S giovanni bosco


Usi e costumi degli antichi Italiani



Yüklə 1,47 Mb.
səhifə37/40
tarix11.07.2018
ölçüsü1,47 Mb.
#55043
1   ...   32   33   34   35   36   37   38   39   40

Usi e costumi degli antichi Italiani.
(70) Questa trattazione andò soggetta a qualche rimaneggiamento e a notevoli aggiunte di materia nell’edizione definitiva (VIII-1873), per opera di uno o più curatori ai quali l’A. n’aveva dato incarico. Furono pure riordinati o integrati i titoli degli articoli nei singoli paragrafi. Ma la bibliografia qui apposta vale soltanto per le modificazioni e aggiunte di tale edizione: il fondo, cioè la quasi totalità della trattazione parte dalle altre fonti indicate già nella I ediz. dall’Autore (cfr. ediz. I, 1856, pag. 172, n. I), che annotava: «Tettoni, Sunto di Storia Universale, e l’opera Storia Romana ad uso della Gioventù (ch’è appunto il più volte citato anonimo del Marietti), Goldsmith, Rollin, ecc.». - Delle nuove fonti non fu adoperato, a dir vero, che il Donini, edito già nel 1852 (prefaz. 20 ottobre 1852), ma ancora ripubblicato nel 1877 e dopo. Le altre citazioni sono di seconda mano. Purtroppo, anche con tutte codeste innovazioni, questa parte dell’opera non ci ha guadagnato per nulla, senza che l’intenzione dell’Autore possa più scusare le fallacie della materia.

La trattazione primitiva è sostanzialmente condotta nella forma e nel testo sull’anonimo del Marietti (che termina il volume con gli Usi e Costumi dei Romani), inserendovi qualche notizia presa dal Tettoni (pag. 295-97); pag. 305-330; pag. 375, 425). - Il ricalco sull’anonimo è spesse volte molto prossimo all’originale, e se nell’ediz. definitiva appare un po’ meno, ciò deriva dai ritocchi stilistici dei curatori. Notiamo, ad ogni buon fine (e possiamo affermarlo con sicurezza) che non si violava con ciò la proprietà letteraria: il libro modello, qui, come in tutto il resto, era già a sua volta una compilazione francese molto fedele ai testi da cui derivava, e che, per un eccesso di reverenza, avremmo potuto citare, invece di questo, come usati dall’Autore. Basta pensare al Brevarium antiquitatum romanarum di Cristoforo Cellario, al Vastet, Introduzione alla scienza delle antichità romane, e a quel Compendio delle antichità romane allora in uso nelle scuole, di cui principalmente si valse il Tettoni. D’altra parte il nostro Autore era così buon amico del Marietti, che questi gli dava a rivedere per la ristampa quei volumi appunto dei quali Egli si serviva per l’opera sua (cfr. Mem. Biogr., IV, 135).

Per ragioni ovviamente pratiche crediamo dover seguire, in questa parte del lavoro, il testo dell’ediz. definitiva, salvo a tornare alla lezione primitiva nei tratti superstiti delle edizioni precedenti là dove la variante verbale non importa novità di notizie o cambiamento di concetto. Parimenti non stiamo a segnalare tutte e singole le variazioni e aggiunte, ma solo le più importanti e maggiori; tanto meno si è pensato a rettificare la materia, che esulava dal nostro scopo.
(71) Notiamo subito, una volta per sempre, la singolare frequenza delle etimologie, quasi tutte aggiunte in ediz. VIII, così come sono, sulla scorta del Donini: le poche altre si trovavano già nel Tettoni. Di tali etimologie varroniane (introdotte per lo più col quasi, venuto di prammatica nientemeno che dai tempi di Varrone! Cfr. Grammaticae Romanae fragmenta, collegit, recensuit Higinus Fumasoni, Lipsiae, Teubnerian. 1907: Grammaticae Varronianae fragm.), etimologie che a noi, corazzati di glottologia e linguistica modernissime, potrebbero far pena, non s’ha da far addebito al nostro Autore, come di scienza troppo antiquata. Eran d’uso corrente nelle scuole di cinquant’anni fa (ne ho personale memoria), e le troviamo tali e quali nell’edizione del Donini del 1877 dedicata al bar. Antonio Manno e rimasta in uso per anni.

Del presente paragrafo la materia viene in gran parte dal Marietti (ediz. cit., 197-200): di questo è l’idea che i cavalieri formarono il nerbo degli eserciti romani. - Notevoli aggiunte dell’VIII ediz.: poteri del Re (Tettoni); sedi delle adunanze senatorie; proconsolato,o edilità (salvo l’ultimo periodo); varianti esplicative a questura e tribunato.

