Christianitatis latinae sermo et litterae institutiones II

III. IN FINE: LA «SCIENZA» DI GIUSEPPE
La scienza di Giuseppe non minaccia forse il bell’edificio narrativo e teologico che si è appena presentato?

Tanto è facile far evolvere nel modello narrativo della Bibbia un Abramo di fronte alla figura enigmatica dei tre visitatori, un Isacco che non ci vede bene e benedice Giacobbe credendo di benedire Esaù, un Giacobbe alle prese con lo sconosciuto del guardo dello Yabboq, tanto è facile rappresentarvi le figure della perplessità umana, altrettanto pericoloso è piazzarvi una figura che ha a che fare con l’onniscienza come quella di Giuseppe. Giuseppe abbandonerebbe la sfera dei personaggi umani e del lettore per oscillare nella sfera dell’onniscienza del narratore e di Dio stesso?

Il dono della chiaroveggenza di Giuseppe è impressionante. Giuseppe è posto subito come l’uomo delle visioni, «il sognatore», come ironizzeranno i suoi fratelli (Gen 37,19). Giuseppe beneficia di sogni, ma beneficia anche dell’arte di interpretare, in modo infallibile, i sogni degli altri: i sogni benefici e malefici del capo dei coppieri, del capo dei panettieri (cfr. Gen 40,12.18.22; 41,12) e del Faraone stesso, che affronta Giuseppe con queste parole: «Ho fatto un sogno e non c'è chi lo possa interpretare. Ho udito dire di te che, quando ti raccontano un sogno, tu lo puoi interpretare» (Gen 41,15). «Poiché Dio ti ha fatto conoscere tutto questo, non c'è nessuno che sia intelligente e savio quanto te» (Gen 41,39) conclude il Faraone, una volta che viene data l’interpretazione. E il padrone dell’Egitto affida a Giuseppe la gestione economica del paese per far fronte alla carestia. «Andate da Giuseppe e fate quello che vi dirà» (Gen 41,55). La chiaroveggenza di Giuseppe si manifesta in un momento decisivo della sua storia: Giuseppe riconosce i suoi fratelli quando si presentano nella fila di coloro che vengono ad acquistare del grano (Gen 42,7.8). Riconosce i suoi fratelli senza farsi riconoscere da loro. L’ironia drammatica è come spostata di livello. È tipico del narratore che domina la scena, che sovrasta dei personaggi alle prese con i limiti del loro sapere. Ora sulla scena narrativa vi è un personaggio umano, il personaggio di Giuseppe, che sovrasta il non sapere dei fratelli.

E ciò fino al culmine dell’ironia nella scena dell’interprete in cui Giuseppe non perde una parola di ciò che i fratelli bisbigliano tra loro in ebraico: «essi non sapevano che Giuseppe li capiva, perché tra lui e loro c'era un interprete» (Gen 42,23). In altri momenti, la strategia di Giuseppe implica la manifestazione della sua «scienza». Dopo la scoperta della coppa nel sacco di Beniamino, mette in guardia i fratelli: «Che azione è questa che avete fatto? Non lo sapete che un uomo come me ha il potere di indovinare?» (Gen 44,15; cfr. 44,5). Insomma, nella sua intelligenza dei sogni come nella sua intelligenza della storia, Giuseppe mostra un sapere che lo pone al di sopra del gruppo [cfr. André Wenin, Giuseppe o l’invenzione della fratellanza, EDB, Bologna 2007].

Se Giuseppe è colui che sa, è anche colui che fa succedere le cose. Fin dal momento in cui riconosce i fratelli, Giuseppe prende in mano la trama degli eventi. È lui che organizza le partenze e i ritorni dei figli di Giacobbe, che telecomanda i colpi di teatro e le scene di riconoscimento – la scoperta del denaro nei sacchi dei dieci fratelli (Gen 42,7.35) o quella della coppa nel sacco di Beniamino (Gen 44,12). In quanto padrone del gioco, non potrebbe essere che Giuseppe prenda il posto di Dio? I fratelli, d’altronde, fraintendono. Scoprendo il denaro, «si sentirono mancare il cuore e, tremando, dicevano l'uno all'altro: “Che cos'è mai questo che Dio ci ha fatto?”» (Gen 42,28) – allorché Giuseppe ha ordito il tutto. Nell’incontro che segue, il maggiordomo di Giuseppe non esita a confermare i fratelli nel loro fraintendimento: «Datevi pace, non temete; il vostro Dio e il Dio di vostro padre ha messo un tesoro nei vostri sacchi» (Gen 43,23). Il modello narrativo messo in campo dalla Genesi non rischia di implodere se un personaggio umano concentra su di sé una scienza e un potere di azione che riguardano il divino? Avendo apparentemente tutte le chiavi in mano e tirando tutte le fila, Giuseppe fa ancora parte dei suoi padri e del suoi fratelli (e di noi, suoi lettori fraterni)?

La saga di Giuseppe rappresenta infatti una dimostrazione estrema della coerenza del modello narrativo della Genesi (e della visione teologica che mette in campo). Figura «limite» all’interno del modello, la figura di Giuseppe conferma questo modello come nessun altro. Sebbene sia investito di poteri straordinari, Giuseppe resta il fratello dei suoi fratelli e di tutte le figure umane del racconto.

