Ufficio dei Referenti per la Formazione Decentrata del Distretto di Brescia Settore Diritto Europeo


La responsabilità dello Stato per violazione del diritto UE derivante dal funzionario pubblico e da provvedimento giurisdizionale



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2.2.3. La responsabilità dello Stato per violazione del diritto UE derivante dal funzionario pubblico e da provvedimento giurisdizionale.

D’altra parte, la pronunzia in rassegna tralascia completamente di occuparsi delle ricadute “di sistema” che la conclusione prospettata in ordine alla natura della responsabilità dello Stato può avere rispetto alla responsabilità per violazione ascrivibile al potere giurisdizionale ed esecutivo.

Si è già detto che per la Corte di Giustizia la responsabilità dello Stato membro sulla base del diritto comunitario è preordinata non già alla dissuasione o all’applicazione di una sanzione, bensì al risarcimento dei danni subiti dai privati in conseguenza delle violazioni del diritto comunitario poste in essere dagli Stati membri.Sicchè quando le condizioni cui è soggetto il diritto al risarcimento sono soddisfatte, spetta allo Stato membro riparare il danno provocato, nell’ambito delle norme del diritto nazionale relative alla responsabilità-cfr.Corte giust. 17 aprile 2007, C470/03, A.G.M.-COS.MET Srl.

Ed invero, la connotazione in termini di “fatto non antigiuridico” della responsabilità dello Stato, al di là del carattere anodino di tale formula, entra in chiara ed inequivoca rotta di collisione rispetto alle ipotesi di responsabilità dello Stato per atto del giudice e dell’amministrazione che, a livello interno, pur nell’ambito di problematiche sicuramente mobili e ancor oggi non definitive mai, allo stato, potrebbero essere inquadrate in un ambito diverso da quello dell’illecito extracontrattuale, in questa direzione ponendosi non solo la legge n.117/198878 o comunque l’art.2043 c.c. se si concorda con la dottrina che non ritiene rilevante ai fini dell’illecito comunitario per atto del giudice la legge nazionale(Scoditti) 79- per quel che riguarda la responsabilità da atto del giudice- ma anche il combinato disposto degli art.28 Cost. e 2043 c.c. per la responsabilità derivante da condotta del pubblico dipendente o funzionario80, essendo semmai in discussione solo l’inquadramento della responsabilità da atto amministrativo che produce un’illiceità comunitaria. E che il sistema dell’illecito civile, proprio per l’ampia mobilità dei suoi confini, sia il più adatto per tutelare il cittadino di fronte alla p.a. è del resto confermato dal recente intervento normativa in tema di danno da ritardo81.

Non può infatti revocarsi in dubbio che per nessuno degli ambiti appena indicati possono richiamarsi quelle “somme ragioni” che sono alla base della scelta intrapresa dalle Sezioni Unite. Anzi, proprio i riferimenti normativi appena ricordati rendono palese la piena configurabilità della responsabilità ed i suoi connotati intrinsecamente illeciti.

Il punto è, allora, di capire se l’ordinamento interno può “tollerare” una diversità strutturale tra le ipotesi di responsabilità per violazione del diritto comunitario appena menzionate e tale, in definitiva, da qualificare in termini di fatto lecito – non antigiuridico- la condotta del legislatore e di costruire come illecita la condotta correlata al fatto del giudice e/o del funzionario.

Siffatta dicotomia non sembra poter resistere ad un vaglio di ragionevolezza, risultando per contro produttiva di effetti discriminatori affatto comprensibili e giustificabili.

Ed invero, la violazione del diritto comunitario che costituisce il dato unificante delle tre condotte per come è stata posta dalla Corte di Giustizia non sembra poter meritare un diverso trattamento a seconda che a porla in essere sia il legislatore o il giudice o il funzionario, tanto risultando impedito dagli stessi paletti fissati dalla Corte di Giustizia nelle sentenze sopra ricordate che, in definitiva, Cass.n.9147/09 omette di considerare nella loro completezza.

In definitiva, la costruzione fondata sul fatto non antigiuridico e sul carattere indennitario della responsabilità dello Stato mal si attaglia ai casi di danno cagionato da attività del giudice e/o del pubblico funzionario che ha mal applicato il diritto comunitario, risultando in tali casi il nocciolo della responsabilità nel contegno contra ius dell’agente che, con il suo operato, ha impedito al titolare di godere della posizione giuridica riconosciutagli dal diritto comunitario. In tali casi, infatti, il nesso eziologico tra condotta ed evento lesivo vede come protagonista “in negativo” lo Stato amministrazione e lo Stato Giudice che assorbe in sé la condotta illecita dei suoi organi82.

Ecco perché l’ordinamento comunitario non sembra ammettere una diversità di trattamento all’interno della responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario fondata sulla qualità- legislativa, giurisdizionale o esecutiva(per la quale v.la sentenza Brasserie già cit.)- dell’organo che l’ha originata allorchè non vi siano rilevanti scostamenti fra le diverse ipotesi.

Si tratterebbe, all’evidenza, di una disparità di trattamento capace di minare quel principio dell’unità dello Stato – di ispirazione internazionalistica-83 rispetto al diritto comunitario e peraltro difficilmente sostenibile nel momento in cui essa consentisse regimi procedurali differenti in punto di responsabilità, se è appunto vero che lo Stato viene preso in considerazione “senza che rilevi la circostanza che la violazione da cui ha avuto origine il danno sia imputabile al potere legislativo, giudiziario o esecutivo”.

In questa direzione, del resto, si muove la sentenza Traghetti del Mediterraneo84 che, valutata nel suo complesso, ha avuto il senso di ricondurre –malgrado alcune apparenti diversità terminologiche - la responsabilità dello Stato per atto del giudice a quella generale già tratteggiata dalla stessa Corte comunitaria, ritenendo incompatibile il quadro normativo italiano che riduceva la sfera di responsabilità per atto del giudice ad un ambito più limitato rispetto a quello in generale ricostruito sul tema generale della responsabilità per violazione del diritto comunitario.

D’altra parte, sembra evidente che i profili di responsabilità correlati alla violazione del diritto comunitario dei quali si è detto appaiono tutti sovrapponibili quanto al loro oggetto, alla loro finalità e ai loro elementi essenziali, avendo in comune lo stesso oggetto (risarcimento del danno) e la stessa finalità (illiceità del comportamento lesivo), nemmeno ravvisandosi che l’azione per responsabilità dello Stato fondata sulla violazione di carattere giurisdizionale differisca, nei suoi elementi essenziali, dall’azione per responsabilità dello Stato per fatto del legislatore o del pubblico dipendente.

Certo, è indiscutibile che gli Stati possano, in mancanza di una normativa comunitaria, “…disciplinare le modalità procedurali dei ricorsi diretti a garantire la piena tutela dei diritti conferiti ai soggetti dal diritto comunitario, norme sulla prescrizione incluse”-cfr.Concl.Avv.Generale Pioares Maduro, 9 luglio 2009, causa C- C118/08, Transportes Urbanos y Servicios Generales-.Ma rimane pur sempre chiaro il principio per cui tali modalità devono rispettare i principi di equivalenza e di effettività e non toccano, comunque, la base stessa della responsabilità che sta, appunto a monte e non può essere disciplinata dal singolo Stato per le stesse argomentazioni già esposte sopra parlando della responsabilità per fatto del legislatore.

In questa prospettiva, l’unica alternativa potrebbe essere quella di ritenere che i sistemi previsti per la responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario per atto del giudice e del funzionario, caratterizzandosi per modalità procedurali diverse da quelle proprie del caso di responsabilità statale per atto del potere legislativo, si pongono in antitesi con il canone comunitario fondamentale dell’equivalenza e possano, così, essere rimodulati attraverso la non applicazione delle relative discipline e l’applicazione della disciplina più favorevole al danneggiato- quella appunto tratteggiata dalle Sezioni Unite-.

