Autonomia e riscatto, I principi libertari ed identitari di g m. angioy a 210 anni dal moto popolare



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4. Il rinnovamento didattico e scientifico



 La prima spinta al rinnovamento fu determinata dall'adozione di piani di studio ufficiali organici e aggiornati, pensati sul modello dei corsi impartiti nell'Università di Torino. Si trattava di un sensibile salto di qualità sia rispetto alla proposta didattica e culturale che aveva caratterizzato il vecchio Studio gesuitico, sia rispetto all'angusta dimensione provinciale in cui esso aveva vivacchiato negli ultimi decenni. In effetti i piani di studio predisposti dal ministero, sebbene concedessero assai poco alle tendenze scientifiche più recenti e ai grandi temi del dibattito filosofico contemporaneo, avevano il grande pregio d'immettere nel circuito accademico locale non solo nuovi contenuti e nuove discipline, ma anche metodi abbastanza solidi e relativamente aggiornati, che finivano per sollecitare ulteriori interessi di studio e nuove curiosità intellettuali. Nelle principali aree disciplinari l'orientamento dei nuovi programmi lasciava intravedere alcune prudenti ma chiare opzioni culturali: l'umanesimo giuridico e il giusnaturalismo per l'insegnamento dei diritti, il galileismo e il newtonianesimo per le matematiche e per la fisica, un cauto razionalismo per le filosofie, un duttile ma convinto riformismo d'ispirazione giurisdizionalistica per la teologia morale.

Le istruzioni ministeriali per i corsi della Facoltà di legge prevedevano programmi abbastanza tradizionali che raccomandavano uno studio sistematico della dottrina classica più accreditata, ma trascuravano le nuove branche in cui si stava già strutturando il sapere giuridico contemporaneo con la nascita del diritto criminale, del diritto pubblico e del diritto patrio34. Si trattava in realtà di programmi d'insegnamento sostanzialmente simili a quelli adottati nella Facoltà di giurisprudenza dell'Ateneo torinese, che tuttavia assumevano, nel contesto culturale della periferia sarda, valenze innovative e talvolta dirompenti, come nel caso dell'impianto rigorosamente giurisdizionalistico e anticuriale che caratterizzava il corso di Istituzioni canoniche:

Specialmente si avrà riguardo a spiegare – raccomandava il ministero – que' diritti particolari che competono, o per indulti pontifici, o per privilegi particolari, o per consuetudini inveterate del Regno, acciocché gli studenti ben ammaestrati in tal parte possano a suo tempo essere, come ottimi sudditi al principe, così fedeli custodi delli singolari diritti del Regno [...]. E siccome le materie più scabrose sono quelle dell'immunità, sia personale, sia reale, sia locale, [...] il professore non ometterà d'insinuare opportunamente quelle massime che sono convenienti allo stato, [...] affinché dalla Università ne escano soggetti liberi affatto da quei pregiudizi che ha prodotti in molte provincie la soverchia maniera di ragionare de' scrittori troppo propendenti a favorire le Curie vescovili e specialmente la Curia di Roma35.

Anche le istruzioni ministeriali per i corsi di Medicina riprendevano, seppure con numerosi tagli e con alcune semplificazioni, i programmi adottati nelle Università di Cagliari e di Torino. Per l'Università di Sassari si trattava però di programmi assai gravosi che non tenevano conto dell'esiguo organico della Facoltà medica che era stato limitato soltanto a due docenti (com'è noto la nuova cattedra di chirurgia costituiva una sorta di scuola professionale autonoma). In base ai nuovi ordinamenti, infatti, il professore di medicina teorico-pratica, oltre al suo corso triennale dedicato alle sintomatologie, alla fisiologia e alla patologia, doveva impartire anche il corso annuale di istituzioni mediche, e il professore di materia medica, che nel suo insegnamento triennale aveva il compito di passare in rassegna le principali risorse del regno minerale, vegetale e animale, era tenuto a svolgere ogni anno anche un apposito ciclo di cinquanta lezioni sulle «piante officinali indigene della Sardegna», pur dovendo parallelamente impartire un corso annuale di anatomia con la «pubblica dimostrazione sul cadavare»36. E tuttavia i nuovi programmi dei corsi e il notevole impegno didattico dei due professori (il Magistrato sopra gli studi aveva «commendato» le premure del professore di medicina teorico-pratica, Giacomo Aragonese, «nell'adempiere ai doveri della cattedra» e «nell'aggiungere alle pubbliche esercitazioni altre private per viemeglio addestrare agli esami i suoi studenti»)37 non riuscirono ad assicurare il decollo della neoriformata Facoltà medica, che ancora per molti lustri, con pochi studenti e pochissimi laureati, stentò a svolgere le sue essenziali funzioni formative.