Pur sapendo molte cose, Giuseppe non sa tutto. Le sue dimostrazioni di sapere e di dominio sono infatti finalizzate alla spiegazione di ciò che non sa: suo padre Giacobbe e il suo giovane fratello Beniamino sono veramente in vita (come hanno sostenuto i suoi fratelli?). Su questo punto Giuseppe non può fare a meno di interrogarsi (cfr. Gen 43,27; 45,3). Ma Giuseppe fa anche della sua scienza e del suo dominio i motori di una prova nella quale inserisce i figli di Lea e delle concubine di suo padre. Riconoscendo i suoi fratelli (Gen 41,7-8), Giuseppe decide, in un battibaleno, di rendere impossibile la conoscenza reciproca così da condurre i figli di Giacobbe riuniti davanti a lui verso un’altra forma di riconoscimento – il riconoscimento della loro colpa verso di lui [la storia di Giuda e di Tamar, inserita nel ciclo di Giuseppe in Gen 38, chiarisce al lettore la comprensione dello stratagemma di Giuseppe; l’abilità di Tamar è stata di condurre Giuda a riconoscere lui stesso la sua colpa nei confronti della nuora, evitandogli così di essere condannato per il suo misfatto]. Questa psicanalisi famigliare sfocia nella confessione di Giuda (Gen 44,18-34) in cui si scioglie ciò che aveva aperto tutta la vicenda: la preferenza di Giacobbe per i figli di Rachele. Se Giuseppe si è fatto carico di agire in modo «divino», o comunque come un indovino, era dunque per confonderei suoi fratelli in una prodigiosa maieutica e per portarli a riconoscere ciò che solo Dio può fare. Alla fin dei conti, infatti, è Dio che scopre le colpe, che le giudica e le perdona. Giuda allora si sbaglia veramente quando confonde gli agenti e dice: «Dio ha trovato l'iniquità dei tuoi servi» (Gen 44,16)?

Giuseppe si è incaricato di fare ciò che Dio faceva all’inizio della Genesi, quando Adonai interrogava e confondeva lui stesso i colpevoli (Gen 3,8-9; 4,9). Le iniziative di Giuseppe rispondono anche in modo opportuno al «ritirarsi» di Dio, che agisce ormai attraverso l’uomo a cui va il suo favore.

Il finale della storia, tuttavia, non lascia dubbi sul gioco di Giuseppe: lungi dall’attirarsi gli sguardi su di sé come un deus ex machina, Giuseppe reindirizza questi sguardi verso colui che è il vero maestro della trama.

Ciò che, più di tutto, ci rende Giuseppe infinitamente fratello sono le sue lacrime. Per sei volte Giuseppe piange: due volte di nascosto (Gen 42,23; 43,30), tre volte davanti ai suoi fratelli (Gen 45,1-2; 45,14-15; 50,17) e una volta ritrovando suo padre (Gen 26,29). In questi momenti, Giuseppe non sovrasta più la scena; anche lui è confuso da ciò che capita, disarmato di fronte a ciò che Dio ha fatto.

È nelle lacrime, e non in una chiaroveggenza olimpica, che Giuseppe decifra ogni enigma. È nelle lacrime che dice ai suoi fratelli: «Dio mi ha mandato qui prima di voi per conservarvi in vita» (Gen 45,5). Mentre i suoi fratelli hanno un ultimo dubbio sul suo perdono, è nelle lacrime che li rinvia al primo attore della storia: «Non temete. Sono io forse al posto di Dio? Voi avevate pensato del male contro di me, ma Dio ha pensato di convertirlo in bene per compiere quello che oggi avviene: per conservare in vita un popolo numeroso» (Gen 50,19-20). In queste attestazioni di sapienza, in cui si coglie non più un sogno ma il disegno di Dio nella storia, Giuseppe accede alla conoscenza del bene e del male la quale si ottiene solo a posteriori, al termine della storia vissuta con Dio. Tale conoscenza non si acquisisce a priori, come hanno creduto Adamo e Eva (Gen 3,4-5). Alla fine della Genesi e alla fine della sua grande prova, Giuseppe appare allora come un nuovo Adamo che riceve nella sua sapienza il frutto della «conoscenza del bene e del male».

E così, quando annuncia il senso della storia, Giuseppe si ritrova per così dire affine al narratore: con la sua sapienza, dà voce a ciò che il narratore sa della sapienza divina. Questa è la straordinaria architettura della Genesi, in cui la modalità divina, traendo il bene dal male fin dal suo gesto creatore, si fa esplicitamente riconoscere solo al cinquantesimo e ultimo capitolo. Questo lo straordinario riserbo del narratore, che lascia al suo ultimo personaggio il compito di esporre il succo di tutta l’opera narrata. Ma la prossimità di Giuseppe con il narratore si raddoppia con la contiguità di Giuseppe con il lettore. Sommerso dall’emozione quando decifra e «legge» un progetto che non sa misurare, Giuseppe si ritrova a fianco del lettore che retrospettivamente decifra la trama complessiva della Genesi. L’emozione di Giuseppe reca il termine biblico di «timore di Dio» (cfr. Gen 42,18) ed è probabilmente senza confronto con la «pietà e il timore» grazie ai quali, secondo la Poetica di Aristotele, si determina la katharsis dello spettatore della tragedia. Ma anche la narrazione biblica, come la tragedia antica, cerca di suscitare un determinato effetto nel suo destinatario. Non c’è dubbio che Giuseppe anticipi sulla scena l’emozione che il narratore intende comunicare al suo lettore.

Se i libri mantengono il silenzio, talvolta si leggono nelle lacrime.

Opera exegetica
Hieronymi doctrina de spirituali, exegetico, monasticho sensu scripturarum sacrarum Origenis optima hereditas esse videtur.

Litteralis pervestigatio philologica semper innititur Hebraica veritatate, ad quam consequendam scientiis utitur historicis et geographicis, necnon investigatione typologica.

Eius exegesis tamen non facile definiri potest, sed eclectica videtur et generaliter sensum declarat litteralem et spiritualem.

Biblia codex institutionis Christianae et vitae monasticae videbatur.

Schema tripartitum philosophorum (physica, ethica et logica) sacris Litteris docetur: Physica (historia et descriptio universi) Genesi et Ecclesiaste; Ethica Proverbiis et alibi; Logica Canticis Canticorum et Evangeliis (Ep. 30,1, ad Paulam). Biblica sunt praecepta ad pias mulieres quibus omnia opera aedificat et ornat.

Scripturarum cibo et potu enutritus omnis christifidelis viator ad Deum pervenit per quattuor gradus:

1. 
   lectio divina per quam supersubstantialis cibus ante os ponitur;
   
2. 
   meditatio per quam panis frangitur et sumitur [ruminatio];
   
3. 
   oratio per quam gustatur;
   
4. 
   contemplatio per quam delectatur.
   

