Dottrina sociale della chiesa


Carlo Urbani (1956-2003) Laico volontario dei Medici senza Frontiere e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (testo in 3 pagine)



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Carlo Urbani (1956-2003) Laico volontario dei Medici senza Frontiere e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (testo in 3 pagine)


Il coronavirus della SARCS. Nel 2001 Carlo Urbani, vicepresidente internazionale di ‘Medici senza frontiere’, vive con la sua sposa e i tre figli ad Hanoi (Vietnam). E’ stato nominato ‘esperto’ per l’Oriente dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, (OMS), quella catena invisibile e inestimabile che circonda il pianeta Terra, e lo difende dalle epidemie dovunque esse sorgano. Carlo è stato nominato ‘esperto per la regione del Pacifico occidentale’, e assiste Vietnam, Laos e Cambogia nella lotta contro le malattie parassitarie che fanno silenziose stragi di bambini.

Negli ultimi giorni del febbraio 2003 risponde a una chiamata dell’ospedale di Hanoi. I medici segnalano la presenza di un malato colpito da un virus sconosciuto, con sintomi simili all’influenza. Carlo si reca all’ospedale e visita subito il paziente. Non ha il virus dell’influenza, e neppure quello della polmonite. Si tratta di una malattia nuova, strana. Carlo osserva il malato giorni e giorni, documenta ogni suo cambiamento e soprattutto organizza i controlli in tutto l’ospedale. Deve contrastare questa strana malattia che tende a diffondersi con rapidità. Finalmente la identifica: è una forma atipica di polmonite, epidemica, diffusa da un coronavirus ribelle a ogni antibiotico. La SARS (come egli la chiama) può costituire una seria minaccia per la popolazione della Terra se non viene rapidamente isolata. Mette con urgenza in allerta l’OMS. Mentre altri focolai della SARS vengono segnalati a Hong Kong, nelle province interne della Cina, a Taiwan, a Singapore e in Canadà, l’ospedale vietnamita di Hanoi, dove lavora Carlo Urbani, su sua richiesta viene posto totalmente in quarantena. Misure immediate vengono prese negli aeroporti internazionali.

In molte parti del mondo si diffonde il panico. L’epidemia mortale viene bloccata grazie a una catena strettissima di sorveglianza, specialmente negli aeroporti dopo tutti i passeggeri devono sottoporsi a visita medica.

Carlo Urbani non può rallegrarsene. Colpito dalla SARS che ha individuato per primo, muore a Bangkok il 29 marzo.

L’agenzia ANSA lancia il primo flash alle 12,50 del 29 marzo 2003: “Virus misterioso: medico italiano morto a Bangkok - Un medico di 46 anni, Carlo Urbani, originario di Castelplanio (Ancona), è morto questa mattina per una sospetta polmonite atipica. Il medico si trovava sul luogo per conto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Da una decina di giorni si stava occupando proprio della sindrome SARS”.

Nelle redazioni dei giornali si esamina la cartina dell’Umbria per trovare questo paese, Castelplanio, 1500 abitanti tra centro e frazioni sparse nella Vallesina. I giornalisti salgono lassù per cercare notizie di questo ‘sconosciuto Carlo Urbani’. Il sindaco, alle loro domande, risponde: “Il dottor Urbani è un nostro compaesano. Ha dedicato se stesso alla causa dei più poveri e più deboli. Siamo orgogliosi che una persona come lui abbia fatto sapere al mondo che esistono dei bravi italiani. I tre figli del medico, Tommaso, Luca e Maddalena, sono già da due settimane qui a Castelplanio. Stanno bene. Dopo l’inizio della malattia, non hanno più rivisto il padre. La moglie Giuliana arriverà lunedì, e poco dopo un aereo porterà in Italia la salma di Carlo”.

Avevo 15 anni quando mi sono innamorata di lui”. I rintocchi lenti delle quattro campane della chiesa annunciano, nel mattino di mercoledì 2 aprile, il ritorno del dottore che ha girato il mondo per aiutare gli ultimi. Durante l’austero funerale, la moglie Giuliana dice dal pulpitino anche a nome dei figli: “Carlo ci ha insegnato che la vita, quella di tutti, va rispettata. Ringrazio Dio di avermi fatto incontrare un marito come lui”. Accompagnato dal piccolo organo che Carlo suonava da giovane, il coro che lui aveva messo insieme canta parole che Carlo ha scritto sulla carta e detto con la vita: “Che cosa resterà di te? Ciò che hai seminato: un pane condiviso e dato in povertà”.

Una decina di giorni dopo, tornato tutto alla calma, Giuliana Chiorrini racconta suo marito Carlo, con pudore:

“Avevo quindici anni quando mi sono innamorata di lui. Ma lo conoscevo da sempre, perché qui in centro a Castelplanio eravamo 350 abitanti . E Carlo organizzava tutto, dai campeggi alla raccolta di medicinali per Mani tese, dalla squadra di pallavolo alle vacanze per bambini handicappati, Mi piaceva, e a quindici anni ho capito che anche lui cominciava a interessarsi di me. Era il 1980. Lui era già ‘grande’, aveva 24 anni, stava finendo l’università. Io avevo appena cominciato le magistrali a Fabriano per diventare maestra alla scuola materna.

Non stava fermo un attimo. Organizzava il coro in chiesa e suonava l’armonium, dirigeva il giornalino del nostro gruppo. Per farla corta, mi sono innamorata. Non era bellissimo, ma era davvero un tipo interessante. Mi piaceva la sua voglia di essere utile, di darsi da fare. E allo stesso tempo, sembra incredibile, riusciva a essere schivo, a non mostrarsi.

Un amore a Castelplanio non si può tenere nascosto. Per questo Carlo ha cominciato a venire a casa mia, come fidanzato. Era un ragazzo serio, ma sapeva vivere momenti di gioia intensa, condividendola. Si emozionava davanti a un tramonto. E voleva che io fossi lì con lui, per vivere insieme quel momento bello. Ci siamo sposati l’8 ottobre 1983”.

Intanto Carlo si è laureato ad Ancona (1981) e specializzato in malattie infettive e tropicali a Messina (1983).

