Dottrina sociale della chiesa



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C. IL DOVERE DI LAVORARE


Non siamo esonerati dal lavoro - Nessuno deve vivere a spese degli altri -

Vivere il lavoro con gli stessi atteggiamenti di Gesù
(264)Anche se siamo consapevoli della brevità della vita, non siamo esonerati dai nostri impegni nella vita di ogni giorno, tanto meno dal lavoro. Esso è una

componente fondamentale della vita umana, pur non essendo lo scopo della vita.



Nessun cristiano, per il fatto di appartenere a una comunità fraterna e solidale, deve sentirsi in diritto di non lavorare e di vivere a spese degli altri. Ce lo ricorda l’apostolo Paolo nelle sue Lettere ai Tessalonicesi. Egli continua: tutti devono farsi ‘un punto d’onore’ nel ‘lavorare con le proprie mani in maniera da non aver bisogno di nessuno’, e tutti devono essere solidali anche materialmente, condividendo i frutti del proprio lavoro con ‘chi si trova in necessità’.

San Giacomo, nella sua Lettera che nella Bibbia viene subito dopo le Lettere di Paolo, difende i diritti del lavoratori sfruttati: “Voi non avete pagato gli operai che mietono nei vostri campi: questa paga rubata ora grida al cielo, e le proteste dei vostri contadini sono arrivati fino agli orecchi di Dio, il Signore onnipotente” (capo 5).



I credenti devono vivere il loro lavoro con gli stessi atteggiamenti di Gesù, e renderlo una testimonianza cristiana di fronte a chi non crede.
I Padri della Chiesa consideravano il lavoro come ‘un’attività umana’- Mediante il lavoro, la persona umana governa il mondo - Il Cristiano è chiamato a lavorare anche per aiutare le persone più povere
(265)I pagani che vivevano al tempo di Gesù, consideravano il lavoro come ‘un’attività degli schiavi’. I primi grandi scrittori cristiani chiamati Padri della Chiesa, invece, lo consideravano ‘un’attività umana’, e onoravano il lavoro in ogni sua espressione.

La persona umana, mediante il lavoro, governa il mondo insieme con Dio, insieme a Lui ne è il signore (cioè il padrone), e compie cose buone per sé e per gli altri. L’ozio fa male alla persona umana, l’attività invece fa bene al suo corpo e al suo spirito.

Il Cristiano è chiamato a lavorare non solo per procurarsi il pane, ma anche per aiutare le persone più povere. Il Signore comanda di dare ad esse da mangiare, da bere, da vestire, di dar loro accoglienza, cura e assistenza (Vangelo di Matteo 25). Sant’Ambrogio afferma che ogni lavoratore è la mano di Gesù che continua a creare e a fare del bene.

Il lavoro rende più bello il creato - Suscita energie sociali e comunitarie -Si trasforma in preghiera


(266)Con il suo lavoro e la sua laboriosità, la persona umana partecipa alla saggezza e all’arte divina: rende più bello il creato, il cosmo già originato dal Padre.

Suscita inoltre quelle energie sociali e comunitarie che alimentano il bene comune soprattutto a vantaggio dei più bisognosi.

Il lavoro umano, vissuto cristianamente e con occhio attento alla carità, diventa occasione di contemplazione, si trasforma in preghiera, in dominio forte degli istinti, in serena speranza del giorno senza tramonto. (…)

II. IL PAPA, COME PROFETA, PARLA NELLA RERUM NOVARUM
La storia umana è un cammino tra conquiste e sfruttamenti - La ‘rivoluzione industriale’ porta profondi cambiamenti al lavoro - Nella ‘rivoluzione industriale’ c’è il buco nero dello sfruttamento - Papa Leone XIII indica le linee di soluzione
(267)La storia umana è un cammino continuo verso il progresso. Essa ha visto esaltanti conquiste del lavoro, ma anche sfruttamento di tanti lavoratori e offese verso la loro dignità. Il periodo che scorre dalla fine del 1700 ai giorni nostri, e che vede la nascita e lo sviluppo delle fabbriche, viene chiamata ‘rivoluzione industriale’. In questo periodo la Chiesa ha visto la situazione tragica dei lavoratori, e il Papa e i Vescovi sono tornati ad essere Profeti che parlano a nome di Dio. Per difendere la persona umana che lavora, hanno affermato con forza le verità e i diritti che devono essere rispettati in ogni tempo e in ogni luogo.