Prologus in Pentateucho

"Desiderii mei desideratas accepi epistolas, qui quodam praesagio futurorum, cum Daniele¹²¹ sortitus est nomen, obsecrantis ut translatum in latinam linguam de hebraeo sermone Pentateuchum, nostrorum auribus traderem, periculosum opus certe, et obtrectatorum meorum latratibus patens, qui me asserunt in Septuaginta Interpretum suggillationem nova pro veteribus cudere: ita ingenium quasi vinum probantes; cum ego saepissime testatus sim, me pro virili portione in tabernaculo Dei offerre quae possim, nec opes alterius, aliorum paupertate foedari. Quod ut auderem, Origenis me studium provocavit, qui editioni antiquae translationem Theodotionis miscuit, asterisco et obelo¹²² opus omne distinguens: dum aut illucescere facit, quae minus ante fuerant, aut superflua quaeque iugulat et confodit; maxime quae evangelistarum et apostolorum auctoritas promulgavit. In quibus multa de Veteri Testamento legimus, quae in nostris codicibus non habentur; ut est illud: Ex Aegypto vocavi filium meum (Mt 2,15); et: Quoniam Nazaraeus vocabitur; et: Videbunt in quem compunxerunt (Io 19,37); et: Flumina de ventre eius fluent aquae vivae (Io 7,38); et: Quae nec oculus vidit, nec auris audivit, nec in cor hominis ascenderunt, quae praeparavit Deus diligentibus se (1 Cor 2,9); et multa alia quae proprium suntagma [‘opus’] desiderant. Interrogemus ergo eos, ubi haec scripta sint; et cum dicere non potuerint, de libris Hebraicis proferamus: Primum testimonium est in Osee [11,1], secundum in Isaia [11,1], tertium in Zacharia [12,10], quartum in Proverbiis [18,4], quintum aeque in Isaia [64,4]. Quod multi ignorantes, apocryphorum deliramenta sectantur; et Iberas naenias [manichaei et gnostici] libris authenticis praeferunt".

Commentarii in Evangelium Matthaei, 1
"Videns autem Iesus turbas, ascendit in montem, et cum sedisset, accesserunt ad eum dicipuli eius, et aperiens os suum, docebat eos... Dominus ad montana conscendit, ut turbas ad altiora secum trahat. Sed turbae ascendere non valent. Et sequuntur discipuli, quibus et ipsis non stans, sed sedens et contractus loquitur. Non enim intelligere poterant in sua maiestate fulgentem. Secundum litteram, nonnulli simpliciorum fratrum putant eum beatitudines, et cetera quae sequuntur, in Oliveti monte docuisse, quod nequaquam ita est: ex praecedentibus enim et sequentibus in Galilaea monstratur locus, quem putamus esse vel Thabor, vel quemlibet alium excelsum montem... Beati pauperes spiritu, quoniam ipsorum est regnum caelorum. Hoc est quod alibi legimus: Et humiles spiritu salvabit. Ne quis autem putaret paupertatem, quae nonnumquam necessitate portatur, a Domino praedicari, adiunxit 'spiritu': ut humilitatem intelligeres, non penuriam. Beati pauperes spiritu, qui propter Spiritum sanctum voluntate sunt pauperes. Unde super huiuscemodi pauperibus et Salvator per Isaiam loquitur: Dominus unxit me; propter quod evangelizare pauperibus misit me. Beati mites, quoniam ipsi possidebunt terram. Non terram Iudae, nec terram istius mundi; non terram maledictam, spinas et tribulos afferentem, quam crudelissimus quisque et bellator magis possidet; sed terram quam Psalmista desiderat, dicens: Credo videre bona Domini in terra viventium. Huiuscemodi possessor, et post victoriam triumphator, etiam in quadragesimo quarto psalmo describitur: Et intende, prospere procede et regna; propter veritatem et mansuetudinem, et iustitiam. Nemo enim terram istam per mansuetudinem, sed per superbiam possidet".
OPERA DOGMATICA ET POLEMICA

Tertulliani vehementiam imitatur tot operibus 'adversus' vel 'contra' adversarios: Adversus Helvidium de Mariae virginitate perpetua (a.383),¹²³ laicum, Mariam non suscepisse prolem docens post Christum natum et defendens asceticam vitam.

Adversus Iovinianum L.II (a.393)¹²⁴ monacho Romano contradicit matrimonium extollenti, ieiunium minuenti, virginalem statum religiosum impugnanti. Qui appellatur 'Epicurus Christianorum, callidus disputator, serpens lubricus, Proteus noster', ad perversitatem sui dogmatis Scripturas sacras vertens. Excellentiam coelibatus celebrat loca communia repetens paganae traditionis contra mulieres. Inter quae etiam illud De nuptiis Theophrasti: "Non est ergo ducenda sapienti" (I,47), per Porphirium et Senecam cognitum. Contra personam ipsam Ioviniani non semel vehementi eloquio procedit: "Ante nudo eras pede, modo non solum calceato, sed et ornato. Tunc impexa [rudis] tunica et nigra subucula vestiebaris, sordidatus et pallidus et callosam opere gestitans manum; nunc lineis et sericis vestibus et Atrebatum ac Laodiceae indumentis ornatus incedis. Rubent buccae, mitet [lucet] cutis, comae in occipitium frontemque tornantur; protensus est aqualiculus [porcinus venter], insurgunt humeri, turget guttur, et de obesis faucibus vix suffocata verba promuntur" (2,21).
Opera historica et agiographica¹²⁵
Rogatu Dextri, filii Paciani epicopi, a.392, De viris inlustribus edidit, quod est compendium omnium fere antiquorum ecclesiaticorum scriptorum.