Volontario in Europa. Nel 1987 nasce il primo figlio, Tommaso. Carlo è medico di base a Castelplanio e specialista in malattie infettive ad Ancona. In quello stesso 1987 ottiene il consenso di Giuliana e si reca per un mese come medico volontario in Etiopia. Torna con una forte impressione, che giorno dopo giorno comunica a Giuliana: “La maggior parte dei bambini del mondo aspettano un piatto di riso. Qui da noi aspettano l’ultimo Game Boy. Cresceranno così i nostri figli?”.

Cominciò a collaborare con Medici senza frontiere. Ferie e tempi di riposo passati con loro in Africa. “Tornava stanco ma realizzato” ricorda Giuliana. Ma non viveva ‘con la testa altrove’. “Quando era qui ce l’avevo solo per me. Con i bambini era un padre bravissimo”.

Nel 1995 Giuliana dà alla luce il secondo figlio, Luca.

Nel 1996 Carlo confida a Giuliana: “Se partissimo tutti insieme, sarebbe utile anche per i nostri figli vedere che il mondo non è solo Castelplanio, e che molti bambini non hanno un pugno di riso per saziare la fame. Diventerebbero più sensibili, intelligenti…”. “E così – conclude Giuliana -, alla fine siamo partiti”.

1996-1997, missione per un anno in Cambogia, a Phnom Penh. Tommaso ha 9 anni, Luca poco più di uno. Tommaso va alla scuola francese. Nella capitale della Cambogia la vita è poverissima. Nella casetta non hanno la TV. “Si viveva con poco eppure si stava bene”.

Tornando a Castelplanio, Tommaso parla francese fluente, ha mille cose da raccontare, e Carlo viene nominato presidente dei MSF italiani. Nel 1999, come vice-presidente internazionale, va a ritirare il Nobel per la Pace assegnato ai MSF.

6 gennaio 2000. Mentre Carlo e Giuliana, davanti alla chiesa di Castelplanio, insieme a decine di bambini liberano nell’aria palloncini bianchi e colorati con un messaggio di pace, arriva l’invito. Tre anni ad Hanoi con la famiglia, come ‘responsabile dell’OMS contro le malattie parassitarie per Vietnam, Laos e Cambogia’.

Giuliana dà alla luce Maddalena il 6 maggio. All’inizio di giugno Carlo parte. Due mesi dopo lo segue Giuliana con i figli. “La casa è molto bella – scrive Giuliana di laggiù -. Tommaso e Luca frequentano scuole francesi, Maddalena è all’asilo nido vietnamita, e parla solo in vietnamita!”

Anni di lavoro duro, di vita piena e serena.

Nel 2003 si pensa al rientro in Italia.

Invece arriva la SARS, Carlo riesce a dare l’allarme al mondo e muore. Ciò che resta di lui ritorna in volo Bangkok-Roma, poi in un’autoambulanza dei MSF sulla piazzetta della chiesa di Castelplanio, dove ci sono tanti amici che piangono e battono le mani.
ANNALENA TONELLI (1943-2003) Volontaria missionaria laica (3 pp)
I bassifondi della sua città. Iniziò dedicandosi ai bambini del brefotrofio della sua città, Forlì.

Annalena Tonelli era una fresca ragazza di 19 anni dagli occhi azzurri, in quel 1962. E per sei anni lavorò così, con un gruppo di amiche, mentre si laureava in legge all’Università di Bologna. Scriverà: “Ero ancora una bambina quando scelsi di essere per gli altri: i poveri, i sofferenti, gli abbandonati, i non amati. Così sono stata e confido di continuare ad essere. Volevo solo seguire Gesù Cristo. Null’altro mi interessava così fortemente: Lui e i poveri in Lui”.

Poi cominciò a pensare ai poveri del Terzo Mondo. Davanti ai bambini che la guardavano con occhi immensi e doloranti dalle riviste missionarie, dai telegiornali, si sentì in colpa di stare troppo bene. Fondò con le sue amiche, coinvolgendo tutte le parrocchie di Forlì, il ‘Comitato per la lotta contro la fame nel mondo’, e cominciò a preparare la sua partenza per l’Africa. I suoi familiari non erano d’accordo, ma lei stava per compiere 25 anni, e non le pareva di fare ‘un colpo di testa’.

Era il 1968 quando partì. Molti giovani dell’occidente sentivano in quegli anni il disagio di vivere in un mondo troppo ingiusto, troppo spaccato tra ricchi e poveri. Scaricavano il disagio in assemblee, cortei, sparatorie per le strade, attentati terroristici. Lei lo scaricò salendo su una nave e recandosi a vivere tra quei Somali che vivevano nel nord-est del Kenya, una popolazione straziata dalla fame . Scriverà: “Dio che mi aveva portato lì, e vi rimasi nella gioia e nella gratitudine. Ero partita decisa a gridare il Vangelo con la vita sulla scia di Charles de Foucauld, che aveva infiammato la mia esistenza”. Lo griderà per 35 anni.

Cominciò come insegnante nella missione di Karima. Salvatore Baldazzi, missionario della Consolata, aveva dato vita a una ‘Città delle ragazze’, ‘Girl’s Town’, per ragazzine rese orfane dalla carestia e dalla guerra. In quello stesso anno dall’Italia giunse Maria Teresa, anche lei cristiana decisa a spendere la vita per Gesù e per i poveri. Annalena e Maria Teresa iniziarono a vivere insieme, formando una micro-comunità.

Voleva curare gli ammalati, ma era laureata in legge e non in medicina. Diventò così insegnante. Dedicava parte del suo tempo allo studio della lingua locale, alle tradizioni di quel popolo. Si lasciò coinvolgere dall’insegnamento, convinta che la cultura è forza di liberazione.

I suoi alunni avevano più o meno la sua età. All’inizio diffidavano di lei perché era donna (quindi non degna né di ascolto né di rispetto), bianca (quindi di razza inferiore), cristiana (temuta perché i cristiani cercano di rubarti la fede in Allah), e poi non sposata in un mondo in cui la verginità è un non-valore.

S’innamorò di un bambino che stava morendo. In pochi giorni cambiarono atteggiamento. E in pochi mesi furono concentrati sui programmi, con puntuali interrogazioni ed esami. I risultati furono molto buoni, tanto che vari studenti di allora oggi occupano importanti posti nei ministeri governativi e nelle attività private del Paese.