Resta tuttavia l’anomalia di siffatta conclusione se solo si considera che il sistema normativo interno previsto sul tema sembra essere “unicamente” quello regolato dalle normative sopra richiamate, a fronte di una ipotizzata responsabilità da fatto non antigiuridico che, pur senza trovare agganci normativi precisi ma semmai su un’idea di rigetto del modello comunitario della responsabilità statale85, si snoda su un percorso ad ostacoli, come si è detto palesemente contrario al quadro comunitario indicato.

Certo, rispetto a quanto appena detto potrebbe sostenersi che le ipotesi di violazione del diritto comunitario ascrivibili a giudici di ultima istanza integrano fattispecie non comparabili con quelle della violazione commessa dal legislatore e dal funzionario, così da giustificare regimi procedurali nazionali diversi, pienamente compatibili con i principi di equivalenza e non contraddizione.

Ma si tratta di affermazioni che pare si scontrino con la sovrapponibilità, ai fini risarcitori, del danno provocato da un atto legislativo piuttosto che una condotta di un funzionario e/o del giudice di ultima istanza. Fermo restando che esulano dal campo d’indagine le eventuali previsioni interne destinate a regolare le vicende interne al rapporto Stato giudice e/o Stato amministrazione.

In definitiva, l’appunto principale che sembra doversi muovere all’ermetica pronunzia delle S.U. -prendendo a prestito l’espressione utilizzata da Adolfo di Majo nel suo commento alla medesima decisione- è quello di avere riproposto, attraverso un’operazione ermeneutica che sembrava ormai definitivamente archiviata, un’analisi del problema della responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario che solo in apparenza tende ad avvicinarsi alle esigenze del cittadino danneggiato e che, invece, priva il soggetto danneggiato di quei parametri che la Corte di Giustizia aveva inteso fissare in funzione unificante proprio per evitare che il regime di responsabilità fosse affidato “ai vari e variegati sistemi nazionali, perciò provocando una chiara diseguaglianza tra i cittadini dei vari Stati membri” 86.

In questa prospettiva il tema della prescrizione più favorevole al danneggiato che le Sezioni Unite enfatizzano per giustificare la bontà della soluzione espressa si dimostra argomento solo suggestivo ed affatto solido.

Ed in effetti, il 3 giugno 2009, pochi giorni dopo la sentenza delle Sezioni Unite, la Sezione Lavoro della Cassazione (sent.n.12814/09) affermava placidamente che in materia azione promossa dagli specializzandi per ottenere la retribuzione fissata a livello comunitario nel periodo anteriore al 1991 “…trattandosi di azione di risarcimento del danno, la prescrizione è quinquennale ed inizia a decorrere dal momento in cui il diritto può essere fatto valere.” 87

Il tutto con buona pace della giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo secondo la quale “…il principio della certezza del diritto, implicito nel sistema della Convenzione, osta a che l’organo giurisdizionale di ultimo grado e dotato di funzione nomofilattica adotti pronunce contrastanti sulla medesima questione di diritto, così violando l’art. 6 CEDU”-cfr.Corte dir.uomo, 6 dicembre 2007,Beian c.Romania-.

Per altro verso, Cass.S.U. n.9147/09, guardando solo alla violazione ascrivibile al legislatore derivante da omessa o non corretta trasposizione del diritto comunitario, senza darsi carico di esaminare il tema generale dell’illecito comunitario, all’interno del quale vanno pure inserite sia le ipotesi di vigenza di una normativa nazionale contrastante con il diritto comunitario sopravvenuto che, come si è visto, quelle dell’illecito dello Stato-Giudice e dello Stato-legislatore, non sembra distinguersi per chiarezza e completezza argomentativa, sposando la tesi minoritaria senza aggiungere perspicui argomenti capaci di sovvertire quello che, a detta delle Sezioni Unite, era indirizzo maggioritario espresso “senza particolari approfondimenti del problema di qualificazione”.

Non può tacersi, alla fine, anche solo un cenno al recente art.4 comma 43 della legge n.183/2011, a tenore del quale «La prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da mancato recepimento nell'ordinamento dello Stato di direttive o altri provvedimenti obbligatori comunitari soggiace, in ogni caso, alla disciplina di cui all'articolo 2947 del codice civile e decorre dalla data in cui il fatto, dal quale sarebbero derivati i diritti se la direttiva fosse stata tempestivamente recepita, si e' effettivamente verificato

Senza volere e potere qui esaminare il tema dell’efficacia di tale previsione normativa nell’ordinamento interno, della sua compatibilità con il diritto eurounitario e della sua portata – innovativa o meno88- non pare potersi porre in discussione che l’affermata natura illecita della responsabilità patrocinata dal legislatore sembra andare in controtendenza rispetto all’orientamento espresso dalle Sezioni Unite della Cassazione89.
2.3. Lo Stato Giudice responsabile per la violazione del diritto eurounitario ascrivibile al giudice di ultima istanza.Il caso Köbler. a)La controversia nazionale che ha originato la sentenza della Corte di giustizia

Il sig. Köbler, professore universitario presso l'Università di Innsbruck dal 1° marzo 1986 aveva chiesto l'attribuzione dell'indennità speciale di anzianità di servizio prevista per i professori universitari che la legislazione austriaca subordina ad un'esperienza di 15 anni maturata esclusivamente nelle università austriache. Poiché il sig. Köbler poteva far valere questi 15 anni di esperienza solo computando gli anni di servizio effettuati nelle università di altri Stati membri, la relativa domanda veniva respinta dalla Verwaltungsgerichtshof - Corte suprema amministrativa austriaca - il 24 giugno 1998 in quanto l'indennità speciale di anzianità di servizio costituiva un “premio di fedeltà” che giustificava obiettivamente una deroga alle disposizioni di diritto comunitario relative alla libera circolazione dei lavoratori.

Il docente austriaco ha quindi presentato un ricorso per risarcimento danni contro la Repubblica d'Austria affinché fosse riparato il danno che egli aveva subito a causa del mancato versamento dell'indennità speciale di anzianità di servizio che la sentenza del Verwaltungsgerichtshof aveva escluso in violazione di disposizioni di diritto comunitario direttamente applicabili.

Con ordinanza 7 maggio 2001 il Landesgericht für Zivilrechtssachen Wien (Tribunale civile di Vienna) ha proposto alla Corte di giustizia cinque questioni pregiudiziali vertenti sull'interpretazione dell'art. 48 del Trattato CE (ora art. 39 CE) e della giurisprudenza della Corte stessa90.

Il quesito principale rivolto ai giudici di Lussemburgo era quello di acclarare se l’eventuale violazione del diritto comunitario ascrivibile all’organo supremo di una giurisdizione nazionale potesse determinare la responsabilità dello Stato di appartenenza alla stregua dei principi espressi nelle sentenze Francovich e Brasserie du pêcheur. In caso di risposta affermativa il rimettente chiedeva di sapere se la giurisprudenza della Corte, secondo cui spetta all'ordinamento giuridico di ciascuno Stato membro designare il giudice competente a risolvere liti vertenti sui diritti soggettivi scaturenti dall'ordinamento comunitario, sia applicabile anche nel caso in cui il comportamento asseritamente contrario al diritto comunitario sia costituito dalla sentenza di un organo giurisdizionale supremo nazionale.
2.3.1. La posizione dell’Avvocato Generale nei tre procedimenti incardinati innanzi alla Corte di giustizia

La sentenza Köbler ha affrontato per la prima volta nella storia della Corte di giustizia, il delicato tema della responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario ascrivibile a giurisdizioni nazionali superiori.

Per comprendere appieno la portata storica della sentenza Köbler, sembra utile riassumere le conclusioni rese l’8 aprile 2003 dall’Avvocato Generale Lèger nello stesso procedimento.

Peraltro, risultano pendenti quasi in contemporanea innanzi alla Corte di giustizia altri due procedimenti nei quali si discute dello stesso argomento, seppur sotto diversa prospettiva.