Svetonium sequens 78 notitiae Graecos auctores et versiones Eusebii pingit, reliquae 57 Latinos, maxima ex parte coaevos.¹²⁶ Rustica simplicitas qua pagani Christianos incusabant plene fugatur. Per analysim aestheticam et stilisticam, duce Cicerone (Brutus) et Quintiliano (Inst. orat. X), primam historiam litterarum Christianarum exaravit: "Discant sectatores eorum qui putant Ecclesiam nullos philosophos et eloquentes, nullos habuisse doctores, quanti et quales viri eam fundaverint, struxerint, adornaverint, et desinant fidem nostram rusticae tantum simplicitatis arguere, suamque potius imperitiam recognoscant" (praef.). Iudicia aesthetica valent fere semper, licet benevolentiam manifestet erga omnes qui ascesim professi sint, indulgentiam erga Tertullianum, dubium erga Priscillianum.

LIII. TERTULLIANUS presbyter nunc demum primus post Victorem et Apollonium Latinorum ponitur, provinciae Africae, civitatis Cathaginiensis, patre centurione proconsulari. Hic acris et vehementis ingenii sub Severo principe et Antonino Caracalla maxime floruit, multaque scripsit volumina, quae, quia nota sunt pluribus, praetermittimus. Vidi ego quemdam Paulum Concordiae (oppidum Italiae) senem,¹²⁷ qui se beati Cypriani iam grandis aetatis notarium, cum ipse admodum esset adulescens, Romae vidisse diceret referretque sibi, solitum numquam Cyprianum absque Tertulliani lectione unam praeterisse diem ac sibi crebro dicere: Da magistrum, Tertullianum videlicet significans. Hic usque ad mediam aetatem presbyter ecclesiae, invidia postea et contumeliis clericorum Romanae ecclesiae, ad Montani dogma delapsus, in multis libris Novae Prophetiae meminit. Specialiter autem adversum ecclesiam exuit volumina, De pudicitia, De persecutione, De ieiuniis, De monogamia, De exstasi libros sex, et septimum, quem Adversus Apollonium composuit, ferturque vixisse usque ad decrepitam aetatem, et multa quae non extant opuscula edidisse.
LIV. ORIGENES, qui et Adamantius, decimo Severi et Pertinacis anno [a.203] adversus Christianos persecutione commota, a Leonide patre Christi martyrio coronato, cum fratribus et matre vidua pauper relinquitur, annos natus circiter septemdecim, rem enim familiarem ob confessionem Christi fiscus occupaverat. Hic Alexandriae, dispersa ecclesia... per multos annos floruit: et cum iam mediae esset aetatis, et propter ecclesias Achaiae, quae plurimis haeresibus vexabantur, sub testimonio ecclesiasticae epistolae, Athenas per Palaestinam pergeret, a Theoctisto et Alexandro, Caesareae et Hierosolymorum episcopis, presbyter ordinatus Demetrii offendit animos, qui tanta adversus eum debacchatus est insania, ut per totum orbem super nomine eius scriberet. Constat eum, antequam Caesaream migraret, fuisse Romae sub Zepherino episcopo, et statim Alexandriam reversum, Heraclam presbyterum, qui in habitu philosophi perseverabat, adiutorem sibi fecisse kathxh/sewn qui quidem et post Demetrium Alexandrinam tenuit ecclesiam. Quantae autem gloriae fuerit hinc apparet quod Phirmilianus, Caesareae episcopus, cum omni Cappadocia eum invitavit, et diu tenuit, et postea sub occasione sanctorum locorum Palaestinam veniens, diu Caesareae ab eo in sanctis scripturis eruditus est. Sed et illud, quod ad Mammaeam matrem Alexandri [Severi] Imperatoris, religiosam feminam, rogatus venit Antiochiam, et summo honore habitus est et ad Philippum imperatorem, qui primus de regibus Romanis Christianus fuit, et ad matrem eius litteras fecit, quae usque hodie extant. Quis ignorat et quod tantum habuerit in scripturis sanctis studii, ut etiam Hebraeam linguam contra aetatis gentisque suae naturam edisceret et, exceptis septuaginta interpretibus, alias quoque editiones in unum congregaret: Aquilae scilicet, Pontici proselyti et Theodotionis Hebionei et Symmachi eiusdem dogmatis, qui in Evangelium quoque κατα\ Matqai=on scripsit commentarios, de quo et suum dogma conformare conatur. Praeter quintam et sextam et septimam editionem, quas etiam nos de eius bibliotheca habemus, miro labore reperit et cum ceteris editionibus comparavit.¹²⁸ Et quia indicem operis eius in voluminibus epistolarum, quas ad Paulam scripsimus, in quadam epistola [ep. 33] contra Varronis opera conferens posui, nunc omitto, illud de immortali eius ingenio non tacens, quod Dialecticam quoque et Geometriam, Arithmeticam, Musicam, Grammaticam et Rhetoricam, omniumque philosophorum sectas ita didicit, ut studiosos quoque secularium litterarum sectatores haberet, et interpretaretur eis cotidie, concursusque ad eum miri fierent. Quos ille propterea recipiebat, ut sub occasione saecularis litteraturae in fide Christi institueret. De crudelitate autem persecutionis, quae adversum Christianos sub Decio consurrexit [a.250], eo quod in religionem Philippi desaeviret, quem interfecerat, superfluum est dicere; cum etiam Fabianus Romanae ecclesiae episcopus in ipsa occubuerit, et Alexander et Babylas, Hierosolymorum et Antiochenae ecclesiae pontifices, in carcere pro confessione dormierint. Et si quis super Origenis statu scire velit quid actum sit, primum quidem de epistolis eius, quae post persecutionem ad diversos missae sunt, deinde et de sexto Eusebii Caesariensis ecclesiasticae historiae libro, et pro eodem Origene sex voluminibus, possit liquido cognoscere. Vixit usque ad Gallum et Volusianum, idest usque ad 69 aetatis suae annum, et mortuus est Tyri, in qua urbe et sepultus est.
CXXXV. HIERONYMUS, natus patre Eusebio, oppido Stridonis, quod a Gothis eversum Dalmatiae quondam Pannoniaeque confinium fuit, usque in praesentem annum, id est, Theodosii principis decimum quartum [a.392] haec scripsi: Vitam Pauli Monachi; Epistolarum ad diversos librum unum; Ad Heliodorum exhortatoriam; Altercationem Luciferiani et Orthodoxi; Chronicon omnimodae historiae; In Hieremiam et Ezechiel homilias Origenis viginto octo, quas de Graeco in Latinum verti; De Seraphim, De Osanna; De frugi et luxuriosos filiis; De tribus quaestionibus legis veteris; Homilias in canticum Canticorum duas; Adversus Helvidium de Mariae viriginitate perpetua; Ad Eustochium De virginitate servanda; Ad Marcellam epistolarum librum unum; Consolatoriam de morte filiae ad Paulam; In Epistolam Pauli ad Galatas commentariorum libros tres; item in Epistolam ad Ephesios commentariorum libros tres; In epistolam ad Titum librum unum; In Epistolam ad Philemonem librum unum; In Ecclesiasten commentarios; Quaestionum Hebraicarum in Genesim librum unum; De locis librum unum; Hebraicorum nominum librum unum; De Spiritu sancto Didymi, quem in Latinum trastuli, librum unum; In Lucam homilias triginta novem; In Psalmos, a decimo usque ad sextum decimum, tractatus septem; Captivum Monachum, Vitam beati Hilarionis. Novum Testamentum Graecae fidei reddidi; vetus iuxta Hebraicum transtuli; Epistolarum autem ad Paulam et Eustochium, quia cotidie scribuntur, incertus est numerus. Scripsi praeterea In Michaeam explanationum libros duos; In Sophoniam librum unum; In Nahum librum unum; In Habacuc libros duos; In Aggaeum librum unum; multaque alia de opere prophetali, quae nunc habeo in manibus, et necdum expleta sunt.
Praef. erudita Eusebii Caes. Chronicon. Hieronymi continuatio Chronicorum Canonum Liber temporum est (Ep.18) et Chronicon omnimodae historiae (vir.ill. 135) ab ipso vocatur.