Nei primi giorni in cui faceva l’insegnante, Annalena conobbe un bambino che stava morendo di sickle cell (anemia falciforme) e fame. “Me ne innamorai – scrisse -. Giurai a me stessa che l’avrei salvato. Gli donai il sangue e supplicai gli studenti di fare altrettanto. Uno di loro lo donò, e dopo di lui tanti altri, vincendo la chiusure di un mondo che ignorava la solidarietà. Quel bambino fu salvato dal nostro amore”.

Era il tempo di una grave carestia. Vide tanta gente morire di fame. Dopo il primo bambino, attorno a lei se ne raggrupparono altri quattordici. Non sapevano cos’era una ‘straniera’. Avevano fame di cibo e di affetto, e Annalena glie ne dava. I bambini orfani continuavano ad arrivare. Tra essi c’erano malatini che avevano bisogno di cure urgenti. Pur continuando ad insegnate, Annaleta a Maria Teresa aprirono un ‘Centro’ di cura e riabilitazione per bambini ciechi, sordi, epilettici, poliomielitici… Scrisse alle sue amiche romagnole che nel Centro c’era bisogno di medicine, ma c’era soprattutto bisogno di ‘mamme’. Arrivarono. La micro-comunità si allargò accogliendo cinque ragazze che avevano lasciato tutto per diventare ‘mamme a tempo pieno’.

Poi Annalena scoprì i tubercolotici, rifiutati e abbandonati da tutti. La tubercolosi è presente da secoli in mezzo ai Somali. Praticamente, tutto quel popolo ha i germi della malattia, ma solo in poche persone si sviluppa.

Annalena ne scoprì una vera colonia nell’ospedale di Wajir, un villaggio del Nord Est, e divenne la loro madre.

Non sapeva niente di medicina, ma presto avrebbe conseguito i diplomi di ‘controllo della tubercolosi’ a Nairobi e di medicina tropicale in Inghilterra.

Dopo aver conseguito il primo diploma a Nairobi, cominciò a passare all’ospedale di Wajir molto tempo. Quelli che erano alla fine, volevano morire stringendole la mano.

Nel 1976 l’Organizzazione Mondiale della Sanità(OMS) chiese ad Annalena di diventare la responsabile di un progetto-pilota per la cura e il controllo della tubercolosi in mezzo ai nomadi malati di tubercolosi. Essi cominciarono ad arrivare con la carovana dei cammeli. Smontavano le stuoie, le corde, e costruivano le capanne per farsi curare.

Noi abbiano la fede, voi avete l’amore”. Fu il capolavoro dell’amore di Annalena e delle sue compagne. Il metodo inventato da loro chiamato DOTS (Breve Terapia sotto Diretta Osservazione) è stato diffuso in tutta l’Africa. Annalena ricordava: “Fu una grande avventura d’amore, un dono di Dio. Contemporaneamente lavoravo nel Centro per i bambini assieme alle mie compagne che si erano unite a me, tutte volontarie senza stipendio, tutte per i poveri e per Gesù Cristo. Eravamo una famiglia. Accoglievamo ogni bambino da curare, riabilitare, e creature particolarmente ferite: ciechi, sordomuti, handicappati fisici e mentali. I bambini crescevano con noi, mamme a tempo pieno. Fu grazie al ‘Centro per i bambini’ che la gente cominciò a dire che forse anche noi, io e le mie compagne, saremmo andate in Paradiso. Un vecchio capo, che ci ammirava molto, sentenziò: ‘Noi musulmani abbiamo la fede, voi avete l’amore. Dovremo fare come fate voi’ ”.

Nel 1984 le autorità tentarono di commettere un genocidio a danno di una tribù di nomadi del deserto. 50 mila persone dovevano sparire nel nulla. Un migliaio fu eliminato subito. A questo punto, Annalena si mise in contatto conn i giornali e la BBC. Narrò tutto, ci furono corrispondenze indignate sui grandi giornali del mondo, e il genocidio cessò.

Ma Annalena era ormai sulla lista nera. Sfuggì miracolosamente a due attentati. Fu aggredita e picchiata. Poi venne arrestata e portata davanti a un tribunale militare. Era il 1986, e fu espulsa dal Kenya.

Oltrepassò il confine, andò verso nord, e finì per stabilirsi a Borama, nel Somaliland, uno stato pieno di gente somala non riconosciuto dall’ONU. Ricominciò da capo, con una scuoletta di alfabetizzazione. Poi la scuola si aprì ai bambini malati: sordi, ciechi, epilettici. Divenne anche un piccolo ospedale. Annalena chiedeva all’OMS e venivano specialisti che eliminavano cataratte, e i bambini tornavano a vedere, intervenivano su otiti trascurate, e i bambini tornavano a sentire. Gli epilettici (creduti indemoniati) venivano portati in catene, sporchi dei loro escrementi. Dopo giorni di cure e di amore, si liberavano loro stessi dalla catene, cominciavano a lavarsi, prendevano da soli i farmaci e poco alla volta tornavano normali. La gente venerava Annalena.

Ma giunse il maledetto 11 settembre 2001 con l’abbattimento delle torri gemelle di New York. Seguirono i maledetti bombardamenti americani sull’Afghanistan. Il clima verso i bianchi cambiò radicalmente. Anche Annalena fu additata dai fondamentalisti islamici come ‘diavolo bianco’.

In quel clima avvelenato, un ragazzo armato di fucile entrò nell’ospedale e le sparò tre colpi alla testa. Annalena aveva 60 anni. Era il 5 ottobre 2003.
Parte quarta

La Dottrina sociale della Chiesa(questa pag+Leone XIII+sette encicl.=4p)
Davanti alle situazioni disumane create dalla Rivoluzione industriale, le persone oneste si ribellano. Mentre si attende che gli Stati intervengano con leggi che stabiliscano una maggior giustizia sociale, in campo cattolico laici, preti e vescovi (non tutti però) danno vita a migliaia di iniziative di “pronto intervento” e di “protesta”. Ne cito alcune.

Nel 1833 il giornalista cattolico Ozanam dà vita a Parigi alle Conferenze di San Vincenzo”. Negli anni seguenti l’arcivescovo di Parigi, mons.Affre, organizza i suoi preti in aiuto dei lavoratori. Nel 1841 (come abbiamo detto) don Bosco e con lui il Murialdo e altri sacerdoti aprono a Torino oratori, case, scuole, mense per i giovani lavoratori. Nel 1842 il vescovo di Spira (Renania) interviene pesantemente presso le autorità politiche perché affrontino la situazione. Nel 1845 il vescovo di Annecy in Savoia (dove è aperto il più grande cotonificio del Regno) denuncia a Carlo Alberto le “condizioni disumane dei lavoratori”.