Nei secoli precedenti, l’umanità ricavava i mezzi della sua sussistenza dal lavoro agricolo. La sua vita era segnata dal ritmo regolare delle stagioni e degli anni. Il Magistero della Chiesa (=il Papa e i Vescovi) portavano il Vangelo a questa grande società agricola.

Con il nascere e il progredire della Rivoluzione Industriale, il Vangelo doveva essere annunciato a una gente che cambiava rapidamente. Essa viveva in un ambiente tumultuoso, segnata da eventi nuovi (lotte sociali, emigrazioni, guerre…). La vita umana veniva trasformata dalla tecnica in maniera che mai prima si era pensato.

Il popolo di Dio guidato dai suoi pastori (cioè la Chiesa) dovette affrontare il grande e urgente problema della questione operaia, cioè lo sfruttamento dei lavoratori. Questo sfruttamento era la conseguenza della organizzazione del lavoro inventata dal capitalismo. Inoltre le gravi ingiustizie esistenti nel mondo del lavoro venivano usate dal comunismo e dal socialismo come uno strumento per portare alla rivoluzione. Questo era un secondo problema che la Chiesa doveva affrontare.

Davanti a questi due gravi problemi, papa Leone XIII fu il profeta che diede al popolo di Dio le verità e le riflessioni contenute nella sua lettera-enciclica ‘Rerum Novarum’.

(I Papi scrivono i loro grandi pronunciamenti in lettere scritte in latino, chiamate Encicliche. Esse prendono come titolo le prime due parole latine con cui iniziano. Le prime due parole della Enciclica di Leone XIII sono “Rerum novarum”, e così l’Enciclica di Leone XIII fu chiamata e si chiama ancora).
La RN è un’appassionata difesa della dignità dei lavoratori - Le iniziative che cercarono di dare un volto cristiano alla società - Una notevole spinta al miglioramento del mondo del lavoro
(268)La Rerum Novarum è prima di tutto un’appassionata difesa della dignità dei lavoratori, A questa dignità dei lavoratori il Papa collega:

+l’importanza dei diritto alla proprietà privata,

+l’importanza della collaborazione tra le varie classi,

+l’importanza dei diritti dei deboli e dei poveri,

+l’importanza dei doveri dei lavoratori e dei datori di lavoro,

+l’importanza del diritto di associazione.



Gli orientamenti indicati dal Papa diedero forza alle iniziative che cercavano di dare un volto cristiano alla vita sociale. Nacquero e si rafforzarono così numerose iniziative di grande valore civile:

+unione e centri di studi sociali,

+associazioni, società operaie,

+sindacati, cooperative,

+banche rurali, assicurazioni,

+opere di assistenza.



Tutto questo diede una notevole spinta

+alle leggi riguardanti il lavori, per la protezione degli operai e specialmente delle donne e dei fanciulli,

+all’istruzione,

+al miglioramento dei salari e dell’igiene (dei luoghi di lavoro).


A partire dalla RN, il popolo cristiano approfondisce i problemi del lavoro - Giovanni Paolo II invita a considerare il lavoro ‘attività della persona’- Il lavoro condiziona lo sviluppo della famiglia e della società
(269)A partire dalla Rerum Novarum, il popolo cristiano con i suoi pastori (=la Chiesa) non ha mai cessato di approfondire e affrontare i problemi del lavoro umano. La ‘questione sociale’, intanto, si è estesa ad ogni popolo e ad ogni nazione.