1.1.1. "Res a mundi exordio sacris litteris editas breviter constringere et cum distinctione temporum usque ad nostram memoriam carptim dicere aggressus sum, multis id a me et studiose efflagitantibus, qui historiam divinam compendiosa lectione cognoscere properabant, quorum ego voluntatem secutus non peperci labori meo, quin ea, quae permultis voluminibus perscripta continebantur, duobus libellis concluderem, ita brevitati studens, ut paene nihil gestis subduxerim. Visum mihi est non absurdum, cum usque ad Christi crucem Apostolorumque actus per sacram historiam cucurrissem, etiam post gesta conectere, excidium Hierosolymae vexationesque populi Christiani et mox pacis tempora, ac rursum ecclesiarum intestinis periculis turbata omnia locuturus. Ceterum illud non pigebit fateri, me, sicubi ratio exegit, ad distinguenda tempora continuandamque seriem usum esse historicis mundialibus atque ex his, quae ad supplementum cognitionis deerant, usurpasse, ut et imperitos docerem et litteratos convincerem, verumtamen eaque de sacris voluminibus breviata digessimus, non ita legentibus auctor accesserim, ut praetermissis his, unde derivata sunt, appetantur: nisi cum illa quis familiariter noverit, hic recognoscat, quae ibi legerit: etenim universa divinarum rerum mysteria non nisi ex ipsis fontibus hauriri queunt. Nunc initium narrandi faciam".

Ann. Abrahae 1912 [105 a.Ch.n.]   Cicero Arpini nascitur, matre Helvia, patre equestris ordinis ex regio Vulscorum genere.

1923 [94 a.Ch.n.]   Titus Lucretius poeta nascitur. Postea amatorio poculo in furorem versus, cum aliquot libros per intervalla insaniae conscripsisset, quos postea Cicero emendavit, propria se manu interfecit, anno aetatis 44.

1930 [87]   Caius Valerius Catullus, scriptor Lyricus, Veronae nascitur. Sallustius Crispus, scriptor historicus, in Sabinis Amiterni nascitur.

1934 [83]   Cicero Quintium defendit 26 [?] anno aetatis.

1948   Vergilius Maro in pago, qui Andes dicitur, haud procul a Mantua nascitur, Pompeio et Crasso coss.

1952   Horatius Flaccus, satiricus et lyricus poeta, libertino patre Venusii nascitur. Ea quae de Catilina, Cethego, Lentulo, consule Cicerone, Sallustius scribit, hoc gesta sunt tempore.

1964   Vergilius, sumpta toga, Mediolanum transgreditur, et post breve tempus Romam pergit.

1975   Cicero in Phormiano suo ab Herennio et Popilio occiditur, 64 aetatis suae anno. Ciceronis caput cum manu dextra pro rostris positum, iuxtaque coronata imago Popilii militis, qui eum occiderat.

1977   Cornelius Nepos scriptor historicus clarus habetur.

1990   M.Terentius Varro philosophus prope nonagenarius moritur.

1999   Vergilius Brundisii moritur, Sentio Saturnino et Lucretio Cinna coss. Ossa eius Neapolim translata in secundo ab urbe miliario sepeliuntur, titulo istiusmodi suprascripto, quem moriens ipse dictaverat:

Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc

Parthenope. Cecini pascua, rura, duces.

Genus biographicum historico proximum¹²⁹ est.

Vita Antoni, inter potiora opera evasit, quam Athanasius Graeco sermone exaraverat et pluries est conversa in Latinam linguam.

Paraphrasis Evagri, ad litteram conversio viri anonymi in coptam, aetiopicam, syriacam, armenam, georgianam quoque linguam, Antonium exemplar fecerunt vitae monasticae, veram proclamandi atque vivendi Christianam perfectam rationem, contra idolatriam et confusam vivendi rationem in saeculo.

Pro martyrii sanguine potest quis solitudinem offerre Christo atque urbes deserere, ubi nonnisi politica corruptio, saecularizatio, controversiae dogmaticae vigent neque Deus colitur.