Emmanuel W. Ketteler, vescovo di Magonza dal 1850 e deputato al Parlamento tedesco, chiama il suo governo a discutere un complesso di leggi in favore dei lavoratori, che vanno dal diritto di unione degli operai al diritto di sciopero, dalla proibizione del lavoro in fabbrica per fanciulli e donne all’assistenza medica gratuita. Nel 1871 nasce in Francia l’Opera dei circoli operai. In Belgio A. Porter crea le basi della Dottrina sociale cristiana con famose lezioni universitarie sui diritti degli operai. Dal 1884 l’Unione internazionale di Friburgo (Svizzera) organizza Congressi scientifici per promuovere scambi di idee e di esperienze sociali fra i cattolici dei vari Paesi. Negli USA si affermano i Knights of labour, associazione operaia cattolica che tutela i diritti dei lavoratori. Nel 1890, in Germania, nasce il Volksverein di F. Brandts, una delle più solide organizzazioni operaie cristiane dell’Europa.

Accanto ai cristiani agiscono socialisti, comunisti e anarchici. La prima enunciazione violenta delle loro intenzioni è il Manifesto dei comunisti scritto da K. Marx nel 1848, che comincia con le parole: “Proletari di tutto il mondo, unitevi!”. L’ideologia marxista-comunista sarà la base della disastrosa esperienza della rivoluzione comunista. Essa inizierà nel 1917 nella Russia ad opera di Lenin e si estenderà a quasi metà del mondo.

Molti cattolici, che lavorano tumultuosamente per la giustizia sociale, sentono sempre più la necessità di coordinare la loro azione e il loro pensiero. Molti vescovi pensano che per fissare le linee-guida dei cristiani occorra un intervento ufficiale del Papa.
Leone XIII

A Roma è papa Gioacchino Pecci, che porta il nome di Leone XIII. Egli è nato a Carpineto Romano (Roma) dalla famiglia dei conti Pecci. Avviato al sacerdozio e alla carriera diplomatica, viene ordinato prete a 27 anni, consacrato Vescovo e inviato come Nunzio Apostolico in Belgio nel 1843 a 33 anni.

In Belgio rimane tre anni. Deve risolvere intricati problemi diplomatici. Ma “pesano non poco nella maturazione del futuro pontefice i problemi della miseria operaia, e la conoscenza diretta dell’azione politica e sociale condotta dai cattolici nella vita politica del loro Paese”(F. Malgeri in Dizionario Biografico degli Italiani).

Richiamato in Italia e fatto Arcivescovo di Perugia, “la sua preoccupazione principale fu di preparare un clero capace di affrontare i nuovi compiti che i mutamenti politici e sociali imponevano”. La rivoluzione industriale, che aveva investito le nazioni occidentali e anche l’Italia del Nord, per decenni non toccò il Centro e il Sud italiani, perché in essi non nacque nessuna industria. Solo intorno al 1870 si cominciò intravedere per tutta la penisola un futuro industriale. In quegli anni (1870-78), gli ultimi che passò a Perugia come Arcivescovo e Cardinale, Gioacchino Pecci “manifestò particolare attenzione ai problemi sociali e alla questione operaia”.

Nel 1878 muore Pio IX, e Gioacchino Pecci diviene Papa col nome di Leone XIII. I problemi che deve affrontare sono molto spinosi, primo fra tutti quello dello Stato Pontificio, che è stato conquistato dall’esercito italiano nel 1870. Leone XIII (da più di mille anni) è il primo papa che non ha un territorio proprio, che si sente ‘prigioniero’ in quella Roma che per tanti anni è stata la città del Papa. Il primo problema che lo assorbe è la ‘indipendenza’ del Papa.

Poi, tra le tante questioni che sono sottoposte alla sua attenzione, c’è la “questione operaia”. Il Papa deve pronunciarsi? O deve lasciare il compito di coordinare l’azione sociale dei cattolici ai vescovi delle singole nazioni? Papa Leone esamina a lungo, forse troppo a lungo il problema. Consulta gli studiosi della questione sociale, i vescovi e gli uomini della Chiesa che sono sui luoghi della battaglia sociale (i cardinali Manning e Newman inglesi, il cardinale Gibbons statunitense, i cardinali Zigliara e Mazzella italiani, il gesuita padre Liberatore, gli studiosi laici delle Scuole Cattolico-Sociali di Liegi e di Friburgo). Leone XIII si convince che il problema drammatico della giustizia sociale è ormai un problema che coinvolge tutto il mondo occidentale. E il Papa deve intervenire come capo della Chiesa universale.



Rerum Novarum. Il 15 maggio 1891 Leone XIII pubblica l’enciclica (=lettera papale) RERUM NOVARUM, che ha nel mondo un’eco vastissima. L’enciclica traccia in maniera decisa la strada per la quale i cattolici si batteranno per la giustizia sociale. E’ la sintesi dell’azione e del pensiero sociale che i cattolici hanno elaborato e seguito negli ultimi 50 anni, ed è il primo documento che presenta ufficialmente la Dottrina Sociale della Chiesa. Na faccio qui una breve sintesi.

Il Papa inizia delineando la squallida condizione dei fratelli proletari, e le colpe dei padroni disumani: “Una piccolissimo numero di straricchi ha imposto uno stato di quasi schiavitù all’infinita moltitudine dei proletari”(RN 2)

Passa quindi a indicare i princìpi e i fondamenti della giustizia sociale. Ecco i sei princìpi fondamentali:

1.Tutti gli uomini hanno diritto alla proprietà privata di beni economici. Ma la proprietà privata ha una ‘funzione sociale’: opportune leggi devono far sì che la ricchezza non sia concentrata nelle mani di pochi, ma sia al servizio di tutta la società.

2. I Cristiani condannano il collettivismo e il socialismo che vogliono abolire la proprietà privata, e la vogliono abolire con la violenza. La proprietà privata deve rimanere come garanzia della dignità di ogni persona.