In particolare, nella causa C-453/00, Kühne & Heitz il giudice a quo ha sollevato la questione se un organo amministrativo nazionale sia obbligato a riprendere in esame una decisione definitiva e non più impugnabile quando da una successiva sentenza della Corte risulti che la decisione e la pronuncia che l'ha confermata riposavano su un’errata interpretazione del diritto comunitario. Nella causa C-129/00 Commissione c. Italia il procedimento promosso dalla Commissione nei confronti dell’Italia per violazione del Trattato, ai sensi dell'art. 226 del Trattato CE, ha riguardo all'art. 29, comma 2, della legge 29 dicembre 1990, n. 428, il quale, così come interpretato in sede amministrativa e giudiziaria, consente di applicare alla ripetizione dei tributi percepiti in violazione delle norme comunitarie un regime probatorio che rende l'esercizio del diritto al rimborso di tali tributi praticamente impossibile o, comunque, eccessivamente difficile per i contribuenti.

E proprio tale ultimo procedimento, recentemente definito con sentenza del 9 dicembre 2003, ha consentito alla Corte di ribadire che “l'inadempimento di uno Stato membro può essere in via di principio dichiarato ai sensi dell'art. 226 CE indipendentemente dall'organo dello Stato la cui azione o inerzia ha dato luogo alla trasgressione, anche se si tratta di un'istituzione costituzionalmente indipendente (sentenza 5 maggio 1970, causa 77/69, Commissione/Belgio, in Racc., pag. 237, punto 15)”. Ne è derivato che la Repubblica italiana, non avendo modificato l'art. 29, secondo comma, della legge n. 428/1990, che viene interpretato e applicato in sede amministrativa e da una parte significativa degli organi giurisdizionali - compresa la Corte suprema di cassazione - in modo tale da rendere l'esercizio del diritto al rimborso di tributi riscossi in violazione del diritto comunitario eccessivamente difficile per il contribuente, è stata ritenuta responsabile per la mancata osservanza agli obblighi ad essa incombenti in forza del Trattato CE.

Occorrerà allora considerare in maniera analitica anche le conclusioni assunte nei due giudizi rispettivamente dall’Avv. Generale Lèger 17 giugno 2003 e dall’Avv. Generale Geelhoed il 3 giugno 2003, apparendo queste ulteriormente esplicative dell’indirizzo poi espresso dalla sentenza in commento.

Muovendo l’indagine dalle conclusioni dell’8 aprile 2003 nella causa Köbler, l’Avv. Lèger ricorda che dalla sentenza Brasserie emergeva come uno Stato membro può essere responsabile per violazione comunitaria qualunque sia l’organo statale responsabile della violazione. Non rileva dunque che questo organo sia legislativo, esecutivo o giurisdizionale. Né è praticabile l’idea che la responsabilità sia limitata agli atti delle Corti ordinarie con esclusione delle Corti Supreme, poiché ciò permetterebbe ai singoli Stati di organizzare i loro sistemi giudiziari in modo da evitare tutte le responsabilità cui invece sono tenuti.

L’Avv. Generale Léger passava poi in rassegna le posizioni assunte dai singoli Paesi membri. Ricordava che l’Austria aveva sostenuto che la legge comunitaria non può precludere l’esistenza di una legge nazionale che esclude la responsabilità dello Stato per le violazione delle sue Corti Supreme. Se infatti si stabilisse un simile principio ciò presupporrebbe che anche la Comunità può essere responsabile per atti o omissioni della Corte di giustizia. Il che rendeva difficoltoso pensare che la Corte fosse contemporaneamente giudice e parte del processo. D’altra parte, l’art. 234 Tratt. CE non aveva per oggetto quello di conferire diritti ai singoli, per il che mancherebbe, a monte, la possibilità di configurare una responsabilità dello Stato membro.

Analoghe considerazioni critiche avevano espresso, seppur con accenti diversi, Francia e Regno Unito secondo i quali il principio della cosa giudicata impedirebbe di ritenere la responsabilità dello Stato.

La res iudicata, secondo questa impostazione, doveva prevalere sulla riparazione in favore del singolo, a meno di scalfire l’autorità e la reputazione del potere giudiziario che fondava la sua legittimazione sul principio dell’indipendenza avvertito comunemente come valore fondante dalla comunità dei Paesi membri. D’altra parte, come rilevato dalla dottrina italiana, i sistemi di common law propugnano espressamente il principio di quasi totale immunità giudiziale in ragione del ruolo creativo della giurisprudenza che deve essere tutelato in misura massima non solo con riguardo al giudice, ma anche allo Stato in base al noto principio “The King cannot do wrong91.

In ogni caso, secondo il governo francese, una soluzione opposta avrebbe comunque richiesto una regolamentazione speciale contenente principi particolarmente restrittivi e comunque radicalmente diversi da quelli che disciplinano la responsabilità dello Stato per atti legislativi o amministrativi contrari al diritto comunitario in ragione della specifica natura delle funzioni giudiziarie. Quanto alla Germania ed all’Olanda, tali Stati non si erano opposti all’idea della responsabilità per atti e omissioni delle Corti Supreme, ma avevano caldeggiato una decisione che limitasse ai casi eccezionali la responsabilità per violazioni degli organi giurisdizionali interni.

Era invece l’art. 10 del Tratt. CE, unitamente ai paragrafi 2 e 3 dell’art. 249 a costituire, secondo la Commissione, la piena riprova del principio della responsabilità statale per violazione degli organi giurisdizionali supremi.

Nell’ambito di un così variegato panorama di soluzioni prospettate a livello dei Paesi membri interessati non poco alla vicenda - a differenza dell’Italia che non risulta essere intervenuta nel procedimento Köbler - l’Avv. Generale Lèger, esaminando lo stato delle legislazioni dei Paesi membri sul tema, era condotto a ritenere che gli Stati membri accettano il principio della responsabilità per la violazione di qualunque regola da parte dei loro organi92. Solo la Grecia e la Svezia, pur ammettendo la responsabilità per atti delle giurisdizioni, la escludono per i fatti ascrivibili alle Corti Supreme. Ma ciò non incrina l’esistenza del principio di responsabilità tanto nei paesi di civil law che in quelli di common law.

Proprio con riferimento all’esperienza italiana veniva evocato un precedente del tribunale di Roma93 in cui, nel ribadire che il diritto comunitario si arresta di fronte al giudicato interno, costituendo questo principio di ordine pubblico interno ai sensi dell’art. 30 Tratt. CE, si precisava poi che la responsabilità dello Stato che si configura con riferimento all’esercizio della funzione giurisdizionale è regolata dalla legge n. 117/88.

Dall’esame delle legislazioni l’Avv. Léger traeva la conclusione che esiste l’obbligo di riparazione individuale per violazione del diritto comunitario prodotto da una Corte Suprema. Deponeva a favore di questa tesi lo scopo del principio della responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario, del ruolo essenziale svolto dalla Corte di giustizia nello sviluppo del diritto comunitario e della necessità di tutelare i diritti fondamentali.

La sentenza Francovich aveva chiaramente riconosciuto che fosse un principio fondamentale quello che lo Stato è obbligato a risarcire i danni causati agli individui da violazioni del diritto comunitario. Tale principio è consustanziale al sistema del Trattato. Per garantire una protezione dei diritti nascenti dal diritto comunitario non è sufficiente che l’individuo possa invocare il diritto innanzi al giudice di diritto comune o che sia richiesto al giudice di applicare correttamente il diritto comunitario. E’ più utile, piuttosto, che se la Corte rende una decisione contraria al diritto comunitario, l’individuo sia messo in condizione di ottenere una riparazione. Da qui la necessità dello strumento dell’azione di responsabilità dello Stato.

Anche la sentenza Brasserie conduceva, secondo l’Avv. Léger, ad analoghe conclusioni poiché questa professava la responsabilità dello Stato qualunque fosse l’organo dello Stato abbia ha omesso o compiuto un atto che abbia determinato la violazione. Tali principi, pur essendo stati sviluppati di volta in volta in contesti diversi, partivano tutti dalle stesse considerazioni di base e in particolare dall'idea che lo Stato membro è responsabile, in quanto entità, dell'esecuzione degli impegni comunitari e di ogni ritardo, a prescindere dall'organo che, nell'ambito della sua organizzazione interna, è risultato inadempiente, derivando tale obbligo dal principio di lealtà comunitaria sancito dall'art. 10 Tratt. CE94.