Desertus novus quidam locus peraptus habetur iuxta biblicam traditionem ad altius et perfectius experiendam Dei praesentiam, vocationem, solitudinem, tentationem, orationem.

Historia rerum memorabilium viri memorabilis mirabilia operatur, licet conscius sibi sit se esse ineptum instrumentum Omnipotentis.

'Incipit' perfectae vitae spiritualis consonat cum vocatione et conversione a tenebris mediocritatis ad splendorem perfectionis.

Natura extrema huius sequelae est nota praecipua vitae Antonii: "Post obitum autem parentum remansit solus cum sorore sua valde brevi aetate. Erat autem ipse annorum decem et octo vel viginti annorum constitutus, habens curam domus et sororis suae. Nondum expletis mensibus sex post obitum parentum suorum, secundum consuetudinem procedebat ad dominicum, congregabat apud se mentem suam, et cogitabat de omnibus, quomodo Apostoli quidem reliquerunt domum suam et secuti sunt Salvatorem, illi vero qui in Actibus Apostolorum sunt, sua vendentes afferebant ut distribueretur indigentibus, et quae et quanta spes deposita illis in caelis. Ista cogitans, ingressus dominicum, et contigit invenire eum lectionem evangelicam in qua audivit Dominum dicentem ad divitem: 'Si vis perfectus esse, vade, vende omnia tua et da pauperibus. et veni, sequere me, et habebis thesaurum in caelis'. Antonius vero, quasi a Domino inspiratus memoriam habens sanctorum in cogitando, et aestimans lectionem propter se esse lectam, continuo exiens de dominico, possessiones quidem habuit de parentibus arras [sata] trecentas optimas et fruge plenas donavit his qui erant in municipio ut in nullo molestarent illum neque sororem ipsius. Reliqua vero quae erant mobilia, omnia vendidit, et congregans pecuniam multam, distribuit pauperibus. Modicam tamen pecuniam reservavit propter sororem suam. Ut iterum ingressus dominicum audivit in evangelium Dominum dicentem: 'Nolite solliciti esse de crastino', exit continuo, et pecuniam quam servaverat dictribuit pauperibus".

Perfecta haec ratio sequendi Christum diffusa est ut magna charta ascetismi monastici, quae Augustinum vehementer movit (conf. 8,6,14) et fere prototypus facta est generis litterarii cum formis et locis peculiaribus.

Epistulae

Ex 154 epistulis sub eius nomine 117 germanae habentur, ceterae ab Damaso, Augustino, Theophilo ei missae sunt.

Breves sunt 69, longiores fere libelli vel tractatus, ut ep.4, ad Donatum, ep.15 ad Damasum, ep.41 ad Marcellam, ep.49 Apologeticum ad Pammachium, ep.50 ad Domnionem, ep.70 ad Magnum, ep.82 ad Theophilum, ep.84 ad Pammachium et Oceanum, ep.126 ad Marcellinum et Anapsychiam de origine animae, ep.112 ad Augustinum, ep.1 ad Innocentium Presbyterum de septies percussa.

Epitaphia seu Necrologia sunt ep.23 ad Marcellam de exitu Letae, ep.60 ad Heliodorum¹³⁰ epitaphium Nepotiani (ad eundem quoque ep.14), ep.66 in Paulinam, ep.79 ad Salvinam de morte Nebridii, ep.108 Epitaphium sanctae Paulae, ep.77 In Fabiolam, ep.127 ad Principiam virginem Marcellae viduae epitaphium. Ep. 108 (a.404) novissima metamorphosis habetur elogii funebris patritiorum et est quaedam versio feminina Vitae Martini, in qua allegorismus biblicus una cum rhetorica arte non minuit ardorem spirituum et veritatem affectuum.

Epistulae novum genus creant¹³¹ cum quaestiones Sacrae Scripturae declarant et laudes vitae monasticae proclamant.

Inter lectitatissimas est ep. LII ad Nepotianum presbyterum a.394 missa, qui vivendi leges a clericis servandis petierat: 'opusculum aureum' (Schanz).¹³²

1. "Petis, Νepotiane carissime, litteris transmarinis, et crebro petis, ut tibi brevi volumine digeram praecepta vivendi, et qua ratione is, qui saeculi militia derelicta, vel monachus coeperit esse, vel clericus, rectum christi tramitem teneat, ne ad diversa vitiorum diverticula rapiatur. Dum essem adolescens, immo paene puer, et primos impetus lascivientis aetatis eremi duritia refrenarem, scripsi ad avunculum tuum, sanctum Heliodorum, exhortatoriam epistolam, plenam lacrimis querimoniisque, et quae deserti sodalis monstraret affectum. Sed in illo opere pro aetate tunc lusimus et, calentibus adhuc rhetorum studiis atque doctrinis, quaedam scholastico flore depinximus. Nunc, iam cano capite, et arata fronte, ad instar boum pendentibus a mento palearibus, frigidus obsistit circum praecordia sanguis. Unde et in alio loco idem poeta canit: Omnia fert aetas, animum quoque; et post modicum: Nunc oblita mihi tot carmina, vox quoque Moerim iam fugit.¹³³

Omnes pene virtutes corporis mutantur in senibus, et increscente sola sapientia, decrescunt ceterae: ieiunia, chameuniae,¹³⁴ huc illucque discursus, peregrinorum susceptio, defensio pauperum, standi in oratione perseverantia, visitatio languentium, labor manuum, unde praebeantur elemosynae. Et, ne sermonem longius traham, cuncta quae per corpus exercentur, fracto corpore, minora fiunt. Nec hoc dico, quod in iuvenibus et adhuc solidioris aetatis, his dumtaxat, qui labore et ardentissimo studio, vitae quoque sanctimonia, et orationis ad Deum frequentia, scientiam consecuti sunt, frigeat sapientia, quae in plerisque senibus aetate marcescit: sed quod adolescentia multa corporis bella sustineat, et inter incentiva vitiorum et carnis titillationes, quasi ignis in lignis viridioribus, suffocetur, et suum non possit explicare fulgorem.