3. Il lavoro umano non è una merce che come le altre merci si può vendere e si può comprare. Il capitalismo che sostiene una simile idea, riduce l’uomo a livello degli animali. Il lavoro è un’espressione della persona umana, e la ricompensa di questo lavoro deve dare all’uomo la possibilità di vivere come persona, dotata di una famiglia, di bisogni culturali e spirituali.

4. Il compito dello Stato non è solo quello di proteggere la proprietà privata, ma anche quello di tutelare le classi più deboli, con una legislazione sociale che impedisca ogni sfruttamento della persona umana.

5. Quando l’azione degli individui e delle società private non è sufficiente a proteggere la famiglia, l’infanzia, la moralità pubblica, lo Stato deve intervenire per una efficace azione preventiva.

6. I Cristiani condannano la lotta di classe, ma riconoscono il diritto dei lavoratori a riunirsi in associazioni per difendere i loro diritti e rivendicare una vita più umana e più giusta.

Destarono una grande impressione le parole con cui il Papa illustrava il 3° principio:

“Dei capitalisti, poi, e dei padroni, questi sono i doveri: non tenere gli operai in luogo di schiavi, rispettare in essi la dignità dell’umana persona, nobilitata dal carattere cristiano.

Agli occhi della ragione e della fede non è il lavoro che degrada l’uomo, ma anzi lo nobilita col metterlo in grado di vivere con l’opera propria onestamente; quello che è veramente indegno dell’uomo è di abusarne come di cosa a scopo di guadagno. (…).

Defraudare la dovuta ricompensa è colpa così enorme che grida vendetta davanti a Dio. “Ecco, la ricompensa degli operai… che fu defraudata da voi, grida. E questo grido ha ferito le orecchie del Signore degli eserciti” (Gc 5,4).

Da ultimo è dovere dei ricchi non danneggiare i piccoli risparmi dell’operaio né con violenza né con frodi né con usure palesi o nascoste; questo dovere è tanto più rigoroso , quanto è più debole e mal difeso è l’operaio e più sacrosanta la sua piccola sostanza”. (RN n 17-18).

Centro di tutta la Rerum Novarum è ‘il rispetto dell’uomo e della sua dignità’.

Sarà sempre il centro della Dottrina sociale della Chiesa.


Sette encicliche e un libro sviluppano il messaggio di Leone XIII

Nei 100 anni che seguirono la Rerum Novarum, man mano che mutavano i tempi e le situazioni, i Papi scrissero sete nuove encicliche sociali. Esse aggiornavano e sviluppavano il messaggio di Leone XIII. Indicavano ai cristiani nuove vie per continuare a promuovere i diritti del lavoro e dei lavoratori.

Il 15 maggio 1931 Pio XI pubblicò Quadragesimo anno.

Giovanni XXIII pubblicò Mater et Magistra il 15 maggio 1961.

Paolo VI pubblicò Populorum progressio il 26 marzo 1967 e Octogesima adveniens il 14 maggio 1971.

Giovanni Paolo II pubblicò tre encicliche sociali: Laborem exercens,(1981), Sollicitudo rei socialis(1987), Centesimus annus(1991).

La Rerum Novarum e le sette encicliche sociali che l’hanno seguita costituiscono la ‘Dottrina Sociale della Chiesa’. Essa è condensata nel libro pubblicato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace: Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, (Libreria Editrice Vaticana, 2004).

Nelle pagine che seguono presento le figure dei due ultimi papi, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Poi, dal Compendio della Dottrina Sociale, trascriverò in linguaggio facilissimo, il fondamentale capitolo sesto, Il Lavoro Umano.

Giovanni Paolo II, il papa che fu operaio (testo in 4 pagine)
1940, secondo anno della devastante seconda guerra mondiale. La Polonia è occupata dalle armate tedesche di Hitler. Lo studente universitario Karol Wojtyla (20 anni) lavora alla cava di pietre di Zakrzòwek. Scriverà: “Per evitare la deportazione in Germania, nell’autunno del 1940 cominciai a lavorare come operaio in una cava di pietre collegata con la fabbrica chimica Solvay gestita dai tedeschi. Ricordo il ritmo uguale dei martelli, le scariche elettriche che tagliavano le pietre… Ero presente quando, durante lo scoppio di una carica di dinamite, le pietre colpirono un operaio e lo uccisero. Ne rimasi profondamente sconvolto. Sollevarono il corpo, Da lui ancora emanava fatica e un senso di ingiustizia”. Vide poco dopo la moglie distrutta dal dolore, il viso attonito del loro bambino.

Karol aveva perso sua sua madre quando aveva 9 anni. Il 18 febbraio 1941, una giornata di freddo polare, “tornando dal lavoro trovai mio padre morto… Lo scoppio della guerra mi aveva sradicato dagli studi e dall’ambiente universitario. La morte di mio padre mi staccò dall’ultima persona della mia famiglia. Mi sentivo sradicato dal terreno sul quale fino a quel momento era cresciuta la mia umanità. E in quei momenti si manifestava sempre più una luce: il Signore vuole che diventi sacerdote. Era come un’illuminazione interiore, che portava in sé la gioia e la sicurezza di una vocazione. Questa consapevolezza mi riempì di una grande pace interiore”.

Il suo Arcivescovo, Adam Sapieha, punto di riferimento per la gente sofferemte della sua città, lo accettò tra i suoi seminaristi clandestini. Gli consigliò a continuare il lavoro da operaio, e contemporaneamente lo inserì in una rete di studi (con un pofessore che gli faceva scuola nel tempo libero) e di aiuto cristiano ai ricercati dai tedeschi, rifugiati nei sotterranei dell’arcivescovado.

Nella notte del 18 gennaio 1945 i russi ‘liberarono’ Cracovia dai tedeschi. Sapieha disse a Karol: “Ti ordinerò prete al più presto. Poi ti manderò a Roma a studiare per due anni presso il Papa”.



A imparare italiano dai ragazzini di Roma. L’ordinazione sacerdotale avvenne il 1° novembre 1946. In quello stesso novembre don Karol partiva per Roma. Andava a imparare teologia nei grandi atenei romani, e lingua italiana negli oratori della città. Quella lingua popolare e scanzonata che gli sarebbe servita un giorno, quando si sarebbe affacciato alla balconata di San Pietro, divenuto Papa Giovanni Paolo II.

La Polonia è in quegli anni schiacciata dall’Armata Rossa e da un governo comunista e ateo, imposto dalla Russia.