Le innovazioni più significative rispetto all'esperienza precedente riguardavano però i corsi della Facoltà teologica e del Magistero delle arti. Non a caso le istruzioni ministeriali insistevano polemicamente sulla necessità di liberare gli insegnamenti teologici «dalla misera pompa di tante sottigliezze e vanità metafisiche» che li avevano fino ad allora avviliti38. La Storia ecclesiastica diventava la disciplina principale che consentiva di accedere a «uno studio sodo e profondo della teologia». Rispetto al passato mutavano sensibilmente i riferimenti storiografici e culturali: oltre ai testi classici della storiografia cattolica postridentina i programmi ministeriali raccomandavano infatti Mabillon e la tradizione annalistica maurina, Fleury e la letteratura d'impronta gallicana e diversi «autori celebri», soprattutto francesi e italiani, i cui testi, «più o meno abbreviati», potevano offrire un valido supporto didattico39. All'impianto assai prudente e tradizionale del corso di teologia scolastico-dogmatica imperniato sulla Summa teologica di san Tommaso, si contrapponeva invece il taglio dichiaratamente innovativo del corso di teologia morale pensato come fondamentale pilastro della formazione di una nuova generazione di ecclesiastici partecipi degli ideali e dei progetti riformatori della monarchia sabauda40.

I corsi di filosofia e arti rappresentavano nel contesto locale una delle novità più significative, non solo perché introducevano discipline precedentemente non insegnate o molto trascurate, ma anche perché si caratterizzavano per l'evidente tentativo di offrire una solida formazione di base e di trasmettere un sapere aggiornato e veramente attento alle acquisizioni scientifiche del secolo. Spiccava in particolare il taglio pragmatico del piano di insegnamento di geometria e matematiche in cui si suggeriva di affiancare all'esposizione dei fondamenti speculativi della disciplina l'uso dello «squadro», della «tavola pretoriana, ossia tavoletta del quadrante geometrico» e del «livello». Le istruzioni per l'insegnamento della fisica, elaborate sulla falsariga dei corsi torinesi di Giambattista Beccaria, raccomandavano di dare conto delle teorie e degli esperimenti più significativi facendo ricorso agli atti delle Accademie delle scienze di Berlino, Pietroburgo, Parigi, Londra, Bologna e Torino, secondo un piano che, come ha osservato Marina Roggero, risultava aperto al «meglio della scienza dell'epoca»41. Anche i piani di studio di etica e logica e metafisica tenevano conto degli sviluppi del pensiero filosofico europeo della prima metà del Settecento. Il professore di logica e metafisica doveva aprire il corso con una «breve istorica dissertazione de' progressi della filosofia [...] per mostrare quanto acquisto di lumi si è fatto nelle scienze, da poiché alle spinose astrazioni degli scolastici si è surrogato un modo di filosofare più sodo e più conforme alla natura delle cose». Così tra le opere che potevano «somministrare maggiori lumi», oltre a quelle dell'empirismo e del razionalismo secentesco, i programmi ministeriali consigliavano alcuni testi settecenteschi di particolare interesse come quelli di Pierre de Crousaz, del giurista tedesco Johann Gottlieb Heinecke (Heineccius), del fisico e filosofo olandese Willem Jacob 's-Gravesande, del filosofo Christian Wolff, di Locke e dei suoi studi sull'intelletto umano, di Condillac e, infine, di Genovesi per i suoi fortunati manuali di logica42. Il razionalismo cartesiano e il giusnaturalismo ispiravano, infine, il programma del corso di etica, che si configurava come una sorta di premessa alle scienze del Jus naturale e delle genti, e che raccomandava una fitta schiera di autori rappresentativi del razionalismo francese, della scuola tedesca del diritto naturale e del pensiero riformatore italiano, dagli scritti di Muratori fino alla recentissima Filosofia morale secondo l'opinione dei peripatetici di Francesco Maria Zanotti apparsa a Venezia nel 176343.