Ed era sempre la sentenza Brasserie - punto 26 - a chiarire che l’obbligo di responsabilità non può dipendere dalle regole interne che disciplinano la divisione dei poteri. Il che significava che il diritto comunitario impone il rispetto tanto da parte delle autorità parlamentari come da parte di quelle giurisdizionali.

Era comunque il ruolo delle Corti nell’applicazione del diritto comunitario ad apparire decisivo.

Come precisato dalla Corte di giustizia nella sentenza Rewe95, "è alle giurisdizioni nazionali che è affidato il compito di assicurare la protezione giuridica che discende, per i singoli, dall'effetto diretto delle disposizioni comunitarie".

E’ noto che il giudice nazionale è chiamato ad interpretare il diritto nazionale alla luce del diritto comunitario ed eventualmente a disapplicarlo. Orbene, nella sentenza Brasserie il giudice è visto come organo dello Stato membro e non come organo della Comunità. Secondo l’Avv. Generale Léger sarebbe stata paradossale un’esclusione di responsabilità per l’organo chiamato ad applicare correttamente il diritto comunitario. Né a diverse conclusioni era possibile giungere considerando la specifica natura delle funzioni giudiziarie che, se comparate a quelle amministrative e legislative, non poteva comunque giustificare una riduzione della responsabilità.

Un'interpretazione e applicazione del diritto comunitario non corretta da parte dei giudici nazionali ha come conseguenza che ai singoli viene negato il godimento dei diritti derivanti dal diritto comunitario e che possono insorgere regole e prassi incompatibili con il diritto comunitario. La possibilità di derogarvi in casi in cui si tratta di un «atto chiaro» era peraltro soggetta a rigorose condizioni96. Il che avrebbe potuto ulteriormente ripercuotersi sulla posizione delle persone fisiche e giuridiche nel mercato interno e portare quindi a distorsioni nella vita economica.

Tale conclusione si conciliava, peraltro, col ruolo apicale ricoperto dalle Corti Supreme che, tenute a controllare la corretta applicazione del diritto comunitario da parte degli altri organi giurisdizionali erano esse stesse tenute, alla stregua dell’art. 234 Tratt. CE, a rinviare obbligatoriamente alla Corte di giustizia le questioni dubbie in ordine all’interpretazione del diritto comunitario. L’obbligo del rinvio pregiudiziale, come chiarito fin dalla sentenza Cilfit, aveva la finalità di evitare contrasti tra giurisdizioni nazionali nell’applicazione del diritto comunitario.

Estremamente importante è poi l’analisi svolta dall’Avv. Generale Geelhoed97 a proposito della possibilità che la responsabilità dello Stato sia ricondotta alle decisioni dei giudici di grado inferiore.

Viene ricordato, a tal proposito, che proprio la differenziazione fra rinvio facoltativo e rinvio obbligatorio che caratterizza i rapporti fra Corte di giustizia, giudici di merito e giudici di ultima istanza dimostra che singole decisioni di organi giurisdizionali di grado inferiore che applichino in modo inesatto il diritto comunitario possano non solo essere corrette nell'ambito della gerarchia degli organi giudiziari nazionali, ma sono generalmente in grado di minare l'effetto utile delle disposizioni di diritto comunitario considerate nell'ambito dello Stato membro. Discorso diverso occorre fare allorché la giurisprudenza nazionale incompatibile sia promossa dai supremi giudici nazionali, le cui indicazioni giurisprudenziali fissano comunque un orientamento per i giudici di grado inferiore nell'ambito dell'ordinamento giuridico nazionale.

Detto questo, l’Avv. Generale Geelhoed non ritiene, però, di potere escludere che, se i giudici di grado inferiore interpretano e applicano sistematicamente in modo erroneo determinate parti del diritto comunitario, ciò possa scoraggiare gli interessati sia dall'agire in giudizio sia dal ricorrere in appello. Con la conseguenza che anche in tali casi sarebbe possibile ravvisare elementi che consentono di accertare una violazione del Trattato.

Il carattere sistematico della violazione sarebbe poi, secondo l’Avv. Generale Geelhoed, indice rilevatore della responsabilità statale per l’operato giudiziario, nel senso che l’eventuale novità della questione potrebbe giustificare la posizione incompatibile assunta dal giudice di merito, ma non quella della Corte Suprema anche in ragione dell’obbligo di rinvio pregiudiziale che sulla stessa incombe98.

Quanto al concetto di indipendenza, secondo l’Avv. Generale Geelhoed lo stesso non era in grado di escludere la responsabilità dello Stato. L'indipendenza stava a significare che le istanze giudiziarie devono dirimere i concreti casi controversi senza essere influenzate dall'esterno, specialmente dagli altri organi dello Stato. Per il resto, il potere giudiziario funziona come un ramo dell'apparato ordinamentale entro i limiti posti dalla Costituzione e dalle leggi nazionali, di guisa che se una normativa nazionale fornisce lo spunto per un'interpretazione giurisprudenziale contrastante con gli impegni comunitari, si può e si deve trovare una soluzione modificando tale normativa. Né può sostenersi che lo Stato membro, ai sensi dell'art. 228, n. 1, Tratt. CE, non disporrebbe della possibilità di porre termine alla violazione in esame in ragione dell’indipendenza della funzione giudiziaria. In tali casi, infatti, dovrebbe essere l’esercizio della funzione legislativa a ridurre la possibilità di interpretazioni giurisprudenziali non in linea col diritto comunitario, tanto che la mancata adozione di provvedimenti normativi potrebbe poi costituire essa stessa la base per un’azione di responsabilità nei confronti dello Stato.
2.3.2. La motivazione del caso Köbler

La Corte ricorda di avere già dichiarato che il principio della responsabilità di uno Stato membro per danni causati ai singoli da violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili è inerente al sistema del Trattato CE - art. 10 -99 e che tale principio vale rispetto a qualsiasi ipotesi di violazione del diritto comunitario commessa da uno Stato membro, qualunque sia l'organo di quest'ultimo la cui azione od omissione ha dato origine alla trasgressione100.

Il riconoscimento che anche nell'ordinamento giuridico internazionale lo Stato viene considerato nella sua unità, senza che rilevi la circostanza che la violazione da cui ha avuto origine il danno sia imputabile al potere legislativo, giudiziario o esecutivo, conduce il giudice di Lussemburgo a ritenere che nell'ordinamento giuridico comunitario deve valere il medesimo principio, essendo tutti gli organi dello Stato tenuti, nell'espletamento dei loro compiti, all'osservanza delle prescrizioni dettate dal diritto comunitario e idonee a disciplinare direttamente la situazione dei singoli .

D’altra parte, il ruolo essenziale svolto dal potere giudiziario – e segnatamente dall’organo giurisdizionale di ultimo grado - nella tutela dei diritti che ai singoli derivano dalle norme comunitarie, fa dire alla Corte che un’eventuale violazione del diritto comunitario perpetrata da tale organo metterebbe il privato nell’impossibilità di far valere in altra sede il proprio diritto.

Da qui la necessità che ai singoli venga garantita la possibilità di ottenere dinanzi ai giudici nazionali la riparazione del danno originato dalla violazione di questi diritti in seguito a una decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado.

Le eccezioni a tale conclusione espressa da alcuni Stati - e segnatamente Austria, Francia e Regno Unito - fondate sul principio di certezza del diritto e dell'autorità della cosa giudicata che verrebbero vulnerati, unitamente all'indipendenza e all'autorità del giudice, sono state integralmente disattese dalla Corte, come anche la postulata assenza di disciplina interna circa il giudice competente a statuire sulle controversie relative alla responsabilità dello Stato per tali decisioni.