Don Karol torna in patria nel 1949. Nel 1951 (ha 31 anni) si laurea e abilita all’insegnamento presso l’Università di Cracovia. Subito diventa insegnante nel seminario della sua città. Nel 1954 (mentre il governo arresta sacerdoti e vescovi, e condanna il cardinale Wyszynski a residenza coatta) come libero cittadino concorre e vince la cattedra di filosofia all’Università di Lublino. Il suo successo tra gli studenti universitari è notevole. Quel suo ‘sereno entusiasmo di essere prete’ calamita intorno a lui molti giovani. A Cracovia diventa assistente degli studenti e dei laureati.

Nel settembre 1958 don Karol (38 anni) è fatto Vescovo ausiliare di Cracovia. Diventa rapidamente il vescovo dei giovani e dei lavoratori. Organizza venti centri di vita cattolica studentesca, frequentati da 15 mila giovani. Il programma è intenso: studio serio della Bibbia, severe giornate di ritiro e di preghiera, tempo libero dedicato a gare sportive sui campi verdi, sui monti, sui laghi.

Nell’ottobre 1962 il vescovo Wojtyla è a Roma con tutti i vescovi del mondo per iniziare il Concilio Vaticano II, che rinnoverà il volto della Chiesa. Quando compie 43 anni, il Papa lo nomina Arcivescovo di Cracovia. Quando ne compie 47 lo fa Cardinale. Karol è uno dei più giovani cardinali della Chiesa.

Quando ha una giornata libera, la passa coi giovani. Quando lo fanno Cardinale e gli chiedono che regalo vuole, risponde: “Se proprio volete, compratemi un nuovo sacco a pelo. Quello che uso è tutto strappato”.

Nel 1978 muoiono due Papi: Paolo VI in agosto, Giovanni Paolo I (che gli è appena succeduto) in settembre.

Papa Giovanni Paolo II. La sera del 16 ottobre viene eletto papa Karol Wojtyla, che ha 58 anni e prende il nome di Giovanni Paolo II. Alla folla che gremisce piazza San Pietro e al miliardo e mezzo di persone che lo guardano sugli schermi della televisione quasi grida: “Aiutate il Papa a servire l’uomo e l’umanità intera. Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo. Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati, i sistemi economi come quelli politici, i vasti campi della cultura, della civiltà, dello sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa ‘cosa è dentro l’uomo’. Solo lui lo sa”.

Nel giugno del 1979, con il permesso concesso di malavoglia dal governo comunista, il Papa fa il suo primo viaggio in Polonia, la sua patria. E’ un trionfo per lui e per i cristiani: da un Paese oppresso per 34 anni dal comunismo ateo che ha cercato con ogni mezzo di sradicare la fede cristiana, è venuto il nuovo Papa, e le folle cristiane della Polonia gli decretano un trionfo oceanico, seguito in televisione da tutto il mondo. Per il comunismo è un colpo mortale. Dirà Gorbaciov, ultimo presidente della Russia comunista: “Tutto ciò che è accaduto nell’Europa dell’Est in questi ultimi anni (cioè il crollo inaspettato del comunismo) non sarebbe stato possibile senza la presenza di questo Papa”.

Da questo momento la vita del Papa si riempie di avvenimenti previsti e non previsti.

Con una serie di 248 viaggi in 129 nazioni diverse, porta la parola di Gesù in gran parte del mondo.

Il 21 maggio 1981, in Piazza San Pietro, il misterioso Alì Agca gli spara tre colpi di rivoltella. Il Papa rimane in fin di vita per diverso tempo. Organizzato dai servizi segreti dell’Est, quell’attentato è ancora avvolto nel mistero, ma molti vi hanno letto l’estremo tentativo del comunismo di eliminare il suo grande nemico.

Nel novembre 1989 insieme a tutto il mondo occidentale, il Papa vede in televisione la demolizione del ‘muro di Berlino’, inizio dello sgretolamento del comunismo in tutti i Paesi dell’Est, tra cui la sua Polonia. Un operaio di Mosca davanti alle telecamere, agita un cartello dove è scritto il motto di Marx corretto dopo 141 anni: “Proletari di tutto il mondo, perdonateci!”.

Il Papa vede però con pena nascere in Occidente, dopo la minaccia del comunismo, un consumismo egoista e pagano che cerca di ‘materializzare’ il mondo, mentre i più poveri e i più deboli sono emarginati.

Sette orizzonti per l’umanità. Nel centenario della Rerum Novarum scrive l’enciclica Centesimus annus, in cui richiama energicamente i cristiani e tutti le persone di buona volontà a realizzare un ordine nuovo di giustizia sulla terra.

La Centesimus annus (1991) è la terza enciclica sociale di Giovanni Paolo II. L’hanno preceduta la Laboren exercens (1981) e la Sollecitudo rei socialis (1987). In queste tre encicliche, specialmente nella terza, il Papa spinge la famiglia umana verso sette nuovi orizzonti. Eccoli:

GIUSTIZIA SOCIALE. La produzione economica non è il bene supremo. Il bene supremo è la dignità della persona umana. Occorre quindi preoccuparsi dei bisogni di tutti: disoccupati, malati, handicappati, masse miserabili del Terzo Mondo. Questo è, per i Cristiani e le persone di buona volontà, il nuovo concetto di ‘giustizia sociale’.

SOLIDARIETA’. La grande famiglia umana è una. Siamo membri del grande corpo dell’umanità: o funzioniamo tutti insieme o non funzioniamo affatto. Dobbiamo quindi considerare gli interessi di tutti come ‘nostri interessi’. Questo significa ‘sentirsi solidali’.

DESTINAZIONE UNIVERSALE DELLE RISORSE TERRESTRI. Dalla solidarietà, pensata specialmente alla luce della fede (che ci dichiara fratelli) deriva la destinazione universale delle risorse a disposizione di tutta l’umanità. Alla luce di questo principio, le risorse non-rinnovabili della Terra (il petrolio, il patrimonio forestale, l’acqua del mare, l’aria dell’atmosfera) devono essere considerate patrimonio di tutta l’umanità. E’ un’idea audace, ma la sola che può salvare il mondo da catastrofi future.

SCELTA PREFERENZIALE DELLA CHIESA PER I POVERI. Fondata sulla tenerezza speciale di Gesù e dei profeti per i poveri, ripresa nel Concilio Vaticano II, questa preferenza non significa esclusione di nessuno, ma un’attenzione concreta e speciale verso i fratelli e le sorelle più fragili.