Perfino l'incalzante meccanismo di controllo degli insegnamenti impartiti, di cui il ministro puntualmente chiedeva conto, costituiva un incentivo a elevare il tenore dell'offerta didattica. Regolarmente l'arcivescovo Viancini si prendeva cura di inviare al ministro le "prelezioni" svolte all'inizio dell'anno dai docenti alla presenza dei colleghi e delle autorità accademiche, vere e proprie prolusioni che illustravano le linee generali o un particolare tema del corso. È significativo il caso del gesuita algherese Maurizio Puggioni il quale, trovatosi improvvisamente a dover ricoprire per supplenza la cattedra di teologia morale, si era impegnato con Viancini ad attenersi ai contenuti del trattato De actibus humanis, il corso universitario del filosofo e pedagogista barnabita Sigismondo Gerdil, ex professore dell'Ateneo torinese, che lo stesso arcivescovo dichiarava di aver portato con sé dalla capitale subalpina44.

Certo, il confine tra la verifica della qualità delle lezioni impartite e la sorveglianza censoria era molto labile. Emblematico di questo penetrante controllo appare il caso delle severe critiche espresse da Bogino a proposito della "prelezione" tenuta nel febbraio del 1770 dal professore di Istituzioni canoniche Giuseppe Vacca. Il ministro, pur premettendo di non avervi trovato alcuna «proposizione meritevole di censura», rilevava però la grave sottovalutazione del ruolo dei «romani pontefici», che a suo dire non venivano mai presentati nella loro funzione di «veri legislatori della Chiesa universale», quando invece, obiettava Bogino, il docente includeva tra i legislatori «i vescovi e i padri dispersi e i congregati in concilio». Il ministro escludeva che il giovane professore sardo intendesse divulgare tesi eterodosse o dichiaratamente conciliariste: cionondimeno si mostrava deciso a non permettere che «una tal dottrina fosse proposta in insegnamento», sia perché la «podestà legislativa» costituiva elemento essenziale del «primato di vera giurisdizione che appartiene al papa di diritto divino», sia perché senza di essa, puntualizzava Bogino, «non può reggersi qualunque governo di comunità perfetta». In questo caso vi era però, da parte del ministro, una particolare diffidenza verso quell'ex convittore sardo del Collegio delle province di Torino che nell'ottobre del 1768 si era aggiudicato l'esito delle «pubbliche opposizioni» per la cattedra delle Istituzioni canoniche; anche in quella occasione, infatti, il ministro aveva a lungo esitato prima di conferirgli la cattedra, avendo appreso per via riservata che Vacca aveva gettato «lo scompiglio fra gli altri professori», spargendo «proposizioni poco circospette e poco religiose» ed esprimendosi «senza riguardo sui primi personaggi ecclesiastici e secolari della città»45.

Nel contesto locale, inoltre, la decisa apertura verso le discipline scientifiche, la sistematica attenzione nei riguardi delle nuove acquisizioni del pensiero filosofico sei-settecentesco, la mutata impostazione di alcuni insegnamenti di importanza cruciale come il Diritto canonico segnarono un cambiamento profondo. In realtà i nuovi programmi d'insegnamento fissati dal ministero proponevano un sapere ben sedimentato e oculatamente depurato non solo delle nuove idee d'Oltralpe ma anche di ogni spunto che potesse dar luogo a critiche e polemiche nei confronti delle istituzioni politiche ed ecclesiastiche. Ciononostante i nuovi contenuti dei corsi rappresentavano un considerevole allargamento degli orizzonti culturali, che consentì agli studenti e alle élites locali di acquisire una formazione di buon livello e insieme relativamente aggiornata. Il nuovo sistema universitario, grazie alle relazioni culturali dei docenti e al serrato collegamento con il ministero e con il mondo accademico torinese, veniva messo in contatto con alcuni significativi centri di elaborazione intellettuale esterni all'isola da cui filtravano i temi culturali più dibattuti e le nuove acquisizioni scientifico-filosofiche.

