemento concreto che consenta di ritenere che l’oggetto della causa principale presenti una connessione con il diritto dell’Unione. La causa principale, in cui un cittadino belga si oppone allo Stato belga in merito alla tassazione di attività esercitate nel territorio di tale Stato membro, non presenta alcun elemento di collegamento con una qualsivoglia delle situazioni previste dalle disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione delle persone, dei servizi o dei capitali. Inoltre, detta controversia non verte sull’applicazione di misure nazionali mediante le quali lo Stato membro interessato dia attuazione al diritto dell’Unione.Ne consegue che la competenza della Corte per risolvere la presente domanda di pronuncia pregiudiziale non risulta dimostrata.”;Corte Giust. 15 novembre 2011, causa C 256/11, Dereci e a., p.71 ss.:”… occorre ricordare che le disposizioni della Carta si applicano, ai sensi dell’art. 51, n. 1, della medesima, agli Stati membri esclusivamente in sede di attuazione del diritto dell’Unione. In virtù del n. 2 della medesima disposizione, la Carta non estende l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle competenze dell’Unione, né introduce competenze nuove o compiti nuovi per l’Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti nei trattati. Pertanto, la Corte è chiamata a interpretare, alla luce della Carta, il diritto dell’Unione nei limiti delle competenze riconosciute a quest’ultima (v. sentenze McB., cit., punto 51, nonché 15 settembre 2011, cause riunite C 483/09 e C 1/10, Gueye e Salmerón Sánchez, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 69). Pertanto, nel caso di specie, qualora il giudice del rinvio ritenga che, alla luce delle circostanze delle cause principali, le posizioni dei ricorrenti nelle cause principali siano soggette al diritto dell’Unione, esso dovrà valutare se il diniego del diritto di soggiorno di questi ultimi nelle cause principali leda il diritto al rispetto della vita privata e familiare, previsto dall’art. 7 della Carta. Viceversa, qualora ritenga che dette posizioni non rientrino nella sfera di applicazione del diritto dell’Unione, esso dovrà condurre un siffatto esame alla luce dell’art. 8, n. 1, della CEDU.     Difatti, occorre ricordare che tutti gli Stati membri hanno aderito alla CEDU, la quale consacra, nel suo art. 8, il diritto al rispetto della vita privata e familiare. In tal contesto, sulla base dell’art. 92, n. 1 del regolamento di procedura, va constatato che la Corte è manifestamente incompetente a risolvere le questioni presentate dal Varhoven administrativen sad.”

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 V.Concl.Avv.Generale Kokott pubblicate in data 15.12.2011 nella causa C-489/2010,Bonda, pp.14 e 15.

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 Commissione europea, Communication from the Commission, Strategy for the effective implementation of the Charter of Fundamental Rights by the European Union, 19 ottobre 2010: "...Article 51(1) of the Charter also stipulates that the Charter applies to the Member States only when they are implementing Union law. It does not apply in situations where there is no link with Union law. The binding legal force conferred on the Charter by the Lisbon Treaty has not changed this situation; the Treaty explicitly states that the provisions of the Charter do not extend the powers of the Union as defined in the Treaties... The Charter does not apply where there are breaches of fundamental rights with no connection to Union law. Member States have their own systems to protect fundamental rights through their national courts and the Charter does not replace them. It is therefore up to the national courts to ensure compliance with fundamental rights and up to the Member States to take the necessary measures in accordance with their national laws and international obligations. In such situations, the Commission does not have the power to intervene as guardian of the Treaties". L'unica apertura, blanda, verso un'applicazione ampia della Carta che sembra concedere ai singoli Stati è quella relativa all'individuazione dei casi in cui può ritenersi esistente un nesso di collegamento fra diritto interno e diritto eurounitario- p.1. 3. 3-:"... The Commission may only intervene if the situation in question relates to Union law. The factor connecting it with Union law will depend on the actual situation in question".