Il papa Giovanni Paolo II, nella sua Enciclica ‘Laborem exercens’, spinge la riflessione cristiana a considerare sempre più il lavoro non solo come un oggetto, ma come ‘attività della persona umana’. Afferma che è necessario riflettere in profondità sui significati e sui doveri che emergono nella nostra mente quando consideriamo il lavoro come ‘attività della persona umana’. Dice: “Sorgono sempre nuovi interrogativi e problemi, nascono sempre nuove speranze, ma anche timori e minacce connesse con questa fondamentale dimensione dell’umano esistere, con la quale la vita dell’uomo è costruita ogni giorno, dalla quale essa attinge la propria specifica dignità, ma nella quale è contemporaneamente contenuta la costante misura dell’umana fatica, della sofferenza e anche del danno e dell’ingiustizia che penetrano profondamente la vita sociale, all’interno delle singole Nazioni e sul piano internazionale”.

III. LA DIGNITA’ DEL LAVORO UMANO
A. IL LAVORO PUO’ ESSERE VISTO COME ‘OGGETTIVO’ E COME ‘SOGGETTIVO’
Il lavoro può essere considerato come un oggetto - Il lavoro deve essere considerato specialmente come attività umana - La distinzione tra lavoro oggettivo e lavoro soggettivo è fondamentale
(270) Il lavoro può essere considerato come un oggetto (=lavoro oggettivo). In questo caso per lavoro intendiamo l’insieme delle attività, risorse, strumenti e tecniche di cui la persona umana si serve per produrre, per ‘dominare la terra’ (per usare l’espressione del primo libro della Bibbia). Tutto questo viene chiamato “la dimensione oggettiva del lavoro”.

Ma il lavoro deve essere considerato specialmente come l’attività della persona umana (=lavoro soggettivo). La persona umana infatti è un essere dinamico, capace di compiere azioni varie che insieme formano il lavoro. Tutto questo viene chiamato “la dimensione soggettiva del lavoro”.

Queste diverse attività fanno parte della ‘vocazione’ data da Dio alla persona umana. Scrive il papa Giovanni Paolo II: “L’uomo deve soggiogare la terra, la deve dominare, perché come ‘immagine di Dio’ è una persona, cioè un essere soggettivo capace di agire in modo programmato e razionale, capace di decidere di sé e tendente a realizzare se stesso. Come persona, l’uomo è quindi soggetto del lavoro”.



Il lavoro come oggetto (=dimensione oggettiva del lavoro)varia continuamente. I modi di lavorare dipendono infatti dalle condizioni della tecnica, della cultura, della società, della politica.

Il lavoro come attività della persona (=dimensione soggettiva del lavoro) ha un valore stabile. Il suo valore infatti non dipende dall’attività in cui la persona umana è impegnata, né dai risultati che raggiunge. Dipende solo ed esclusivamente dal fatto che chi lavora è una persona, cioè un essere dotato di dignità.

La distinzione tra lavoro oggettivo e lavoro soggettivo è fondamentale per comprendere il valore e la dignità del lavoro umano. I sistemi economici e sociali devono essere organizzati rispettando la dignità della persona e i suoi diritti.
Il lavoro umano ha una dignità particolare - Il materialismo e l’economicismo riducono il lavoro a strumento di produzione - La dimensione soggettiva del lavoro deve prevalere su quella oggettiva
(271)Il lavoro, come attività della persona umana, ha una dignità particolare: questa dignità impedisce che venga considerato come una semplice merce o uno dei tanti elementi dell’organizzazione produttiva.

Indipendentemente dal suo maggiore o minore valore oggettivo, il lavoro è un’attività della persona umana.



Il materialismo (che considera la persona come pura materia organizzata) e l’economicismo (che considera come unici valori quelli dell’economia: produrre, vendere, guadagnare), presenti nella società attuale in forme più o meno visibili, tentano di ridurre il lavoratore a uno dei tanti strumenti della produzione, a semplice forza-lavoro, con valore soltanto materiale.

Questi modi di pensare snaturano profondamente il lavoro umano, lo privano del suo aspetto più nobile e profondamente umano. La persona è la misura della dignità del lavoro. Afferma Giovanni Paolo II: “Non c’è infatti alcun dubbio che il lavoro umano abbia un suo valore etico, il quale senza mezzi termini e direttamente rimane legato al fatto che colui che lo compie è una persona”.



