L’evoluzione dell’Islam in Bangladesh
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l’abbandono di “being held beliefs” per “held biliefs”.
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Ma ben presto il revival
religioso converge nelle rivendicazioni sociali, alimentate dal malcontento, generato
dai processi di riassetto avviati dal regime coloniale. Il risultante estremismo del
cosiddetto movimento Wahhabi,
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in diverse aree del Bengala, sfociò in vere e
proprie rivolte agrarie,
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che contribuirono ad accentuare la polarizzazione in seno
alla comunità. Ciò si ebbe a verificare non tanto sul piano religioso, dato che il
messaggio astratto e dogmatico dei riformatori ebbe scarsa influenza immediata nel
variegato mondo islamico bengalese, e in particolare sulle stesse masse rurali, che
nell’insieme rimasero ancorate alle loro radicate “folk traditions”;
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piuttosto fu il
radicalismo sociale, nonché la violenza, ad allarmare i musulmani moderati.
57
La risposta “ortogenetica”
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al profondo disagio, causato dall’avvento del
colonialismo, pur risultante marginale nell’immediato, ebbe il merito, nel Bengala
come nell’India del Nord, di stimolare processi di riforme religiose, che
risulteranno funzionali alla sempre più incalzante ricerca identitaria.
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Nella
seconda metà dell’800 maturò la consapevolezza che una comunità strutturata da
dinamiche sociali tradizionali difficilmente avrebbe potuto misurarsi con le sfide
della modernità coloniale, in particolare con le insidiose conseguenze della politica
comunitaria, messa in campo dal Raj.
60
Come nota Gilmartin:
53
Geertz, 1968, p. 17.
54
Il termine con intento denigratorio fu utilizzato sia dagli Inglesi, che dagli stessi musulmani
tradizionalisti, per designare principalmente i seguaci della țarīqa-yi-muḥammadīya, fondata da Sayyid
Aḥmad Shahīd. Per un’introduzione agli aspetti originari del movimento si rimanda a Maiello, 1995;
idem, 1996.
55
Nel Bengala orientale il movimento farā’ÿī fu promosso da ðaji Sharī’at Allāh al ritorno da una
permanenza ventennale alla Mecca. Il fondamentalismo religioso del movimento, imperniato su una
visione radicale del tawhid, fu accompagnato, specialmente con Dudu Miyān, figlio di Sharī’at Allāh, e
nuovo ustad, da un programma socio-economico militante, a tutela di affittuari musulmani. Sul
movimento di veda Khan, 1965. Nel Bengala occidentale, sotto la guida di Titū Mīr, seguace del
movimento di Sayyid A|mad Shahīd, fu avviato un processo di riforme religiose tra contadini e
tessitori, il cui obiettivo era l’eliminazione degli elementi sincretistici, ritenuti incompatibili con la vera
fede. Ben presto si sviluppo un conflitto con gli zamindar locali che portò ad una rivolta domata soltanto
da forze di fanteria, inviate dalla vicina Calcutta. Sul movimento si rimanda a Maiello, 1993.
56
Ciò porta alla mente l’osservazione di Garcin de Tassy circa alcuni aspetti dell’islam in India: “le culte
de Mahomet était trop simple pour un pays où domine une religion allégorique et idolâtre qui parle aux
senses et a l’imagination plutôt qu’à l’esprit”. Garcin de Tassy, 1831, p. 87.
57
Ahmed ebbe a notare: “the propaganda of the reformist groups and the inevitable counter-propaganda
from the traditional mullahs, gave rise to serious conflicts in the Muslim society […] expectedly these
controversies often did not remain confined within the bounds of religious debates, but had serious
repercussions on the wider relationship between the parties concerned”. Ahmed, 1988, p. 73.
58
La perdurante influenza esercitata da questi movimenti, anche nella fase successiva, sembra essere
colta più da questa terminologia di Grunebaum (1962), che dall’etichetta “transitional”, utilizzata da
Jones (1989).