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 Cfr.Corte cost.n.80/2011, p.5.5: “…occorre peraltro osservare come – analogamente a quanto è avvenuto in rapporto alla prefigurata adesione dell’Unione alla CEDU (art. 6, paragrafo 2, secondo periodo, del Trattato sull’Unione europea; art. 2 del Protocollo al Trattato di Lisbona relativo a detta adesione) – in sede di modifica del Trattato si sia inteso evitare nel modo più netto che l’attribuzione alla Carta di Nizza dello «stesso valore giuridico dei trattati» abbia effetti sul riparto delle competenze fra Stati membri e istituzioni dell’Unione. L’art. 6, paragrafo 1, primo alinea, del Trattato stabilisce, infatti, che «le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell’Unione definite nei trattati». A tale previsione fa eco la Dichiarazione n. 1 allegata al Trattato di Lisbona, ove si ribadisce che «la Carta non estende l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle competenze dell’Unione, né introduce competenze nuove o compiti nuovi dell’Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti dai trattati». I medesimi principi risultano, peraltro, già espressamente accolti dalla stessa Carta dei diritti, la quale, all’art. 51 (anch’esso compreso nel richiamato titolo VII), stabilisce, al paragrafo 1, che «le disposizioni della presente Carta si applicano alle istituzioni, organi e organismi dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà, come pure agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione»; recando, altresì, al paragrafo 2, una statuizione identica a quella della ricordata Dichiarazione n. 1. Ciò esclude, con ogni evidenza, che la Carta costituisca uno strumento di tutela dei diritti fondamentali oltre le competenze dell’Unione europea, come, del resto, ha reiteratamente affermato la Corte di giustizia, sia prima (tra le più recenti, ordinanza 17 marzo 2009, C-217/08, Mariano) che dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (sentenza 5 ottobre 2010, C-400/10 PPU, McB; ordinanza 12 novembre 2010, C-399/10, Krasimir e altri). Presupposto di applicabilità della Carta di Nizza è, dunque, che la fattispecie sottoposta all’esame del giudice sia disciplinata dal diritto europeo – in quanto inerente ad atti dell’Unione, ad atti e comportamenti nazionali che danno attuazione al diritto dell’Unione, ovvero alle giustificazioni addotte da uno Stato membro per una misura nazionale altrimenti incompatibile con il diritto dell’Unione – e non già da sole norme nazionali prive di ogni legame con tale diritto. Presupposto di applicabilità della Carta di Nizza è, dunque, che la fattispecie sottoposta all’esame del giudice sia disciplinata dal diritto europeo – in quanto inerente ad atti dell’Unione, ad atti e comportamenti nazionali che danno attuazione al diritto dell’Unione, ovvero alle giustificazioni addotte da uno Stato membro per una misura nazionale altrimenti incompatibile con il diritto dell’Unione – e non già da sole norme nazionali prive di ogni legame con tale diritto.”


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 Cfr. punto 7.1. sent.n.227/2010:”… l’art. 12 del TCE, oggi art. 18 del TFUE, che vieta ogni discriminazione in base alla nazionalità nel campo di applicazione del Trattato. Anche sotto tale profilo è corretto il ricorso al giudice delle leggi, dal momento che il contrasto della norma con il principio di non discriminazione di cui all’art. 12 del Trattato CE, non è sempre di per sé sufficiente a consentire la “non applicazione” della confliggente norma interna da parte del giudice comune. Invero, il divieto in esame, come si evince anche dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, pur essendo in linea di principio di diretta applicazione ed efficacia, non è dotato di una portata assoluta tale da far ritenere sempre e comunque incompatibile la norma nazionale che formalmente vi contrasti. Al legislatore dello Stato membro, infatti, è consentito di prevedere una limitazione alla parità di trattamento tra il proprio cittadino e il cittadino di altro Stato membro, a condizione che sia proporzionata e adeguata, come, ad esempio, in una fattispecie quale quella che ci occupa, la previsione di un ragionevole limite temporale al requisito della residenza del cittadino di uno Stato membro diverso da quello di esecuzione (Corte di giustizia, sentenza Wolzenburg). Non solo, ma a precludere al giudice comune la disapplicazione della norma interna in ipotesi incompatibile, vale anche la circostanza che nella specie si verte in materia penale e che un provvedimento straniero che dispone la privazione della libertà personale a fini di esecuzione della pena nello Stato italiano non potrebbe essere eseguito in forza di una norma dell’Unione alla quale non corrisponda una valida norma interna di attuazione (sentenza n. 28 del 2010, punto 5).”