A partire dagli anni sessanta del Settecento gli ambienti universitari divennero così un canale importante di scambi culturali tra l'isola e gli Stati sabaudi di terraferma, facendo registrare un sensibile intensificarsi di opportunità di comunicazione e di circolazione d'idee. Era frequente, per esempio, che le pubblicazioni dei professori dell'Università di Torino venissero tempestivamente inviate in Sardegna e messe a disposizione dei docenti delle due Università. Così Bogino nella primavera del 1767, nel comunicare all'arcivescovo di Sassari che l'«insigne professor matematico» Francesco Michelotti aveva appena dato alle stampe le «esperienze idrauliche da lui fatte all'oggetto specialmente di agevolare le misure delle acque correnti» (si trattava del primo volume degli Sperimenti idraulici pubblicati dal docente torinese, studioso del moto delle acque e direttore della Scuola pratica di Idrostatica), gli faceva sapere di avergliene inviato una copia, convinto che potesse «sempre servire di lume» e che il «padre Cetti» l'avrebbe consultata «particolarmente volentieri»46.

Anche per gli scritti del celebre canonista dell'Università di Torino, Carlo Sebastiano Berardi, era stato il ministro a raccomandarne l'adozione, e a disporre l'invio di «dieci esemplari del primo tomo, già uscito dai torchi», per venderli agli studenti del corso di Diritto canonico, insieme con una copia destinata al docente Giuseppe Pilo47. Nell'ambito degli scambi scientifici instancabilmente promossi dal ministro tra gli ambienti accademici torinesi e quelli delle Università sarde si deve infine ricordare l'invio a Torino di alcuni campioni d'insetti che Cetti aveva individuato nelle sue ricognizioni naturalistiche nell'isola e che avevano suscitato l'interesse del botanico Carlo Allioni, a cui Bogino li aveva segnalati48.

Il trapianto del sistema educativo piemontese e l'affermazione delle istituzioni universitarie come canale privilegiato di promozione sociale influirono sensibilmente nel rilancio degli studi. In particolare l'idea che l'apprezzamento del merito e del talento potesse rappresentare un correttivo a una selezione dei gruppi dirigenti altrimenti basata esclusivamente sui privilegi di ceto ebbe l'immediato effetto di attrarre verso gli studi nuove energie intellettuali.

Nei primi anni di attuazione della riforma, finché il conte Bogino rimase alla direzione del Ministero, il richiamo ad una sistematica applicazione delle regole e il riferimento ai valori del modello pedagogico-meritocratico dell'assolutismo sabaudo furono martellanti. Gli orientamenti ministeriali apparivano univoci nel valorizzare le competenze e l'impegno di docenti e studenti: dai criteri di reclutamento del nuovo corpo docente alla scelta di attribuire le cattedre universitarie per «opposizione e concorso» (fatta eccezione per le sei cattedre riservate ai professori gesuiti), dalla segnalazione degli studenti migliori, sistematicamente richiesta dal ministro, alla continua valorizzazione delle esperienze didattiche che potevano favorire un clima di emulazione.

Di qui il moltiplicarsi delle occasioni di pubblica esibizione dei risultati dell'insegnamento e dei progressi degli studi con i frequenti saggi degli allievi, con le prove di geografia e gli esperimenti di fisica, le accademie letterarie, le esercitazioni poetiche, le rappresentazioni teatrali e musicali. Già nel 1767 l'ampiezza e la novità del fervore degli studi che caratterizzava la realtà sassarese avevano colpito il padre Emanuele Rovero, visitatore dei gesuiti.