Quanto all’autorità di cosa giudicata la Corte, pur non disconoscendone l’importanza all’interno dell’ordinamento nazionale, ha osservato che il riconoscimento del principio della responsabilità dello Stato per la decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado non ha di per sé come conseguenza quella di rimettere in discussione l'autorità della cosa definitivamente giudicata di una tale decisione. L’oggetto della pretesa risarcitoria non è infatti identico a quello definito nel giudizio che ha dato luogo alla responsabilità.

Analogamente, l’indipendenza e l’autorità del giudice non possono rimanere in alcun modo vulnerati, non essendo in discussione la responsabilità del giudice quanto quella dello Stato.

Del resto, il rimedio rappresentato dalla responsabilità statuale in favore del cittadino leso nelle prerogative riconosciute dall’ordinamento comunitario, lungi dal costituire una revisione del procedimento, conferma la civiltà di un ordinamento giuridico e quindi anche l'autorità del potere giurisdizionale.

Nemmeno le postulate difficoltà relative alla designazione di un giudice competente prospettate dai governi sono risultate decisive, spettando ai singoli ordinamenti l’individuazione di un rimedio giuridico adeguato ad elidere gli effetti dannosi prodotti dalla violazione ed a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto comunitario101. Non spetta alla Corte intervenire nella soluzione dei problemi di competenza che può sollevare, nell'ambito dell'ordinamento giudiziario nazionale, la definizione di determinate situazioni giuridiche fondate sul diritto comunitario102.

Colpisce, la simmetria che viene più volta prospettata dal giudice comunitario con la posizione dello Stato rispetto alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. Sembra infatti che la Corte, oltre ad avere valorizzato il concetto unitario di Stato, ha inteso recepire quell’orientamento giurisprudenziale espresso dalla Corte dei diritti dell’uomo che ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno per la violazione di un diritto fondamentale allorché la violazione deriva dal contenuto di una decisione di un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado103.

Risolto in termini generali il problema dell’astratta configurabilità della responsabilità dello Stato, occorreva individuare con precisione i presupposti per l’insorgere di tale responsabilità, essendo stata la Corte investita anche di questo problema.

Il giudice di Lussemburgo ricorda che le tre condizioni nelle quali uno Stato membro è tenuto a risarcire i danni causati ai singoli da violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili - vale a dire che la norma giuridica violata sia preordinata a conferire diritti ai singoli, che si tratti di violazione grave e manifesta e che esista un nesso causale diretto tra la violazione dell'obbligo incombente allo Stato e il danno subito dai soggetti lesi - sono applicabili anche nel caso posto al suo vaglio104.

Non apparendo in questa sede necessario soffermarsi sul primo requisito, se non per dire che la Corte ha superato il rilievo – espresso dall’Austria - che la responsabilità dello Stato si fondasse sull’inosservanza dell’obbligo di rinvio pregiudiziale previsto dall’art. 234 Tratt. CE cui non può riconnettersi un diritto soggettivo del privato, ma piuttosto sull’inosservanza del diritto comunitario, per valutare la quale potrà eventualmente anche venire in considerazione il mancato rinvio dell’organo di ultima istanza alla Corte di giustizia, va invece rilevato, quanto al requisito della violazione manifesta, che il giudice di Lussemburgo ha tenuto conto della specificità della funzione giurisdizionale nonché delle legittime esigenze della certezza del diritto, concludendo che la responsabilità dello Stato potrà sussistere solo “nel caso eccezionale in cui il giudice ha violato in maniera manifesta il diritto vigente”.

Al fine di determinare se questa condizione sia soddisfatta, il giudice nazionale investito di una domanda di risarcimento dei danni dovrà tenere conto di tutti gli elementi che caratterizzano la controversia sottoposta al suo sindacato e fra questi il grado di chiarezza e di precisione della norma violata, il carattere intenzionale della violazione, la scusabilità o l'inescusabilità dell'errore di diritto, la posizione adottata eventualmente da un'istituzione comunitaria nonché la mancata osservanza, da parte dell'organo giurisdizionale di cui trattasi, del suo obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell'art. 234, terzo comma, CE. Anzi, proseguendo nel parallelismo proposto dal giudice di Lussemburgo con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, può ricordarsi la decisione di irrecivibilità adottata dalla Commissione dei diritti dell’uomo il 12 maggio 1993105 in un procedimento nel quale era stata lamentata la violazione dell’art.6-1 C.E.D.U. perché il giudice spagnolo di ultima istanza, benché richiesto, aveva omesso di rinviare alla Corte di Giustizia la decisione du una questione pregiudiziale in ordine alla compatibilità di un atto amministrativo con le norme del Trattato CE.In quell’occasione la Commissione, per escludere la paventata violazione, fece riferimento alla teoria dell’atto chiaro rilevando che il giudice di ultima istanza aveva motivatamente disatteso la richiesta di rinvio, tuttavia riconoscendo la possibilità di una lesione del diritto al giusto processo se il rifiuto fosse stato “comme antachè d’arbitraire”.

Estremamente importante è poi il rilievo che una violazione del diritto comunitario deve ritenersi sufficientemente caratterizzata allorché la decisione giudiziale sia intervenuta ignorando manifestamente la giurisprudenza della Corte di giustizia nella materia106.

Viene inoltre chiarito che i presupposti della responsabilità appena ricordati sono necessari e sufficienti per attribuire ai singoli un diritto al risarcimento, ma non escludono che la responsabilità dello Stato possa essere accertata, a condizioni meno restrittive, sulla base del diritto nazionale107. Ciò peraltro consente alla Corte di ribadire il c.d. principio dell’autonomia procedurale108, spiegando il sistema di reciproca collaborazione e complementarietà fra ordinamento comunitario e ordinamento interno. Il primo si limita a riconoscere al privato il diritto al risarcimento del danno per effetto della violazione comunitaria ascrivibile all’organo giurisdizionale che dovrà però essere fatto valere, in sede nazionale, seguendo le regole sostanziali e processuali dettate dall'ordinamento interno. Ma ancora una volta il giudice comunitario ribadisce il limite all’autonomia di ciascuno Stato più volte espresso per cui le modalità procedurali dettate da tali ordinamenti "non possono essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna né rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario"109.

E non va dimenticato, per quanto si dirà in seguito l’intervento della Corte in ordine alle esimenti dalla responsabilità civile110; ed ai termini di prescrizione e decadenza111.

Facendo applicazione di tali parametri la Corte, nell’intento di fornire al giudice nazionale gli elementi attinenti all’interpretazione del diritto comunitario che possano consentirgli di risolvere il problema giuridico sottopostogli112, ha preso atto che la normativa austriaca relativa all'attribuzione dell'indennità speciale di anzianità di servizio dei professori di università era incompatibile con il diritto comunitario né poteva essere giustificata in nome di un superiore interesse pubblico dello Stato austriaco integrando, nella parte in cui imponeva il rilievo esclusivo all’esperienza professionale maturata in Austria, un ostacolo alla libera circolazione dei lavoratori vietata dal Trattato CE.

Tuttavia il giudice di Lussemburgo ha ritenuto che l'organo giurisdizionale supremo austriaco non aveva commesso una violazione manifesta e, quindi, sufficientemente caratterizzata del diritto comunitario. La Corte di giustizia, infatti, non aveva avuto l'occasione di pronunciarsi sull'eventuale giustificazione, relativamente al diritto comunitario, di una misura intesa a favorire la fedeltà di un lavoratore verso il proprio datore di lavoro (premio di fedeltà). Di conseguenza, la soluzione non era ovvia e l’operato della Corte Suprema austriaca, ancorché condizionato da un’erronea interpretazione di un precedente della Corte di giustizia, non poteva implicare la responsabilità dello Stato austriaco. E ciò malgrado la Corte austriaca avesse in un primo momento deciso di investire la Corte di giustizia di un rinvio pregiudiziale che però aveva successivamente ritirato ritenendo, erroneamente, che una precedente decisione della Corte113 aveva qualificato come premio di fedeltà giustificato dall’interesse pubblico l’indennità speciale di anzianità reclamata dal docente universitario.


