40
A seguito della legge promulgata da Costantino, il matrimonio tra il
rapitore e la rapita, celebrato nel caso in cui il crimine non fosse stato
riconosciuto e punito, viene dichiarato nullo: per tutelare la condizione
degli eventuali figli già nati viene emanata da Valentiniano I nel 374 la
legge riportata in CTh. 9, 24, 3 (
40
), ai sensi della quale l’accusa d’invalidità
di un matrimonio celebrato in seguito a ratto può essere intentata entro
cinque anni dal delitto stesso. Trascorso il quinquennio il crimine resta
impunito e il matrimonio, ormai inattaccabile, acquista legittimità sia per
quanto riguarda la sua validità giuridica sia per lo status e i diritti della prole.
Come già visto, questo provvedimento viene abrogato implicitamente da
Giustiniano con CI. 9, 13, 1, 2 (che si pone come testo unico in materia), ai
sensi del quale il matrimonio per ratto torna ad essere insanabile e
impugnabile in qualsiasi momento.
Se la dura repressione inferta da Giustiniano al crimen raptus si pone
in linea di continuità rispetto alla legislazione degli imperatori precedenti
a partire da Costantino (
41
), in questa sede è opportuno sottolineare, come
nota conclusiva, gli elementi di novità che pure sussistono.
(
40
) CTh. 9, 24, 3 : Imppp. Val(entini)anus, Valens et Grat(ianus) AAA. ad Maximinum
p(raefectum) p(raetori)o. Qui coniugium raptus scelere contractum voluerit accusare, sive
propriae familiae dedecus eum moverit seu commune odium delictorum, inter ipsa statim exordia
insignem recenti flagitio vexet audaciam. Sed si quo casu quis vel accusationem differat vel
reatum, et opprimi e vestigio atrociter commissa nequiverint, ad persecutionem criminis ex die
sceleris admissi quinquennii tribuimus facultatem. Quo sine metu interpellationis et complemento
accusationis exacto, nulli deinceps copia patebit arguendi, nec de coniugio aut sobole disputandi.
Dat. XVIII. kal. Dec. Gr(ati)ano A. III et Equitio conss. [374 Nov. 14]. La costituzione in
oggetto dispone una sanatoria per evitare che famiglie createsi in seguito a ratto e
consolidatesi da ormai cinque anni venissero socialmente e giuridicamente disgregate.
(
41
) Esempi della severità con cui viene punito tale crimine sono offerti da ulteriori
costituzioni raccolte nel Codice Teodosiano: CTh. 11, 36, 7 del 344 che priva i rapitori
della facoltà di appellare la sentenza di condanna qualora sia stata emanata in base a
prove sicure e alla loro stessa confessione; CTh. 9, 38, 2 di data incerta (353 o 354) ai sensi
della quale i rapitori sono esclusi dai provvedimenti di grazia che, in occasione di
particolari ricorrenze, disponevano la liberazione di tutti i detenuti, tranne quelli
macchiatisi dei delitti più gravi.
41
Innanzitutto viene elaborato, per la prima volta, un sistema assai
articolato in cui sono rappresentate le diverse forme che può assumere il
concorso di persone, con relativa differenziazione delle pene: ciò costituisce
sicuramente un’evoluzione delle teorie generali di diritto penale.
Oltre alla suddetta estensione della disciplina del ratto alla
sottrazione di schiave e liberte che, entro certi limiti, iniziano a godere di
tutela da parte dell’ordinamento giuridico, l’innovazione più significativa
rispetto al regime precedente è certamente data dall’atteggiamento di
favore che viene rivolto nei confronti della donna rapita (CI. 9, 13, 1, 3):
costei, che in passato subiva la pena di morte nel caso avesse acconsentito
a seguire il rapitore o veniva privata della successione dei genitori – anche
se rapita contro il proprio volere – per non aver opposto sufficiente
resistenza, con Giustiniano viene esentata da qualsiasi punizione. Questo
atteggiamento di clemenza nei confronti della donna caratterizza tutta la
legislazione giustinianea, come può riscontrarsi da numerosi esempi (
42
).
La tendenza a giustificare la donna che, secondo l’imperatore, cade
nel peccato solo quando incorre nella malizia dell’uomo, non vale tuttavia
per le santimoniali: alle donne consacrate che siano state rapite è
comminata la reclusione in un monastero più sicuro, in cui non possano
ricadere nell’errore (Nov. 123, 43). Si tratta di una forma di punizione che
non trova riscontro nelle costituzioni degli imperatori precedenti ed è
forse spiegabile considerando la sacralità del ruolo e della funzione di
queste donne: ad esse, in quanto deo dedicatae, non può essere applicato il
trattamento previsto per le feminae comuni.
(
42
) Si confronti S. P
ULIATTI
, Malum immensum importune auctum. La disciplina del
prossenetismo nelle fonti giuridiche postclassiche, in Iuris vincula, Studi in onore di Mario
Talamanca, VI, Napoli 2001, pp. 419-463: l’Autore parla di “femminismo” giustinianeo
alludendo con questa espressione a tutti i provvedimenti di tutela e rivalutazione della
donna, anche se di umile condizione, varati dal nostro imperatore. Si confronti capitolo
IV, paragrafi 1 e 2.
42
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