La dimensione soggettiva del lavoro deve prevalere su quella oggettiva. E’ una persona umana quella che lavora. Questo fatto determina il valore più alto del lavoro. Se manca questa convinzione, se non si vuole riconoscere questa dignità, il lavoro perde il suo significato più vero e profondo. Quando questo si verifica (e si verifica purtroppo molte volte e in molti luoghi), l’attività lavorativa e le stesse tecniche utilizzate diventano più importanti della persona umana stessa. Da alleate si trasformano in nemiche della sua dignità.
Il lavoro ha come fine la persona umana - Il lavoro è per la persona, e non la persona per il lavoro
(272)Il lavoro non solo è attività della persona, ma ha come fine la persona umana. Qualunque sia l’oggetto del lavoro umano, il suo fine dev’essere il bene del soggetto che lo compie. Non può certo essere ignorato l’oggetto che il lavoro deve produrre, ma questo oggetto deve servire al bene della persona.

Si può quindi affermare con verità che il lavoro è per la persona, e non la persona per il lavoro. Papa Giovanni Paolo II afferma ancora: “Lo scopo del lavoro, di qualunque lavoro eseguito dall’uomo – fosse pure il lavoro più ‘di servizio’, più monotono nella scala del comune modo di valutazione, addirittura più emarginante – rimane sempre l’uomo stesso”.
Il lavoro ha come fine anche il bene della società umana - Occorre tenere presente il valore sociale del lavoro
(273)Il lavoro ha come fine anche il bene della società umana. Il lavoro di una persona umana, infatti, si intreccia naturalmente con quello di altre persone. “Oggi più che mai –afferma Giovannni Paolo II – lavorare è un ‘lavorare con gli altri e per gli altri: è un fare qualcosa per qualcuno”.

Anche i frutti del lavoro danno occasione di scambi, di relazioni, di incontri. Per avere una giusta idea del valore del lavoro, occorre quindi tenere conto del suo valore sociale: “poichè se non sussiste un corpo veramente sociale e organico, se un ordine sociale e giuridico non tutela l’esercizio del lavoro, se le varie parti le une dipendenti dalle altre, non si collegano fra di loro e mutuamente non si compiono, se, quel che è di più, non si associano quasi a formare una cosa sola, l’intelligenza, il capitale, il lavoro, l’umana attività non può produrre i suoi frutti, e quindi non si potrà valutare giustamente né retribuire adeguatamente, dove non si tenga conto della sua natura sociale e individuale”(Papa Pio XI, Quadragesimo anno).
Il lavoro è un dovere della persona umana - Il lavoro è un obbligo morale verso il prossimo - Noi siamo i costruttori del futuro umano
(274)Il lavoro è anche “un obbligo cioè un dovere dell’uomo” (Giovanni Paolo II). La persona umana deve lavorare sia perché il Creatore glie l’ha ordinato, sia perché ogni persona ha esigenza di mantenersi e di svilupparsi.

Il lavoro è quindi un obbligo morale verso il prossimo, che è in primo luogo la propria famiglia, e poi anche la società a cui si appartiene, la Nazione di cui si è cittadini, l’intera famiglia umana di cui facciamo parte. Noi siamo eredi del lavoro delle generazioni che ci hanno preceduto, e insieme siamo costruttori del futuro di tutte le persone che vivranno dopo di noi.
Il lavoro ci rende simili al Dio Creatore - La persona umana non è ‘il padrone dell’universo’
(275)Il lavoro ci rende simili a Dio Creatore, ci fa creature fatte a sua immagine e somiglianza. Scrive Giovanni Paolo II: “Diventando – mediante il lavoro – sempre più padrone della terra, e confermando – ancora mediante il lavoro – il suo dominio sul mondo visibile, l’uomo, in ogni caso ed in ogni fase di questo processo, rimane sulla linea di quell’originaria disposizione del Creatore, la quale resta necessariamente e indissolubilmente legata al fatto che l’uomo è stato creato, come maschio e femmina, ‘a immagine di Dio’”.

Questo fatto dà al lavoro umano una qualità fondamentale: nell’universo l’uomo non è il padrone, ma colui al quale l’universo è stato affidato. E’ colui che con il proprio lavoro deve lasciare nelle cose l’impronta del Creatore, di cui è l’immagine.