PROMOZIONE DELLA PACE. La Dottrina sociale della Chiesa non si restringe ai problemi economici e sociali. Solo una pace giusta può garantire la vita umana sulla terra. La Chiesa contemporanea riconosce il diritto alla legittima difesa, ma sottolinea con vigore che la guerra è il mezzo più barbaro e più inefficace per risolvere i conflitti. Occorrono mezzi non violenti: negoziati, mediazione dell’ONU.

DIGNITA’ DI OGNI ESSERE UMANO. La Chiesa cattolica si impegna con ogni energia alla difesa dei diritti umani, contro ogni forma di razzismo, di violenza, di sfruttamento.

ECOLOGIA. L’ecologia è diventata una delle più grandi preoccupazioni del mondo. Quando Dio ha detto alle prime persone umane: “Sottomettete la terra” (Genesi 1,28), non ha detto “Distruggetela”. Ha detto “Governatela, gestitela”. Qualunque altra interpretazione è aberrante. Dobbiamo non solo salvaguardare la terra, ma trasmetterla migliorata alle generazioni che seguiranno.

Nelle meravigliose ‘Giornate mondiali della gioventù, Giovanni Paolo II radunò intorno a sé milioni di giovani, a Manila e a Parigi, a Roma e a Toronto. Disse loro: “Voi siete la nuova generazione del mondo. Voi lo costruirete nella giustizia e nell’amore”.

Scosso, e negli ultimi tempi devastato dal ‘morbo di Parkinson’, sentì dal letto dove moriva i canti e le chitarre dei ‘suoi’ giovani affollati in piazza San Pietro, e sorrise per l’ultima volta. Poi, raccolto in Dio, disse in un soffio brevissimo “Amen”. Terminava così una vita simile a una preghiera, durata 85 anni. Era la sera del 2 aprile 2005.


BENEDETTO XVI (testo in 4 pagine)


Joseph Rarzinger nacque a Marktl am Inn, paesino della Baviera, il 16 aprile 1927. Il giorno dopo era domenica di Pasqua, e fu battezzato solennemente nella chiesa parrocchiale. Era il terzo figlio di Joseph, commissario della gendarmeria, e di Maria Peintner (italiana altoatesina), che lavorava come cuoca ed aveva una fede cristiana solida come le montagne. Fece lei per prima scuola di catechismo a Georg, Maria e Joseph, i suoi tre bambini.

Joseph sciverà: “Ricordo sempre con grande affetto la profonda bontà di mio padre e di mia madre, bontà che significa anche capacità di dire ‘no’, perché una bontà che lascia correre tutto non fa bene”.

Quando papà viene trasferito per motivi di lavoro nella cittadina di Traunstein, sul confine dell’Austria, la famiglia lo segue. Joseph ha 11 anni quando il governo della sua nazione, in mano al dittatore nazista Hitler, scatena la prima clamorosa persecuzione contro gli ebrei. Il ragazzino rimase sbigottito davanti alle devastazioni portate senza motivo contro i negozi degli ebrei. Scriverà: “La Chiesa era il luogo delle nostre speranze. Essa era il polo di opposizione all’ideologia distruttiva della dittatura nazista”.

Nel 1939, a dodici anni, Joseph entra nel Seminario minore. Gli è nato nel cuore il desiderio di diventare prete.

Nello stesso anno, il 1° settembre, Hitler getta la Germania (di cui la Baviera è una regione) nella seconda guerra mondiale. I primi mesi vedono vittorie brillanti dell’esercito tedesco, ma poi le cose cambiano. Nel 1943 la Germania subisce sconfitte pesanti sul fronte russo, e i soldati tedeschi uccisi sono un numero enorme. Hitler ordina l’arruolamento dei giovanissimi.

Joseph Ratzinger ha appena compiuto i 16 anni quando in Seminario arrriva anche per lui l’ordine di arruolamento. Deve presentarsi “nel cortile davanti alla scuola per essere trasportato insieme agli altri al posto di combattimento”. Riceve la divisa militare ed è assegnato alla difesa antiaerea. Per due anni il giovanissimo Joseph Ratzinger lavora come soldato nelle retrovie.



Nell’aprile del 1945 la Germania di Hitler vive gli ultimi giorni prima della sconfitta. Joseph, ferito, ha una grossa bendatura al braccio. E’ molto vicino a casa, e poiché nessuno gli dà ordini, decide di tornare in famiglia.

Pochi giorni dopo i soldati americani occupano la Baviera. Rastrellando le case arrestano il soldato Ratzinger e lo portano in campo di prigionia tra il filo spinato.

Vi rimane solo per 15 giorni, poi torna in famiglia ringraziando Dio di aver attraversato la guerra senza aver mai dovuto sparare un colpo. Nel novembre di quel 1945 è di nuovo in Seminario, a riprendere i suoi studi.

Viene ordinato Sacerdote il 29 giugno 1951, a 24 anni.

Continua gli studi di teologia all’Università di Frisinga, dove si laurea nel 1953 e raggiunge la libera docenza nel 1957. Nei vent’anni seguenti (1957-1977) ha una vita serena di docente universitario e di scrittore di libri di teologia. Rivela una intelligenza profonda e ordinata, un talento veramente raro. Nel 1959 è chiamato a insegnare all’Università di Bonn, e il Cardinale di Colonia lo chiama a partecipare, come suo ‘consigliere teologico’, al Concilio Vaticano II. Dal 1966 insegna alla famosa e antica Università di Tubinga, e dal 1969 a quella di Ratisbona. Diventa in Germania uno degli ingegni più conosciuti e ammirati. Il suo libro ‘Introduzione al Cristianesimo’ diventa il catechismo degli intellettuali che vogliono avvicinarsi seriamente alla religione cristiana.

Papa Paolo VI, negli anni del Concilio, ha ammirato la sua intelligenza profonda e ordinata. Vicino alla morte, vuole mettere nei punti chiave della Chiesa persone sagge e sicure nella fede. Nel 1977, un anno prima di morire, nomina Joseph Ratzinger Arcivescovo di Monaco di Baviera, e un mese dopo lo crea Cardinale.