È quasi incredibile – scriveva al ministro – che in sì poco tempo si sia potuto fare sì gran mutazione [...]. Ho assistito da che son qui a più funzioni letterarie tutte fatte con molto decoro [...]. Il padre Cetti ne ha fatt'una di geometria elementare e ne apparecchia qualche altra [...]. Il padre Berlendis m'ha fatto sentire una funzione di geografia in cui v'erano 8 o 10 scolari pronti ad additar sulla carta qualunque viaggio e a dar le notizie dei diversi climi, costumi e proprietà delle città e paesi che s'incontrano sul cammino, parlando or italiano or latino [...]. La gioventù di questo paese – commentava Rovero – è assai vogliosa d'imparare, e vi riesce assai bene, e merita perciò che le se ne dia tutto il comodo49.

Ma nel mondo studentesco e nelle élites locali un vero fremito di entusiasmo per i progressi delle moderne scienze era stato suscitato dagli esperimenti e dalle pubbliche dimostrazioni promosse dai professori di fisica e di matematica, Gagliardi e Cetti, che avevano destato un'inedita e sincera attenzione per le acquisizioni della scienza sei-settecentesca. Se ne fece appassionato cantore Angelo Berlendis, che in un festoso componimento poetico sulla restaurazione dell'Università di Sassari offriva una vivida testimonianza del clima di curiosità (e di convinta fiducia) con cui si guardava ai progressi delle nuove scienze introdotte nell'Ateneo riformato dal «dotto stuolo» dei docenti forestieri: «È scritto in ciel, – recitavano i versi arcadici di Berlendis – che a Sassari,/ Come a la bella Italia,/ Un nuovo ed aureo secolo/ Si veda germogliar». Così, il provvido «ristabilimento» dell'Ateneo lasciava filtrare nella realtà locale i benefici lumi delle scienze moderne, capaci di mettere in fuga «l'ombre e gli errori veteri». Con essi arrivavano, inoltre, perfezionati strumenti scientifici: «tubi, cristalli e macchine» per comprendere gli «arcani di natura», e l'«ottico cristallo» per studiare da vicino «E gli astri, e il ciel volubile,/ Qual dalle mani artefici/ Del Divin Fabbro uscì». Sicché il docente vicentino poteva poeticamente giocare con allusioni argute alle esperienze didattiche e alle dimostrazioni scientifiche che avevano maggiormente appassionato il mondo studentesco e lo stesso pubblico locale: le affollate dimostrazioni realizzate con la macchina pneumatica di Robert Boyle, che faceva parte della dotazione scientifica inviata da Torino («E il ceco orror del vacuo/ Che abominava Boile/ Sorpreso in luce limpida/ Se stesso abominò»), e i brillanti saggi di Geografia che avevano impegnato i suoi stessi studenti («Il mondo in poca carta/ Distinto ancor si svela;/ Si vola e si fa vela/ Con l'agile pensier»)50.

 

 

5. Il risveglio culturale



 Gli effetti del rinnovamento degli studi e del nuovo fervore intellettuale che avevano colpito il padre Rovero non tardarono a tradursi in una rinnovata attenzione verso le tradizioni locali, la storia della Sardegna e i suoi problemi. Perfino la produzione poetica, in particolare quella del filone encomiastico e d'occasione che tra gli anni Sessanta e Settanta conobbe in Sardegna una straordinaria fioritura, appare animata da aneliti di impegno civile e da una nuova sensibilità per i temi più attuali. Sono emblematici i versi composti da Berlendis per l'«inondazione seguita intorno a Sassari l'anno 1766», nei quali il docente vicentino, dopo aver descritto i danni causati dalla calamità, stigmatizzava il fatalismo del «volgo insano» e incitava i sardi a prevenire gli effetti delle avversità atmosferiche con opere di sistemazione idraulica e la periodica manutenzione dei corsi d'acqua51.

Ho pur veduto con vera soddisfazione – scriveva Bogino al governatore di Sassari – il poetico componimento dato fuori dal valoroso padre Berlendis [...]. Esso è pieno di verità che dovrebbono pur convincere ad aprire gli occhi a' nazionali, e insieme condotto con tutta la prudenza e l'arte desiderabile.

Naturalmente il ministro, nel far sentire il suo apprezzamento all'autore, non mancava d'incoraggiarne il fervido impegno civile: «Farà sempre cosa grata ed anche di vero merito per lei nel profittare delle occasioni d'eccitar l'industria e l'impegno d'attività in codesti regnicoli che tanto ne abbisognano»52.