2.3.3. Alcuni brevi approfondimenti: la violazione grave e manifesta

Dopo l’affermazione di principio, volta a parificare le condizioni per l’insorgenza della responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario dipendente da organo giurisdizionale supremo a quelle indicate dalla stessa Corte di giustizia in via generale, è il concetto di “violazione manifesta” a giocare nella decisione che si commenta un ruolo essenziale.

Ma a ben vedere, ancorché una lettura sommaria del punto 53 della motivazione possa far pensare al contrario allorché vi si legge un riferimento al carattere eccezionale di tale responsabilità proprio in considerazione del ruolo affatto peculiare svolto dai giudici supremi nazionali nell’ordinamento interno, tale requisito in poco o nulla si differenzia da quello circoscritto dalla stessa in via generale nei precedenti già ricordati, ove hanno rilievo centrale il grado di chiarezza e precisione della norma violata, il carattere intenzionale della violazione, la scusabilità dell’errore, l’esistenza di precedenti esplicativi del significato della norma resi dalla Corte di giustizia. L’unico riferimento realmente nuovo è rappresentato dalla mancata osservanza dell’obbligo di rinvio contenuto nell’art. 234, comma 3, Tratt. CE che intende sanzionare in modo pesante la mancata cooperazione fra giudice nazionale e giudice comunitario laddove questa abbia prodotto una lesione della posizione garantita al singolo dal diritto comunitario.

Rimane, in ogni caso, forte la sensazione che la responsabilità sia caratterizzata in termini fortemente oggettivi fino al punto da prescindere dall’esistenza di una condotta – dolosa o - colposa che può essere utile per la valutazione del carattere manifesto della violazione, ma non integrare un requisito essenziale – o costitutivo che dir si voglia - della fattispecie114.


2.3.4.Le ricadute sul sistema interno.

All’indomani della sentenza Kobler ci si è chiesti se tale sentenza fosse destinata in qualche ad immutare il sistema di tutela risarcitorio disciplinato dalla legge n.117/1988.

Se è così subito compresa la necessità di compiere uno screening della legislazione italiana in tema di azione di responsabilità civile per fatto dei magistrati e del diritto vivente espresso dalla Cassazione per valutare non solo se questa preveda una disciplina più gravosa di altre norme interne relative ad analoghe azioni del sistema processuale nazionale- ed a tale quesito si è già risposto negativamente- ma anche se il sistema di tutela così disciplinato non renda praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario.

I punti nevralgici sono dunque subito apparsi quelli relativi alla previsione di un giudizio a cognizione sommaria di ammissibilità, alla necessaria esistenza di un coefficiente soggettivo- sub specie di dolo o colpa-, alla previsione di un termine di decadenza ed all’insussistenza di responsabilità per attività interpretativa.

Si è già visto come la giurisprudenza di legittimità abbia escluso l’esistenza di vulnus tra principi costituzionali, previsione del vaglio di ammissibilità e congruità del termine di decadenza115.

Tali risultati, a ben vedere, sembrano utilizzabili anche al fine di vagliare l’effettività della tutela garantita al danneggiato per violazione del diritto comunitario, anche se qualche problema potrebbe sorgere in ordine all’ipotesi di inammissibilità per manifesta infondatezza.Va comunque rammentato che in tema di decorrenza del termine di decadenza andrebbe sempre considerato il momento dell’adozione del provvedimento da parte del giudice di ultima istanza che è , per l’appunto causa ultima della violazione.

Non sembrava preoccupare la disciplina relativa alla legittimazione attiva e passiva rispetto all’azione risarcitoria. Restavano da esaminare i due momenti forse più delicati, correlati alla sussistenza dell’elemento soggettivo ed all’esclusione della responsabilità per attività interpretativa.

Si è detto, infatti, che la sentenza Kobler , in linea con la giurisprudenza di Lussemburgo, esclude che il dolo o la colpa possano integrare presupposti sostanziale ai fini dell’accoglimento della domanda, piuttosto considerandoli come elementi dai quali potere eventualmente inferire la gravità della condotta.Il che imponeva di ritenere che se il vaglio funzionale all’accertamento della responsabilità è di natura prioritariamente obiettiva, la normativa interna non avrebbe potuto trovare applicazione laddove richiedeva necessariamente l’elemento soggettivo come elemento costitutivo della responsabilità.

Assai più delicato era l’esclusione della responsabilità per l’interpretazione di norme di diritto.

Qui si tocca il punto nevralgico del sistema di tutela che la Corte di Lussemburgo ha inteso affermare con la sentenza Köbler.

Quella che tra le condotte dell’organo supremo è parsa più pericolosa per l’attuazione del diritto comunitario è appunto quella della mancata corretta applicazione del diritto soggettivo garantito a livello comunitario e/o della omessa disapplicazione dell’ordinamento interno ritenuto – a torto- compatibile con l’ordinamento sovranazionale.

Ora, sembra di poter dire che laddove la violazione anzidetta sia stata il frutto di una errata interpretazione della norma comunitaria e/o della giurisprudenza della Corte di giustizia, questa non possa ex se sottrarsi ad un giudizio di dannosità che dovrebbe quindi condurre, nella ricorrenza dei già ricordati presupposti che caratterizzano la responsabilità per violazione del diritto comunitario, alla responsabilità dello Stato.

Sicchè dal complesso sistema di tutela che viene a crearsi combinando le regole della responsabilità scolpite dalla Corte di Giustizia con il sistema di diritto interno, il principio dell’irresponsabilità per erronea interpretazione di norme di diritto dovrebbe essere interpretato in modo conforme ai principi fondamentali del diritto comunitario- e fra questi vi sarebbe appunto quello di evitare ingiuste limitazioni alle azioni fondate sull’inosservanza del diritto comunitario- 116.

2.3.5. La competenza e la giurisdizione sull’azione di responsabilità .

Un discorso a sé merita, ancora, il tema dell’individuazione del giudice chiamato a pronunziarsi su un’azione di responsabilità per violazione del diritto comunitario riconducibile agli organi di giurisdizione superiori abbia ricondotto la tematica ai singoli ordinamenti nazionali.

Già si è detto che l’ordinamento comunitario favorisce una regolamentazione autonoma di tali aspetti individiduando a carico dei legislatori nazionali i limiti della effettività della tutela e della uniformità di tutela tra violazione del diritto comunitario ed altre omologhe violazioni disciplinate a livello interno.

Ecco che il problema dell’individuazione del giudice chiamato a decidere siffatte controversie va affrontato alla stregua dei parametri costituzionali in atto vigenti.

Esaminando il sistema interno, l’art.4 della legge n.117/1998 prevedeva che competente a decidere l'azione di risarcimento del danno contro lo Stato è il tribunale del luogo ove ha sede la corte d'appello del distretto più vicino a quello in cui è compreso l'ufficio giudiziario al quale apparteneva il magistrato al momento del fatto, salvo che il magistrato sia venuto ad esercitare le funzioni in uno degli uffici di tale distretto. In tale evenienza, secondo l’originaria previsione, era competente il tribunale del luogo ove ha sede la corte d'appello dell'altro distretto più vicino, diverso da quello in cui il magistrato esercitava le sue funzioni al momento del fatto.Il comma 3^ dello stesso articolo aggiunge che per determinare il distretto della corte d'appello più vicino si applica il disposto dell'art. 5 della legge 22 dicembre 1980, n. 879.

I commi 1 e 2 del ricordato art.4 sono stati però modificati di recente dalla legge 2 dicembre 1998, n. 420 recante "Disposizioni per i procedimenti riguardanti i magistrati".In particolare, è stato previsto che l'azione di risarcimento del danno contro lo Stato deve essere esercitata nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri. Competente è il tribunale del capoluogo del distretto della corte d'appello, da determinarsi a norma dell'articolo 11 del codice di procedura penale e dell'articolo 1 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271.Inoltre, l’art. 4 della legge n.420/1998 ha previsto che l'azione di rivalsa dello Stato deve essere proposta davanti al tribunale del capoluogo del distretto della corte d'appello, da determinarsi alla stregua di quanto previsto dal comma 1 dello stesso articolo.