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 Cfr.Concl.Avv.Gen.Mengozzi ult. cit. nel testo, pp. 48 ss.:”… Occorre rilevare, in primo luogo, che l’opponente nel procedimento principale si è avvalso della sua libertà di circolazione recandosi in territorio francese nel quale risiede legalmente e ha costruito una vita familiare. Orbene, gli Stati membri, nell’ambito dell’attuazione di una decisione quadro, non possono violare il diritto dell’Unione, in particolare le disposizioni relative alla libertà riconosciuta a qualsiasi cittadino dell’Unione di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. La Corte ha così già statuito che un cittadino di uno Stato membro che risieda legittimamente in un altro Stato membro ha diritto di avvalersi del principio di non discriminazione nei confronti di una normativa nazionale che stabilisce le condizioni secondo le quali l’autorità giudiziaria competente può rifiutare di eseguire un mandato di arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della libertà. A fortiori, lo stesso deve valere per la normativa francese oggetto del procedimento principale che esclude ogni cittadino dell’Unione, ad eccezione dei soli cittadini francesi, dal poter beneficiare del motivo di non esecuzione previsto dall’articolo 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584. Di conseguenza, occorre considerare che il convenuto nel procedimento principale ha il diritto di avvalersi dell’articolo 18 TFUE nei confronti di detta normativa. Resta quindi da accertare se l’articolo 695-24 del codice di procedura penale comporti una discriminazione fondata sulla cittadinanza. Secondo una costante giurisprudenza della Corte, il principio di non discriminazione esige che situazioni analoghe non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, a meno che un trattamento simile non sia oggettivamente giustificato …  Una differenza di trattamento siffatta può rivelarsi conforme al principio di non discriminazione se è oggettivamente giustificata e proporzionata all’obiettivo legittimamente perseguito, vale a dire che non deve andare oltre quanto è necessario per raggiungere tale obiettivo ...      È peraltro evidente che una normativa che ha come risultato quello di escludere, sic et simpliciter, tutti i cittadini dell’Unione che non abbiano la cittadinanza francese dalla possibilità di beneficiare del motivo di non esecuzione di cui all’articolo 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584 è sproporzionata. Essa priva sistematicamente le autorità giudiziarie competenti del loro potere di valutazione delle situazioni individuali e presume, in modo tanto perentorio quanto inconfutabile, l’impossibilità giuridica di procedere all’esecuzione della pena in territorio francese. Orbene, dall’argomento sviluppato dal governo francese discende che la situazione è più sfumata e che, non essendo possibile stabilire un quadro giuridico uniforme per tutti le ipotesi che le autorità giuridiche dello Stato di esecuzione potrebbero trovarsi ad affrontare, è necessario determinare, caso per caso, il diritto applicabile perché può variare a seconda dello Stato della cittadinanza della persona condannata. La normativa oggetto del procedimento principale è sproporzionata in quanto esclude a priori dalla possibilità di beneficiare di detto motivo persone condannate che potrebbero potenzialmente aspirare, in virtù delle norme giuridiche applicabili alla loro richiesta, all’esecuzione della loro pena nel territorio francese.59. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di rispondere alla prima questione sottoposta dal giudice del rinvio nel senso che il principio di non discriminazione di cui all’articolo 18 TFUE osta ad una normativa nazionale come quella oggetto del procedimento principale che riserva la facoltà di rifiutare l’esecuzione del mandato d’arresto europeo emanato ai fini dell’esecuzione di una pena al solo caso in cui la persona ricercata abbia la cittadinanza francese e le autorità francesi competenti si impegnino a eseguire la pena.”