59
Per l’ “orientamento Wahhabi”, presente nel modernismo di Sir Sayyid, si rimanda a Maiello, 1977,
pp. 38-39. Per l’influenza della “legacy” di Shah Wali Allah, sul movimento di Deoband si veda Daly
Metcalf, 1982.
60
Come succintamente nota Torri “il regime coloniale creò una serie di divisioni burocratiche su base
etnico-religiose o etnico-castali, con il preciso intento di dividere politicamente i sudditi dell’impero anglo-
indiano in settori fra di loro in concorrenza”. Torri, 1996, p. 161.
A
MEDEO
M
AIELLO
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The British bureaucracy and particularly the census, also defined
community in a new and powerful way as a reified bureaucratically defined
entity bounded by the administrative reach of the state. Shaped by
administrative definitions, the Muslim community in India was a distinctively
Indian entity. Perhaps even more important, the census defined an image of
the Muslim community as homogeneous entity in which the élite and
common Muslim counted equally.
61
Il fermento, suscitato da questa politica, fu alimentato dalla militante
aggressività che si sviluppò in senso al movimento di revival hindu, che in quegli
anni diventa “corrente reattiva ammantata di nazionalismo culturale […]
orgogliosamente e pugnacemente hindu”.
62
Fu a questo punto che la classe ashraf
avvertì l’urgenza di riconfigurare il concetto di comunità e di elaborare forme
aggiornate di autodefinizione.
Nel Bengala la debolezza dell’élite, nonché la profonda frattura sociale,
rendevano illusorio il tentativo di forgiare un’identità musulmana, basata, come
nell’India del Nord, sull’egemonia della classe ashraf e la sua ideologia extra-
territoriale.
63
D’altro canto il peso esercitato dalle credenze popolari, associate con
il culto dei santi Sufi, rese illusorio il tentativo di adottare quale cemento
identitario l’ideale shariatico, propugnato anche per il musulmano comune dagli
ulama del seminario teologico fondato nella cittadina dell’India del Nord,
Deoband.
64
A cornice di identità multiple, la natura stessa della società bengalese
fece di una visione islamica elastica e pluralistica la pietra angolare di un’identità
collettiva dei bengalesi musulmani.
65
Al “Giano bifronte dell’età agricola”
66
doveva
subentrare un’entità articolata moderna. Questo disegno portò la classe
ashraf ad
uscire dal suo isolazionismo e, in linea con la propria agenda di condanna di forme
residue di estremismo, nonché di convinta lealtà al Raj, a promuovere processi
sociali innovativi.
Questa esigenza imponeva, innanzitutto, di mitigare la tradizionale
polarizzazione sociale. Infatti in questo periodo prese il via un processo di
“ashrafarizzazione” che, promosso dai riformisti,
67
non fu ostacolato dall’élite, che
anzi si dimostrò pronta a dilatare i confini della propria identità, pur di attuare,
all’interno di netti confini identitari islamici, l’integrazione della diffusa
61
Gilmartin, 2005, p. 57.
62
Nandy, 1998, p. 5.
63
Un’ideologia racchiusa nell’idea di qaum, professata da Sir Sayyid. Sulla natura elitaria del movimento
Aligarh, si rimanda a Maiello, 2003.
64
Su Deoband, istituzione resa nota di recente dai mezzi di comunicazione per il legame con i Taliban,
si rimanda al lavoro di Daly Metcalf, 1982.
65
È indubbio, come è stato spesso sottolineato, che l’islam da sempre è stato caratterizzato da una
flessibilità dottrinale; tuttavia, qui si vuole sottolineare l’interazione tra visione islamica ed il variegato
mondo culturale bengalese.
66
Gellner, 1994, p. 91.
67
Come nota Prindle: “In opposition to the hierarchical practices associated with Hindu social
organization, Muslim reformists emphasized the equality of all men and saw this equality as a principle
rooted in Islamic doctrine or sharia’at”. Prindle, 1988, p. 261.