B.I RAPPORTI TRA LAVORO E CAPITALE
Il lavoro è superiore al capitale - Con la parola ‘capitale’, si indicano diverse realtà - Occorre riflettere sui rapporti tra lavoro e capitale
(276)Il lavoro, come attività di una persona, è superiore ad ogni elemento di produzione. Questo vale specialmente nei riguardi del capitale.

Oggi, con la parola ‘capitale’, si indicano diverse realtà. Talvolta indica i mezzi materiali di produzione nell’impresa. Altre volte indica le somme di denaro impegnate in una iniziativa produttiva o in operazioni nei mercati borsistici.

Si parla anche (in modo non del tutto appropriato) di “capitale umano”, per indicare le ‘risorse umane’, cioè le persone umane stesse in quanto capaci di sforzo lavorativo, di conoscenza, di creatività, di intuizioni nel campo del lavoro, di intesa reciproca in quanto membri di un’organizzazione.

Si parla di “capitale sociale” quando si indica lo sforzo di collaborazione

di un insieme di persone che investono insieme con fiducia reciproca.



Questa molteplicità di significati ci invita a riflettere su cosa può significare, oggi, il rapporto tra lavoro e capitale.
Priorità del lavoro sul capitale e necessità di collaborazione - Tra lavoro e capitale ci deve essere complementarità - Ci sono stati tempi in cui lavoro e capitale erano due classi sociali
(277)La dottrina sociale della Chiesa ha approfondito i rapporti tra lavoro e capitale, e ha messo in evidenza sia la priorità del lavoro sul capitale, sia la necessaria collaborazione di entrambi (=complementarità). Il lavoro ha una naturale priorità sul capitale. “Questo principio riguarda direttamente il processo stesso di produzione, in rapporto al quale il lavoro è sempre una causa efficiente primaria, mentre il ‘capitale’, essendo l’insieme dei mezzo di produzione, rimane solo uno strumento o la causa strumentale. Questo principio è verità evidente, che risulta da tutta l’esperienza storica dell’uomo”. Esso “appartiene al patrimonio stabile della dottrina della Chiesa” (Giovanni Paolo II).

Tra lavoro e capitale ci deve essere complementarità: è lo stesso processo produttivo a dimostrare

+la necessità della loro reciproca compenetrazione

+l’urgenza di dare vita a sistemi economici nei quali la lotta tra lavoro e capitale venga superata.

Ci sono stati tempi in cui, all’interno di un sistema meno complesso di quello di oggi, il ‘capitale’ e il ‘lavoro salariato’ non erano solo due fattori produttivi, ma due classi sociali. La Chiesa affermava che entrambi erano legittimi: “né il capitale può stare senza il lavoro, né il lavoro senza capitale” (Leone XIII).

E’ una verità che vale anche oggi, perché “è del tutto falso ascrivere o al solo capitale o al solo lavoro ciò che si ottiene con l’opera unita dell’uno e dell’altro; ed è del tutto ingiusto che l’uno arroghi a sé quel che si fa, negando l’efficacia dell’altro” (Pio XI).


Nei rapporti tra lavoro e capitale, la risorsa principale è la persona - Il mondo del lavoro sta scoprendo il valore del ‘capitale umano’ - Oggi la dimensione soggettiva del lavoro prevale su quella oggettiva
(278)Nei rapporti tra lavoro e capitale (soprattutto di fronte alle imponenti trasformazioni dei nostri tempi) si deve ritenere che la ‘risorsa principale’, ‘il fattore decisivo’ in mano alla persona umana è la persona stessa. “L’integrale sviluppo della persona umana nel lavoro non contraddice, ma piuttosto favorisce la maggiore produttività ed efficacia del lavoro stesso” (Giovanni Paolo II).

Il mondo del lavoro, infatti, sta scoprendo sempre più il valore del ‘capitale umano’ costituito:

+dalle conoscenze dei lavoratori,

+dalla loro disponibilità a tessere relazioni,

+dalle creatività,

+dall’imprenditorialità di se stessi,

+dalla capacità di affrontare consapevolmente il nuovo, di lavorare insieme, di raggiungere obiettivi comuni.

Si tratta di qualità prettamente personali, che appartengono più alla persona umana che agli aspetti tecnici, operativi del lavoro stesso.