L’esame congiunto di tali disposizioni consente di ritenere che il legislatore interno, nell’affrontare il tema delle azioni involgenti la responsabilità dello Stato-giudice, ha individuato nell’autorità giudiziaria ordinaria il giudice chiamato a ius dicere fissando una disciplina idonea a regolamentare anche gli aspetti della competenza territoriale.Tale meccanismo può ritenersi in via generale applicabile anche al contenzioso relativo alla responsabilità per violazione del diritto comunitario.

Non può certo porsi in dubbio che tale scelta non pone in discussione l’imparzialità del giudice sol perché si discuta di una responsabilità riconducibile all’organo –giudiziario- di nomofilachia.La previsione che impedisce l’istituzione di un giudice speciale –art.102 comma 2 Cost.- impedisce di profilare soluzioni diverse, a meno di rinunziare a forme di tutela giurisdizionale che finirebbero col radicare ed approfondire ulteriormente gli effetti negativi delle violazioni del diritto comunitario.

Va poi rammentato che le Sezioni Unite, seppur in un contesto più generale- derivante da tardivo recepimento, in sede legislativa, di direttiva comunitaria- hanno recentemente ritenuto che l’azione di responsabilità per violazione del diritto comunitario è correttamente proposta innanzi al giudice ordinario117.

Tale affermazione si è fondata, tuttavia, su una lettura dei principi espressi da Cass.S.U. 500/99 con riferimento al regime previgente alle innovazioni del sistema di riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo apportate con il d.lgs. n. 80 del 1998 e dalla successiva legge n. 205 del 2000. In quel contesto normativo fu agevole per la Corte rilevare che al giudice ordinario spetta, in linea di principio, la competenza giurisdizionale a conoscere delle questioni di diritto soggettivo, avendo appunto tale natura il diritto al risarcimento del danno, come tale distinto dalla posizione giuridica soggettiva la cui lesione e' fonte di danno ingiusto che, ricorda la Cassazione, puo' avere indifferentemente natura di diritto soggettivo, di interesse legittimo, nelle sue varie configurazioni, o di interesse comunque rilevante per l'ordinamento.

Sembra peraltro che il mutato quadro dei principi in tema di riparto di giurisdizione prodotto dalle legge appena ricordata non abbia la capacità di modificare le conclusioni appena ricordate in punto di giurisdizione. A volere estremizzare il riferimento fatto al d.gs.n.80/98, potrebbe concludersi che ove anche fosse il Consiglio di Stato ad avere violato il diritto comunitario la conseguente domanda risarcitoria andrebbe comunque spiegata innanzi al giudice ordinario.

Ma tale conclusione risulta viziata per più ordini di ragioni.

Ed infatti, il sistema dei “blocchi di materia” che ha attribuito al giudice amministrativo una rilevante mole di contenzioso già riservato al giudice ordinario non sembra in alcun modo comprendere, nella modifica dei plessi giurisdizionali, il contenzioso concernente la responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario, qualunque sia l’organo statale responsabile della ricordata violazione118.

In questo senso, perde di consistenza non solo l’autorità giudiziaria – ordinaria, amministrativa o contabile - cui è ascrivibile la violazione ma anche la posizione giuridica soggettiva violata – diritto soggettivo, interesse legittimo o interesse giuridicamente protetto dall’ordinamento-.L’oggetto del giudizio risarcitorio, del resto, non si porrà in linea di continuità con quello definito innanzi alla giurisdizione superiore in modo da rappresentarne una riedizione idonea a porne in discussione l’autorità di giudicato, ma intenderà, piuttosto, elidere le conseguenze dannose che quella decisione ha prodotto attraverso forme di tutela che potranno andare dalla restituito in integrum119 al ristoro patrimoniale dei danni.

Il tema, peraltro è prepotentemente tornato di attualità120 per effetto della recente decisione di ricevibilità dell’azione risarcitoria proposta da Telecom nei confronti dello Stato italiano in esito ad una pronunzia resa dal Consiglio di Stato (sent.n.7506/2009) decisa dalla Corte di appello di Roma- ord.31 gennaio 2012- che ha negato il diritto della società ad ottenere il rimborso di 520 milioni di euro che si assumevano indebitamente corrisposte allo Stato italiano a titolo di canone di concessione per l’anno 1998 dopo che il giudice di primo grado, che aveva sollevato una questione pregiudiziale innanzi ala Corte di Giustizia, aveva parimenti disatteso la domanda con una motivazione peraltro diversa da quella utilizzata dal Consiglio di Stato. Le preoccupazioni manifestate ai più alti livelli della giurisdizione amministrativa in ordine al fatto che riconoscere la giurisdizione del giudice ordinario in simili vicende finirebbe con lo stravolgere i meccanismi del riparto di giurisdizione non sembrano, dunque convincenti.

Va infine chiarito che il compendio di norme interne appena ricordato –l.n.117/1988- non dovrebbe trovare applicazione, almeno con riferimento ai criteri di competenza territoriale, con riguardo alla responsabilità della Corte di Cassazione e in genere delle giurisdizioni superiori per violazione del diritto comunitario.

Ed infatti, il giudice di legittimità ha chiarito che l'art. 4 comma 1 l. 13 aprile 1988 n. 117 non trova applicazione, quanto al criterio territoriale, ove venga dedotta la responsabilita' di componenti della Corte di cassazione, con la consequenziale operativita' per la relativa domanda delle regole comuni, tenendosi conto che la Corte di cassazione, per organizzazione e compiti funzionali, opera a livello nazionale e non e' "ufficio compreso" in distretto di corte d'appello121 .Analogo discorso sembra infatti doversi fare con riguardo al Consiglio di Stato che operando a livello nazionale non può considerarsi operante in un distretto122.

In ogni caso, dalla previsione normativa surricordata dovrebbe desumersi che anche per i giudizi risarcitori promossi nei confronti dello Stato per violazione del diritto comunitario ascrivibile alle giurisdizioni superiori la giurisdizione spetta al giudice ordinario che andrà individuato territorialmente secondo i criteri di collegamento ivi specificati.



2.4. Il seguito di Kobler: Corte giust. 13 giugno 2006, Traghetti del Mediterraneo. Una sentenza annunziata per l’Italia.1)Le critiche della dottrina ai principi della Kobler.

Dopo la storica sentenza del settembre 2003 autorevole dottrina123 non ha mancato di stigmatizzare i risultati espressi dalla Corte di giustizia, in particolare osservando che il superamento, di fatto, del principio della cosa giudicata “non solo incide sull’indipendenza del giudice, ma anche sulla sua autorevolezza, minata alla base dalla valutazione critica della Corte.” Ed ancora si è aggiunto che “ se si consente all’interessato di rivolgersi al giudice ordinario per poter affermare la responsabilità dello stato per atti giudiziari compiuti dalla corte superiore…. implicitamente si consente al giudice di grado inferiore di avallare la premessa, cioè <> compiuto dal giudice superiore.conseguenza che scardina il sistema giurisdizionale interno”.

Né si è mancato di bollare come risibile la seconda premessa del ragionamento della Corte, tesa a differenziare la posizione del giudice- che non può essere evocato in giudizio per rispondere in via diretta dell’errore- da quella dello Stato nella quale è incardinato, essa comunque muovendo dal presupposto che il giudice abbia compiuto un illecito di cui lo Stato deve rispondere. E non meno risibile sarebbe poi risultata la giustificazione offerta dal giudice di Lussemburgo circa il fatto che tale responsabilità, invece di incrinare l’immagine del corpo giudiziario interno la avrebbe rinvigorito, posto che “il timore di poter cagionare la responsabilità dello Stato per errata interpretazione e applicazione del diritto avrebbe finito col minare la libertà di valutazione del giudice e minerebbe la sua autorevolezza”.Tale critica si chiudeva con un dilemma: tra due forme estreme di garantismo- quella volta a preservare comunque i diritti di matrice comunitaria e quella intesa a salvaguardare l’ordine giuridico attraverso l’indipendenza del giudice quale preferire?