In effetti diversi docenti forestieri, lungi dal chiudersi nella torre d'avorio di un sapere accademico astratto, nutrirono un sincero interesse per la realtà dell'isola a cui dedicarono particolare attenzione sia nell'insegnamento che nelle attività di studio e di ricerca. Alcuni ebbero un ruolo determinante nel trasmettere agli allievi, insieme con un solido bagaglio di conoscenze umanistiche e scientifiche, una rinnovata curiosità e un'autentica passione per la storia del proprio paese. Per esempio, Francesco Gemelli compose nel 1769, suo primo anno d'insegnamento a Sassari, un «compendio», purtroppo perduto, «della geografia profana e sacra della Sardegna»53. Nello stesso anno aveva recitato e pubblicato «un panegirico sul martire San Gavino», e con orgoglio faceva presente al ministro, che lo aveva molto incoraggiato a coltivare la storia dell'isola, di aver illustrato, soprattutto nelle numerose note erudite accluse nell'edizione a stampa, «vari punti della storia di Torre, di Sassari e di tutto il Regno»54.

La Sardegna d'altronde si prestava bene a diventare oggetto di ricerca e di studio sotto diverse angolature. Il gesuita lombardo Francesco Cetti aveva manifestato il proposito di studiare la storia naturale dell'isola fin dal primo momento in cui aveva accettato d'insegnare a Sassari; e tuttavia quando vi giunse, nel gennaio del 1766, rimase così colpito dalla variegata realtà linguistica del Regno che si dedicò a tracciare un dettagliato quadro delle caratteristiche delle lingue «usate abitualmente nel commercio delle persone» nelle principali regioni dell'isola55.

Negli anni Settanta gli scritti pubblicati dai professori dell'Università di Sassari costituirono non solo una delle novità più significative del panorama editoriale sardo, ma anche una componente importante di quel vivace risveglio culturale che era stato avviato dalle riforme universitarie e che nutrì la cosiddetta stagione del «rifiorimento» della Sardegna. Nel 1772 vide la luce, presso la Reale stamperia di Cagliari, L'onest'uomo filosofo, un impegnativo trattato controversistico composto dal gesuita piemontese Giuseppe Gagliardi, professore di filosofia nell'Ateneo sassarese56. Quattro anni dopo, il gesuita bellunese Giuseppe Mazzari, professore di teologia scolastico-dogmatica pubblicava presso l'editore sassarese Giuseppe Piattoli le Odi scelte di Pindaro sui giuochi dell'antica Grecia tradotte dal greco in versi italiani.

Ma la testimonianza più eloquente dell'innalzamento della qualità della produzione scientifica dell'Ateneo riformato venne dalle due più importanti opere sulla Sardegna apparse nel secondo Settecento: il Rifiorimento della Sardegna proposto nel miglioramento di sua agricoltura, pubblicato a Torino da Francesco Gemelli nel 1776, e i tre volumi della Storia naturale di Sardegna di Francesco Cetti, apparsi a Sassari tra il 1774 e il 1778. Le due opere, caratterizzate da un solido impianto scientifico e da un approccio culturalmente aggiornato e nient'affatto provinciale, ebbero il merito di far conoscere l'isola al più vasto pubblico europeo. Per entrambe era stato determinante l'incoraggiamento del ministro Bogino. Nel caso del Rifiorimento ne aveva addirittura suggerito il tema, commissionando al gesuita piemontese, già nel 1770, un'opera divulgativa sui problemi dell'agricoltura sarda, e ne aveva poi seguito passo passo l'elaborazione raccomandandone costantemente il carattere didascalico. In realtà l'opera si era via via trasformata in un autorevole e ponderoso trattato sull'economia agricola dell'isola che teneva conto della letteratura tardomercantilistica e fisiocratica e delle elaborazioni delle accademie agrarie italiane ed europee: tuttavia il Rifiorimento conservava l'originario impianto militante, configurandosi come una battagliera e persuasiva monografia che si prefiggeva di sensibilizzare il lettore sui problemi della modernizzazione del Regno, e di conquistare l'ambiente locale ai progetti di rinnovamento agrario avviati dal governo sabaudo57.


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