Per tutto questo è necessaria una prospettiva nuova nei rapporti tra lavoro e capitale. Contrariamente a quanto accadeva nella vecchia organizzazione del lavoro, in cui il lavoratore finiva per diventare servo della macchina, oggi la dimensione soggettiva del lavoro tende ad essere più decisiva ed importante della dimensione oggettiva.
Il rapporto tra lavoro e capitale diventa spesso conflitto - Ieri il conflitto nasceva dal voler dare ai lavoratori il salario minimo - Oggi il conflitto ha aspetti nuovi
(279)Il rapporto tra lavoro e capitale diventa spesso conflitto, che assume caratteri nuovi con il mutare delle prospettive sociali ed economiche.

Ieri, il conflitto tra capitale e lavoro era originato soprattutto “dal fatto che i lavoratori mettevano tutte le loro forze a disposizione del gruppo degli imprenditori, e che questo, guidato dal principio del massimo profitto della produzione, cercava di stabilire il salario più basso possibile degli operai”

(Giovanni Paolo II).

Attualmente, il conflitto presenta aspetti nuovi e, forse, più preoccupanti. I progressi scientifici e tecnologici e la mondializzazione dei mercati (di per sé fonte di sviluppo e di progresso) espongono i lavoratori al rischio di essere sfruttati dagli ingranaggi dell’economia e dalla ricerca sfrenata di produttività.
Non è superata l’alienazione sul lavoro e nel lavoro - Esistono nuove forme sottili di lavoro sfruttato - Anche nei nuovi lavoro possono esserci elementi alienanti
(280)E’ sbagliato ritenere che il superamento della dipendenza del lavoro dalla materia sia capace di per sé di superare l’alienazione (=la perdita della propria personalità) sul lavoro e nel lavoro.

Ancora persistono tante sacche di non lavoro, di lavoro nero, di lavoro minorile, di lavoro sottopagato, di lavoro sfruttato.



Ma occorre pensare anche alle nuove forme, molto più sottili, di sfruttamento dei nuovi lavori:

+il super-lavoro,

+il lavoro-carriera che talvolta ruba spazio a dimensioni umane necessarie alla persona,

+l’eccessiva flessibilità del lavoro che rende precaria e a volte impossibile la vita familiare,

+la modularità lavorativa che rischia di avere pesanti ripercussioni sulla propria esistenza e sulla stabilità della famiglia.

La persona umana è alienata (=perde la propria personalità) quando la produzione è considerata più importante della persona. Ma anche nei nuovi lavori immateriali, leggeri, qualitativi più che quantitativi, ci possono essere elementi di alienazione “a secondo che cresca…il suo isolamento in un complesso di relazioni di esasperata competitività e di reciproca estraniazione” (Giovanni Paolo II).

C. IL LAVORO, MOTIVO VALIDO DI PARTECIPAZIONE
Il rapporto tra lavoro e capitale porta anche alla partecipazione - Il lavoro è motivo valido di partecipazione - E’ indispensabile trovare modi di partecipazione
(281)Il rapporto tra lavoro e capitale si esprime anche attraverso la partecipazione dei lavoratori alla proprietà, alla gestione dell’azienda, ai suoi frutti. Questa è un’esigenza troppo spesso trascurata. Occorre invece valorizzarla al massimo. “Ognuno, in base al proprio lavoro, abbia il pieno titolo di considerarsi al tempo stesso ‘com-proprietario’ del grande banco di lavoro, al quale s’impegna insieme con tutti. E una via verso tale traguardo potrebbe essere quella di associare, per quanto è possibile, il lavoro alla proprietà del capitale e di dar vita a una ricca gamma di corpi intermedi a finalità economiche, sociali, culturali: corpi che godano di un’effettiva autonomia nei confronti dei pubblici poteri, che perseguano i loro specifici obiettivi in rapporti di leale collaborazione vicendevole, subordinatamente alle esigenze del bene comune, e che presentino forma e sostanza di una viva comunità, cioè che in essi i rispettivi membri siano considerati e trattati come persone e stimolati a prendere parte attiva alla loro vita” (Giovani Paolo II)


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