Interrogativo al quale l’Autore non forniva diretta risposta ma sembrava, comunque, orientato a prediligere la seconda possibilità.

Si tratta, più in generale, di un atteggiamento che sembra serpeggiare anche oltre i confini italiani, soprattutto dove il rapporto fra ordinamento comunitario e sistema interno è più rigidamente improntato al rispetto di quell’impostazione monista che la stessa Corte di giustizia ha inteso affermare.In questa prospettiva, infatti, potrebbe apparire complicato conciliare il principio dell’autorità di cosa giudicata interna con il riconoscimento di un’azione risarcitoria rivolta a sanzionare gli esiti del giudicato medesimo.

Diverse sono le ragioni per non condividere le critiche alle decisioni del giudice di Lussemburgo che si cercherà di esporre.

 

2.4.1. Il caso Traghetti del Mediterraneo.

Dopo il caso Köbler fu subito chiaro che quello della Corte di giustizia era stato un primo e delicato passo rispetto ad una tematica di forte impatto emotivo, al quale sarebbero seguite altre pagine destinate a focalizzare con maggiore attenzione le ipotesi di responsabilità statuale per violazione ascrivibile alle Corti supreme.

Nell’ordinamento interno, del resto, non è mancata qualche pronunzia che ha ritenuto ammissibile l’azione risarcitoria nei confronti dello Stato per la violazione di principi comunitaria operata dai giudici amministrativi nell’ambito di una vicenda concernente l’esonero dal servizio di leva124.Ed è particolarmente significativo che quest’orientamento sdi sia affermato proprio presso il Tribunale di Roma che, come si è visto, si era fatto, come si è detto, antesignano di ben altro indirizzo ermeneutico.

Ed in effetti,la Corte di giustizia, già prima della sentenza Kobler, è stata investita del tema in una vicenda che toccava proprio la legislazione italiana in materia, riguardando un’azione promossa da una società marittima innanzi al Tribunale di Genova nei confronti dello Stato italiano per avere, secondo la prospettazione attorea, ingiustamente ritenuto la legittimità degli aiuti di stato concessi ad altra società marittima concorrente che operava i collegamenti fra l’Italia continentale.

Nel giudizio a quo la parte attrice ha sostenuto l’erroneità della sentenza della Cassazione - Cass.n. 5087/2000- che aveva definitivamente respinto la domanda risarcitoria iniziata contro la società beneficiaria degli aiuti per i danni provocati dalla politica dei prezzi bassi mantenuta dalla convenuta grazie agli aiuti diStato, aveva violato il diritto comunitario.

In quella circostanza la Corte suprema di cassazione aveva escluso sia la violazione degli artt. 90 e 92 del Trattato in tema di aiuti che quelli di cui agli artt.85 e 86 del Trattato relativi alla disciplina sulla concorrenza.



Quanto alla prima ipotesi, era stato ritenuto che gli artt.90 e 91 permettono di derogare, a certe condizioni, al divieto generale degli aiuti di Stato al fine di favorire lo sviluppo economico di regioni svantaggiate o di soddisfare domande di beni e servizi che il gioco della libera concorrenza non permette di soddisfare pienamente. Condizioni che ricorrevano nel caso concreto in quanto, nel corso del periodo contestato i trasporti di massa tra l’Italia continentale e le sue isole maggiori potevano essere assicurati, attesi i loro costi, solo per via marittima, cosicché sarebbe stato necessario soddisfare la domanda, sempre più pressante, per tale tipo di servizi affidando la gestione di tali trasporti ad un concessionario pubblico che praticava una tariffa imposta. Né poteva ipotizzarsi una distorsione della concorrenza, posto che l’attribuzione di una concessione di servizio pubblico avrebbe pur sempre comportato, implicitamente, un effetto distorsivo della concorrenza, mentre la Traghetti del Mediterraneo non era riuscita a dimostrare che la Tirrenia avesse tratto vantaggio dall’aiuto accordato dallo Stato per realizzare utili connessi ad attività diverse da quelle per cui le sovvenzioni erano state effettivamente concesse. Anche il motivo relativo alla violazione degli artt. 85 e 86 del Trattato era stato respinto dalla Corte, in quanto all’epoca dei fatti della controversia, l’attività di cabotaggio marittimo non era ancora stata liberalizzata e la natura ed il contesto territoriale limitati di tale attività non avrebbe consentito di individuare chiaramente il mercato rilevante ai sensi dell’art. 86 del Trattato. Se poi risultava difficile identificare detto mercato, una concorrenza reale avrebbe potuto nondimeno esercitarsi nel settore interessato, in quanto l’aiuto concesso nella fattispecie riguardava solamente una delle attività tra quelle, numerose, tradizionalmente svolte da un’impresa di trasporto marittimo e che era per di più limitata ad un solo Stato membro.

Orbene, secondo la prospettiva della società marittima Cass.n. 5087/2000125, ritenendo che gli aiuti perseguivano l’obiettivo di favorire lo sviluppo regionale, aveva ritenuto la piena conformità degli aiuti concessi ad una società concessionaria pubblica che praticava tariffe imposte per i servizi erogati e negato l’esistenza di un abuso di posizione dominante, fondandosi su un’errata interpretazione delle norme del Trattato in materia di concorrenza e di aiuti di stato e rifiutando, poi, di sollevare una questione pregiudiziale innanzi alla Corte di giustizia sul falso presupposto che esisteva in materia una giurisprudenza costante. Se fosse stato sperimentato tale rinvio, la Corte di giustizia, verosimilmente, avrebbe fornito un’interpretazione favorevole a quella sostenuta nel giudizio risarcitorio dalla parte attrice, avendo già la Commissione emanato una decisione che confortava quanto asserito da detta società in quel procedimento.La parte attrice aveva in particolare richiamato la decisione della Commissione delle Comunità europee 21 giugno 2001, 2001/851/CE, relativa agli aiuti di Stato corrisposti dall’Italia alla compagnia marittima Tirrenia126–; decisione quest’ultima che, pur riguardando sovvenzioni concesse successivamente al periodo controverso nella causa principale, era stata adottata al termine di un procedimento avviato dalla Commissione prima dell’udienza dibattimentale della Corte di cassazione nella causa conclusasi con la sentenza n.5087/2000.Sicchè era ragionevole ritenere che se la Cassazione si fosse rivolta alla Corte di Giustizia, questa avrebbe rilevato la dimensione comunitaria delle attività di cabotaggio marittimo così come le difficoltà inerenti alla valutazione della compatibilità di sovvenzioni pubbliche con le norme del Trattato in materia di aiuti di Stato, il che avrebbe portato la Corte di cassazione a dichiarare illegittimi gli aiuti concessi alla Tirrenia. Il nucleo della questione preliminare, sollevata dal giudice genovese prima che fosse stata pubblicata la sentenza Köbler resa dalla Grande Sezione della Corte di giustizia, è dunque quello della compatibilità della legge n.117 del 1988 che disciplina le ipotesi di responsabilità dello Stato per gli atti compiuti dall’autorità giudiziaria con i principi espressi dalla Corte di giustizia in tema di responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario. Il giudice remittente, infatti, informato della sopravvenuta definizione del procedimento Kobler ha ribadito le ragioni del rinvio pregiudiziale chiedendo alla Corte di pronunziarsi, «anche alla luce dei principi affermati (…) nella sentenza Köbler», sulla questione se «osti all’affermazione della responsabilità dello stato per violazioni imputabili a un organo giurisdizionale nazionale una normativa nazionale in tema di responsabilità dello stato per errori del giudice che, come quella italiana, esclude la responsabilità in relazione all’attività di interpretazione delle norme di diritto e di valutazione del fatto e delle prove rese nell’ambito dell’attività giudiziaria e limita la responsabilità dello stato ai soli casi di dolo e colpa grave del giudice».

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