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 Cfr. p.113 Concl.Avv.Gen.Bot, causa C 123/08, Wolzemburg, p.113 ss.:”… Queste sentenze fanno parte di una giurisprudenza costante secondo cui uno Stato membro, nell’esercizio delle competenze che gli sono riservate, non deve ledere le disposizioni del Trattato CE , tra le quali figura il divieto di qualsiasi discriminazione in base alla nazionalità sancito all’art. 12 CE. Tale giurisprudenza dovrebbe applicarsi, a fortiori, allorché uno Stato membro dà applicazione ad un atto di diritto dell’Unione, quale una decisione quadro, come conferma l’art. 47 UE, in virtù del quale nessuna disposizione del Trattato UE deve pregiudicare le disposizioni del Trattato CE. 114. Ne consegue che il sig. Wolzenburg, che si trova nei Paesi Bassi a seguito dell’esercizio delle libertà di circolazione conferitegli dal Trattato CE, in qualità di cittadino dell’Unione o di operatore economico, ha il diritto di avvalersi dell’art. 12 CE contro la legislazione olandese che stabilisce in quali condizioni egli può beneficiare del motivo di non esecuzione di cui all’art. 4, punto 6, della decisione quadro. D’altra parte, uno Stato membro non può, dando applicazione ad una decisione quadro, ledere il principio di non discriminazione in quanto principio fondamentale sancito, segnatamente, all’art. 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, (in prosieguo: la «CEDU»), firmata a Roma il 4 novembre 1950, nonché all’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000. Infatti, secondo una costante giurisprudenza, gli Stati membri, quando danno attuazione al diritto dell’Unione, sono tenuti a rispettare i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla CEDU e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario. Le condizioni nelle quali uno Stato membro applica il motivo di non esecuzione di cui all’art. 4, punto 6, della decisione quadro non possono dunque essere sottratte ad un controllo di conformità con il principio di non discriminazione.”


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 Orbene, la Corte di Cassazione, nel sollevare questione di legittimità costituzionale della normativa interna, aveva ritenuto che il citato art. 18, comma 1, lettera r), nel prevedere che il destinatario del mandato d’arresto possa espiare la pena nello Stato italiano, qualora sia cittadino italiano, riproduce l’art. 4, punto 6, della decisione quadro, richiamando una serie di sentenze della stessa Corte, le quali hanno escluso l’applicabilità di tale norma, in via interpretativa, allo straniero residente in Italia, osservando che detta decisione quadro attribuisce agli Stati membri dell’Unione europea la mera facoltà di estendere a quest’ultima una tale previsione, qualora sia stata prevista per i propri cittadini. La stessa Cassazione aveva escluso di potere fare ricorso al canone dell’interpretazione conforme del diritto interno alle disposizioni sovranazionali in quanto la decisione quadro attribuiva una mera facoltà agli Stati membri dell’Unione europea di estendere le guarentigie eventualmente riconosciute ai propri cittadini anche agli stranieri residenti sul loro territorio, in virtù di una scelta di politica criminale riservata alla discrezionalità dei legislatori nazionali, neppure censurabile per l’eventuale sua irragionevolezza. Su tale facoltà non aveva inciso la sentenza della Corte di giustizia del 17 luglio 2008, n. 66, Kozlowsky, che ha soltanto offerto l’interpretazione della nozione di residenza richiamata nell’art. 4, punto 6, di detta decisione quadro. Secondo la Cassazione remittente la chiara ed univoca lettera del citato art. 18, comma 1, lettera r), e la sua comparazione con l’art. 19, comma 1, lettera c), della legge n. 69 del 2005 non permettevano una interpretazione diversa e meno restrittiva di quella offerta nella sentenza impugnata. Del resto, anche la Corte di giustizia(sentenza 16 giugno 2005, n. 105/03, Pupino, aveva affermato che i giudici nazionali devono interpretare le norme nazionali alla luce della lettera e dello scopo della decisione quadro, entro i limiti consentiti dalla lettera delle medesime. Tale posizione veniva integralmente condivisa da Corte cost.n.227/2010, secondo la quale “i rimettenti hanno correttamente valutato, in primo luogo, l’esistenza del contrasto tra la norma impugnata e la decisione quadro, esplicitando le ragioni che precludono l’interpretazione conforme. La motivazione sul punto è plausibile, in quanto numerose decisioni della stessa Corte di cassazione configurano un “diritto vivente” in ordine all’applicabilità nella specie ed alla portata dell’art. 18, comma 1, lettera r), in particolare alla non riferibilità di questa norma allo straniero dimorante o residente in Italia. Peraltro, tale interpretazione risulta suffragata sia dalla lettera della disposizione, che dai lavori preparatori, espressivi dell’intento specifico di escludere per il MAE in executivis il rifiuto di consegna dei cittadini di altri Paesi dell’UE, esclusione oggetto di uno specifico emendamento.” Da qui la conclusione del giudice delle leggi secondo cui “il contrasto tra la normativa di recepimento e la decisione quadro, insanabile in via interpretativa, non poteva trovare rimedio nella disapplicazione della norma nazionale da parte del giudice comune, trattandosi di norma dell’Unione europea priva di efficacia diretta, ma doveva essere sottoposto alla verifica di costituzionalità di questa Corte.” Si comprende, allora, come la soluzione prospettata dal remittente e condivisa giudice costituzionale interno tende a valorizzare il canone costituzionale e ad accentrare sulla Corte delle leggi il ruolo di “garante ultimo” dei diritti, riducendo conseguentemente non solo lo spazio operativo dello strumento sovranazionale e delle “regole” che lo governano, ma anche il ruolo del giudice comune di diritto eurounitario, radicalmente depotenziando la portata dell’interpretazione conforme che, nel peculiare significato che la Corte di Giustizia le dà, rappresenta per contro uno straordinario e virtuoso modello di immediata garanzia dei diritti nelle mani del giudice nazionale. La particolare timidezza volutamente usata da Corte cost.n.227/2010 sulla portata del principio di non discriminazione fondato sulla nazionalita' e sulla sua asserita non immediata precettivita' viene decisamente contrastata dalla Corte di Giustizia la quale, senza mezzi termini, nella sentenza del 5 settembre ha cura di chiarire –p.50- che “gli Stati membri, qualora traspongano l’articolo 4, punto 6, della decisione quadro 2002/584 nel loro ordinamento interno, non possono, pena la lesione del principio di non discriminazione in base alla nazionalità, limitare tale motivo di non esecuzione ai soli cittadini nazionali, escludendo in maniera assoluta e automatica i cittadini di altri Stati membri che dimorano o risiedono nel territorio dello Stato membro di esecuzione, indipendentemente dai legami che essi presentano con tale Stato membro.”