Senectus vero   rursus admoneo   eorum, qui adolescentiam suam honestis artibus instruxerunt, et in lege Domini meditati sunt die ac nocte [Ps 1.2], aetate fit doctior, usu tritior, processu temporis sapientior, et veterum studiorum dulcissimos fructus metit. Unde et sapiens ille Graeciae, cum, expletis centum et septem annis, se mori cerneret, dixisse fertur, dolere quod tunc egrederetur e vita, quando sapere coepisset.¹³⁵ Plato octogesimo et uno anno scribens est mortuus; Isocrates nonaginta et novem annos in docendi scribendique labore complevit.¹³⁶ Taceo ceteros philosophos, Pythagoram, Democritum, Xenocratem, Zenonem, Cleantem, qui iam aetate longaeva in sapientiae studiis floruerunt. Ad poetas venio, Homerum, Hesiodum, Simonidem, Stesichorum, qui grandes natu, cygneum nescio quid et solito dulcius, vicina morte, cecinerunt. Sophocles cum propter nimiam senectutem, et rei familiaris negligentiam, a filiis accusaretur amentiae, Oedipi fabulam, quam nuper scripserat, recitavit iudicibus, et tantum sapientiae in aetate iam fracta specimen dedit, ut severitatem tribunalium in theatri favorem verteret. Nec mirum, cum etiam Cato Romani generis disertissimus, censorius iam et senex Graecas litteras nec erubuerit, nec desperaverit discere. Certe Homerus refert, quod de lingua Nestoris, iam vetuli et pene decrepiti, dulcior melle oratio fluxerit.¹³⁷

5. Igitur clericus, qui Christi servit Ecclesiae, interpretetur primum vocabulum suum, et nominis definitione praelata, nitatur esse, quod dicitur. Si enim κλη/ρoj Graece, sors Latine appellatur: propterea vocantur clerici, vel quia de sorte sunt Domini, vel quia Dominus ipse sors, idest pars clericorum est. Qui autem vel ipse pars Domini est, vel Dominum partem habet, talem se exhibere debet, ut et possideat Dominum et ipse possideatur a Domino. Qui Dominum possidet, et cum propheta dicit: pars mea Dominus,¹³⁸ nihil extra Dominum habere potest: quod si quippiam aliud habuerit praeter Dominum, pars eius non erit Dominus. Verbi gratia, si aurum, si argentum, si possessiones, si variam suppellectilem, cum his partibus Dominus pars eius fieri non dignabitur. Si autem ego pars Domini sum, et funiculus hereditatis eius [Dt 32,9], nec accipio partem inter ceteras tribus, sed quasi levita et sacerdos, vivo de decimis [Dt 18,1], et altari serviens altaris oblatione sustentor [1Cor 9,13]: habens victum et vestitum, his contentus ero [1Tim 6,8], et nudam crucem nudus sequar.

Obsecro itaque te, et 'repetens iterum iterumque monebo' [VERG., Aen. 3,436], ne officium clericatus, genus antiquae militiae putes, idest, ne lucra saeculi in Christi quaeras militia; ne plus habeas, quam quando clericus esse cepisti, et dicatur tibi: Cleri [hereditates] eorum non proderunt eis. Mensulam tuam pauperes et peregrini et cum illis Christus conviva noverit. Negotiatorem clericum, et ex inope divitem, ex ignobili gloriosum, quasi quamdam pestem fuge. Corrumpunt mores bonos confabulationes pessimae.¹³⁹ Tu aurum contemnis, alius diligit; tu calcas opes, ille sectatur; tibi cordi est silentium, mansuetudo, secretum, illi verbositas, adtrita frons, fora placent et plateae ac medicorum tabernae. In tanta morum discordia, quae potest esse concordia? Hospitiolum tuum aut raro, aut nunquam mulierum pedes terant. Omnes puellas et virgines Christi aut aequaliter ignora, aut aequaliter dilige. Ne sub eodem tecto manseris: ne in praeterita castitate confidas. Nec David sanctior, nec Salomone potes esse sapientior. Memento semper quod paradisi colonum de possessione sua mulier eiecerit. Aegrotanti tibi sanctus quilibet frater adsistat, et germana vel mater, aut probatae quaelibet apud omnes fidei. Quod si huiuscemodi non fuerint consanguinitatis castimoniaequae personae, multas anus nutrit ecclesia, quae et officium praebeant, et beneficium accipiant ministrando, ut infirmitas quoque tua fructum habeat elemosynae. Scio quosdam convaluisse corpore et animo aegrotare coepisse. Periculose tibi ministrat, cuius vultum frequenter adtendis.

Si propter officium clericatus aut vidua tibi [a te] visitatur aut virgo, nunquam domum solus introeas talesque habeto socios, quorum contubernio non infameris. Si lector, si acolytus, si psaltes te sequitur, non ornentur vestibus, sed moribus: nec calamistro crispent comas, sed pudicitiam habitu polliceantur. Solus enim cum sola secreto et absque arbitro non sedeas.¹⁴⁰ Si familiarius est aliquid loquendum, habet nutricem, maiorem domus virginem, viduam, maritatam: non est tam inhumana, ut nullum praeter te habeat, cui se audeat credere. Caveto omnes suspiciones; et quidquid porbabiliter fingi potest, ne fingatur, ante devita. Crebra munuscula et orariola et fasciola et vestes ori adplicatas et degustatos cibos blandasque et dulces litterulas sanctus amor non habet. Mel meum, lumen meum, meumque desiderium, et ceteras ineptias amatorum, omnes delicias et lepores et risu dignas urbanitates in comoediis erubescimus, in saeculi hominibus detestamur; quanto magis in clericis et in clericis monachis, quorum et sacerdotium proposito [sc. vitae monasticae], et propositum ornatur sacerdotio?...

7. Divinas scripturas saepius lege, immo numquam de manibus tuis sacra lectio deponatur. Disce quod doceas... Sacerdotis Christi mens osque concordent. Esto subiectus pontifici tuo et quasi animae parentem suscipe; amare filiorum, timere servorum est. Sed et episcopi sacerdotes se sciant esse, non dominos... 8. Sermo sacerdotis scripturarum lectione conditus sit.