Per Ratzinger, uomo di studio che ormai ha compiuto 50 anni, è una nomina inaspettata e una responsabilità completamente nuova. Tuttavia obbedisce. Monaco è una diocesi con un milione e mezzo di cristiani, e Rarzinger sarà il loro Arcivescovo a servizio pieno.

Nell’agosto-settembre del 1978 muiono a Roma due Papi: Paolo VI e Giovanni Paolo I. Ratzinger partecipa a entrambi i conclavi. La sera del 16 ottobre viene eletto il cardinale di Cracovia Karol Wojtyla, che prende il nome di Giovanni Paolo II.

Nel 1981 il nuovo Papa chiama Ratzinger a dirigere l’organismo più delicato del governo centrale della Chiesa: la Congregazione per la difesa della fede. Dopo soli quattro anni deve lasciare i cristiani di Monaco, con cui ha ormai stretti vincoli di amicizia. Ma come sempre obbedisce al Papa e si trasferisce a Roma.

Per 24 anni egli vive a fianco del Papa, e lo aiuta nel compito più importante di ogni successore di Pietro: essere maestro nella fede di tutti i cristiani del mondo. Accenno all’opera principale che in questo campo compie Ratzinger. Dopo il Concilio Vaticano II (terminato nel 1965) è rimasta una certa confusione nella mente di molti fedeli. Su molte verità della fede, ci sono dei teologi che pensano e insegnano cose diverse. Il peccato originale, l’Immacolata Concezione della Madonna, l’infallibilità del Papa, la presenza reale di Gesù nell’Eucarestia, e tante altre verità, persino la Risurrezione di Gesù che nella Sacra Scrittura è detta ‘fondamento della nostra fede’, sembrano diventati argomenti di libera discussione.



Il Catechismo della Chiesa Cattolica. Il cardinale Ratzinger, in stretta collaborazione col Papa, raduna silenziosamente il parere di tutti i Vescovi del mondo (i Successori degli Apostoli), presiede una commissione di teologi esperti e saggi, e traccia con loro il Catechismo della Chiesa Cattolica, dove ogni verità della fede è annunciata e insegnata con l’autorità del Papa. E’ un lavoro formidabile, che confluisce in un libro di 788 pagine e viene pubblicato nel 1992. Da questo momento, chiunque voglia sapere che cosa insegna la fede cristiana sull’Eucarestia, la Madonna, il Giudizio di Dio, il Paradiso, lo Spirito Santo, il matrimonio, la sofferenza… trova la risposta nelle pagine del Catechismo della Chiesa Cattolica, ordinate dalla intelligenza profonda e limpida del cardinale Ratzinger.

Giovanni Paolo II, dopo un lungo pontificato durato 25 anni, si spegne il 2 aprile 2005. Il cardinale Ratzinger, che ha ormai 77 anni, partecipa al terzo conclave della sua vita, e viene eletto Papa il 19 aprile 2005.

Prende il nome di Benedetto XVI, e si presenta ai cristiani di tutto il mondo con queste semplici parole: “Dopo il grande papa Giovanni Paolo II, i signori cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore”. E’ il 265° papa nella storia della Chiesa.

Il punto sulla Dottrina sociale. Nella sua prima enciclica intitolata Dio è amore pubblicata nel Natale 2005, ha dedicato alcune pagine a fare il punto sulla Dottrina sociale della Chiesa. Ecco la pagina principale:

“Il sorgere dell’industria moderna ha dissolto le vecchie strutture sociali e con la massa dei salariati ha provocato un cambiamento radicale nella composizione della società, all’interno della quale il rapporto tra capitale e lavoro è diventato la questione decisiva, una questione che sotto tale forma era prima sconosciuta. Le strutture di produzione e il capitale erano ormai il nuovo potere che, posto nelle mani di pochi, comportava per le massi lavoratrici una privazione di diritti contro la quale bisognava ribellarsi.

E’ doveroso ammettere che i rappresentanti della Chiesa hanno percepito solo lentamente che il problema della giusta struttura della società si poneva in modo nuovo.

Non mancarono pionieri: uno di questi fu, ad esempio, il Vescovo Ketteler di Magonza. Come risposta alle necessità concrete sorsero pure circoli, associazioni, unioni, federazioni e soprattutto nuove Congregazioni religiose, che nell’Ottocento scesero in campo contro la povertà, le malattie e le situazioni di carenza nel settore educativo.

Nel 1891 entrò in scena il magistero pontificio con l’Enciclica Rerum Novarum di Leone XIII. Vi fece seguito, nel 1931, l’Enciclica di Pio XI Quadragesimo anno. Il beato Papa Giovanni XXIII pubblicò, nel 1961, l’Enciclica Mater et Magistra, mentre Paolo VI nell’Enciclica Populorum progressio (1967) e la Lettera apostolica Octogesima adveniens (1971) affrontò con insistenza la problematica sociale, che nel frattempo si era acutizzata soprattutto in America Latina. Il mio grande Predecessore Giovanni Paolo II ci ha lasciatop una trilogia di Encicliche sociali: Laborem exercens (1981), Solecituto rei socialis (1987) e infine Centesimus annus (1991).

Così nel confronto con situazioni e problemi sempre nuovi, è venuta sviluppandosi una dottrina sociale cattolica, che nel 2004 è stata presentata in modo organico nel Compendio della dottrina sociale della Chiesa, redatto dal Pontificio Concilio Iustitia et Pax.

Il marxismo aveva indicato nella rivoluzione mondiale e nella sua preparazione la panacea (=rimedio universale) per la problematica sociale: attraverso la rivoluzione e la conseguente collettivizzazione dei mezzi di produzione – si asseriva in tale dottrina – doveva improvvisamente andare tutto in modo diverso e migliore. Questo sogno è svanito.

Nella situazione difficile nella quale oggi ci troviamo anche a causa della globalizzazione dell’economia, la dottrina sociale della Chiesa è diventata un’indicazione fondamentale, che propone orientamenti validi bel al di là dei confini di essa: questi orientamenti – di fronte al progredire dello sviluppo – devono essere affrontati nel dialogo con tutti coloro che si preoccupano seriamente dell’uomo e del suo mondo.(…)

Il giusto ordine della società e dello Stato è compito centrale della politica. Uno stato che non fosse retto secondo giustizia si ridurrebbe a una grande banda di ladri, come disse S.Agostino” (Deus caritas est, n 26-28).


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