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V. sent. Cit. nel testo: “…Tuttavia, l’articolo 6, paragrafo 3, TUE non disciplina il rapporto tra la CEDU e gli ordinamenti giuridici degli Stati membri e nemmeno determina le conseguenze che un giudice nazionale deve trarre nell’ipotesi di conflitto tra i diritti garantiti da tale convenzione ed una norma di diritto nazionale.” Su tale ultima pronunzia v. Ruggeri, La Corte di giustizia marca la distanza tra il diritto dell’Unione e la CEDU e offre un puntello alla giurisprudenza costituzionale in tema di (non) applicazione diretta della Convenzione (a margine di Corte giust., Grande Sez., 24 aprile 2012), in www.diritticomparati.it.

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Sorrentino, I diritti fondamentali in Europa dopo Lisbona (Considerazioni preliminari), in Corr. giur., 2010, 2,148. Cfr. in modo davvero intenso, Ruggeri, Corti costituzionale e corti europee, cit.-pag.33 datt.-:"...L’impianto dello studio e le verifiche in esso condotte portano a dire che la logica di una rigida separazione degli ordinamenti (e, per ciò pure, delle sfere di competenza delle relative Corti) non ha ormai più alcun senso, se mai ne ha avuto. È vero che gli stessi ordinamenti parrebbero accreditarla; e basti solo pensare alla perdurante vigenza del principio di attribuzione in ordine ai riparti di materie e funzioni tra Unione e Stati, come pure – per ciò che specificamente attiene alla salvaguardia dei diritti – al principio secondo cui la stessa Carta dei diritti dell’Unione dichiara di poter valere unicamente negli ambiti materiali di competenza dell’Unione stessa. E, tuttavia, l’esperienza ormai insegna che separare a colpi di accetta gli ambiti stessi è impresa vana, i rapporti piuttosto essendo governati da canoni volti a renderne quanto più possibile duttile lo svolgimento e mobili i confini dei campi.


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