12. Tantum tibi ieiunorum impone, quantum ferre potes.... Audio praeterea quosdam, contra rerum hominumque naturam, aquam non bibere, nec vesci pane, sed sorbitiunculas delicatas et contrita olera betarumque sucum non calice sorbere, sed concha. proh pudor! Non erubescimus istiusmodi ineptiis, nec taedet superstitionis? Insuper etiam famam abstinentiae in deliciis quaerimus. Fortissimum ieiunium est aqua et panis: sed quia gloriam non habet, et omnes pane et aqua vivimus, quasi publicum et commune ieiunium non putatur…

Epistula 130, Ad Demetriadem - e)pita/fion | e)pini/kion | e)gkw/mion

Rhetorum disciplina est, ab avis et atavis, I. Elogium Patrum

et omni retro nobilitate, ornare quem laudes, ut ramorum sterilitatem radix fecunda compenset, et quod in fructu non teneas, mireris in trunco.

Scilicet nunc mihi Proborum et Olybriorum

clara repetenda sunt nomina: kle/oj Pyndaricum

et illustre Anicii sanguinis genus, in quo aut nullus, aut rarus est, qui non meruerit consulatum:

aut proferendus Olybrius virginis nostrae pater,

quem immatura morte Romae a.409; cons.cum fratre subtractum congemuit. Probino a.395

Vereor plura dicere, ne sanctae matris vulnus exasperem, recusatio et virtutum eius recordatio, fiat doloris instauratio. Mneme, chiasmus, rima Pius filius, vir amabilis, clemens dominus, civis affabilis consul quidam in pueritia, sed morum bonitate senator illustrior.

Felix morte sua, qui non vidit patriam corruentem; hoxymoron imo felicior sobole, gradatio seu climax

qui Demetriadis proavae nobilitatem insigniorem reddidit, Demedriadis filiae perpetua castitate...

Cum iam nuptiarum appropinquaret dies, et futuro matrimonio thalamus pararetur, secrete et absque arbitris, noctemque habens pro solatio, talibus se fertur armasse consiliis: II. exhortatio dramatica "Quid agis, Demetrias? cur pudicitiam tanto pavore defendis?

Libertate opus est et audacia. ...

Si te virorum exempla non provocant, exemplum

hortetur faciatque securam beata martyr Agnes quae et aetatem vicit et tyrannum, et titulum castitatis martyrio coronavit.¹⁴¹

Nescis, misera, nescis cui virginitatem tuam debeas. appel. anaph. chiasmus Dudum inter barbaras tremuisti manus, aviae matrisque sinu et palliis tegebaris.

Vidisti te captivam, et pudicitiam tuam non tuae potestatis.

Horruisti truces hostium vultus:

raptas virgines Dei gemitu tacito conspexisti.

Urbs tua, quondam orbis caput,

Romani populi sepulcrum est;

et tu in Libyco littore, exulem virum, polyptotus ipsa exul accipies? Quam habitura pronubam?

quo deducenda comitatu? Stridor Punicae linguae procacia tibi Fescennina cantabit. [cf CAT. 61,122]

Rumpe moras omnes. [cf VERG., Georg.3,43]

Perfecta Dei dilectio, foras mittit timorem. [I Io 4,18]

Assume scutum fidei, loricam iustitiae, [Eph 6,16; 1Thess 5,8]

galeam salutis, procede ad proelium.

Habet et servata pudicitia martyrium suum.

Quid metuis aviam? Quid formidas parentem? [anaphora, parall.]

Forsitan et ipsae velint, quod te velle non credunt".

His et aliis quampluribus inflammata stimulis, omnem corporis cultum et habitum saecularem, [chiasmus]

quasi propositi sui impedimenta, proiecit;

pretiosa monilia est graves censibus uniones ardentesque gemmae redduntur scriniis:

vili tunica induitur, viliori tegitur pallio: [gradatio et chiasmus]

et insperata aviae genibus repente provolvitur, fletu tantum et planctibus quae esset ostendit.

Obstipuit sancta et gravis femina, alienum habitum in nepte conspiciens.

Mater gaudio stabat attonita.

Utraque verum non credere, quod verum esse cupiebant.

Haesit vox faucibus, et inter ruborem atque pallorem metumque ac laetitiam, cogitationes variae mutabantur...

Alii aedificent Ecclesias, vestiant parietes marmorum crustis;

columnarum moles advehant, [HOR., TIB., bi/oi]

earumque deaurent capita pretiosum ornatum non sentientia;

ebore argentoque valvas, et gemmis aurea vel aurata distinguant altaria.

Non reprehendo, non abnuo.

Unusquisque in sensu suo abundet.... [Rom 14,5]

Sed tibi aliud propositum est: Christum vestire in pauperibus, visitare in languentibus, pascere in esurientibus, suscipere in his qui tecto indigent, [Mt 24,35ss]

et maxime in domesticis fidei, [Gal 6,10]

virginum alere monasteria, servorum Dei et pauperum spiritu habere curam, qui diebus et noctibus serviunt Domino tuo: [Apoc. 7,15]

qui in terra positi, imitantur angelorum conversationem, et nihil aliud loquuntur, nisi quod ad laudes Dei pertinet:

habentesque victum et vestitum, his gaudent divitiis: [1 Tim 6,8]

qui plus habere nolunt, si tamen servant propositum.

Alioqui si amplius desiderant, his quoque quae necessaria sunt probantur indigni.

Haec ad virginem divitem, et virginem nobilem sim locutus.

Nunc tantum ad virginem loquar, id est non ea quae extra te, sed in te sunt, tantum considerans.

Praeter Psalmorum et orationis ordinem, quod tibi hora tertia, sexta, nona, ad vesperam, media nocte, et mane semper est exercendum, statue quot horis sanctam Scripturam ediscere debeas;

quanto tempore legere non ad laborem, sed ad delectationem

et instructionem animae".¹⁴²