La VIII ediz. ha omesso (a torto) il capoverso introduttivo della trattazione: «Siccome gli usi ed i costumi degli antichi Italiani ci sono in grande parte sconosciuti, e quel poco che ne sappiamo ha strettissima relazione colla Storia Romana, così noi ci limiteremo a notare l’ordine civile de’ Romani fino dai primi tempi di Roma». Ciò dava ragione del titolo generale della trattazione.
(72) Dal Tettoni, pag. 314-18, la materia nelle prime cinque edizioni (salvo Àuguri e Arùspici, da Marietti, pag. 215). Nella VIII ediz. furono inserite le etimologie varroniane (quella di àuguri preesisteva) prese dal Donini, e l’art. Confessione dei peccati da Atto Vannucci, citato.
(73) Il paragrafo nella redazione primitiva è materiato principalmente dal Tettoni e dal Marietti. L’art. Nomi dei mesi, da Tettoni, 292, nota 14, e quanto ai nomi proprii, da Donini, ediz. 1852. Le notizie sul Calendario Giuliano e Gregoriano, in VIII ediz., dal Donini. L’art. Calende, none, idi, da Marietti, 201-2, fu ampliato in VIII ediz. con le etimologie ragionate. L’art. Nomi dei giorni è estratto da Tettoni, loc. cit., dove è derivato dal Vastet: così l’art. orologi, pag. 378. Il resto è del Marietti.

(74) La fonte qui è una sola, il Marietti, trasferito quasi integralmente. Solo in VIII ediz. all’artic. Legioni si modificarono le cifre e si aggiunse la divisione dei quadri, come altrove le equivalenze delle misure antiche in misure moderne.


(75) Nella IV edizione fu sdoppiato un paragrafo intitolato: Altri usi e costumi degli antichi Italiani, formandone il paragrafo presente e il successivo con qualche notizia in più. - Per il presente paragr. il breve testo delle edizioni primitive modellato sul Marietti (pag. 202-3) con qualche poco di nomenclatura ed equivalenze francesi e vecchie piemontesi, fu nell’ediz. VIII rifatto ed ampliato con aggiunta di molta materia e di un articolo (Superficie), con molteplici nomenclature e con le equivalenze delle misure metriche: il tutto seguendo il Donini. - Ma la nomenclatura è troppa per lo scopo del libro, e i rapporti numerici (cfr. per es. misure di lunghezza) inesatti e incoerenti. Riconosciamo che il rifacimento è infelice e che Don Bosco avrebbe fatto meglio di sua mano. E volentieri avremmo tenuta la prima redazione se non avessimo stabilito di tenerci alla definitiva (cfr. n. 70).
(76) Gli artic. Giuochi e gladiatori, Giuochi scenici, Leggi, Arti, vengono dalle edizioni primitive e coincidono col Marietti. Nell’art. Leggi, tra il primo periodetto e le notizie sulle primissime leggi («Le leggi romane erani poche, etc.») fu inserita in ediz. VIII la storia della legge Agraria e delle Dodici

(77) La materia degli artic. Alfabeto e numeri, Prime scritture, Tavolette, Pergamene, Papiro, Stenografia, Lingua osca, Lingua latina, è un’aggiunta dell’ediz. VIII, compilata sul Donini e su altri manuali, per uso scolastico (i Programmi del tempo prescrivevano le Notizie di antichità romane). Nell’art. Lingua latina sopravvivono i tre periodetti dell’edizione primitiva (art. Scienze) che alludono al sorgere e fiorire della Letteratura latina e al secolo d’oro. La notizia ivi soggiunta dell’invenzione della stenografia attribuita a Cicerone, è mutata e trasportata altrove.


(78) Paragrafo rimasto immutato e ricalcato sul Marietti, variando di poco la notizia del lusso dei banchetti e del triclinio.

EPOCA TERZA


L’Italia nel Medio Evo.

(*) PRELIMINARE. - L’Epoca Terza era in 38 capitoli nella I edizione e riuscì di 43 nella definitiva. A differenza delle due prime Epoche, in questa parte della sua Storia l’A. ha tenuto sott’occhio qualcuna delle fonti maggiori, come il Muratori e il Baronio, oppure lavori più solidi e almeno non popolareggianti, come il Ricotti (questo sempre presente come guida e controllo), l’Henrion-Bercastel e altri. Cosicché accade più sovente di non poter assegnare il modello diretto e immediato a certi tratti, che sono dunque materiati d’idee e notizie provenienti da letture più forti, e non sono ricalcati su alcun autore. Inoltre la maggiore accuratezza di certe parti sembra essere il frutto di conversazioni e consigli, od anche di una revisione, d’uomini dotti, tra i quali Amedeo Peyron e Luigi Cibrario, e il vecchio professore di Don Bosco, D. Pietro Banaudi. Ciò non vuol dire che l’Autore disdica le antiche amicizie: quando può torna al Lamè-Fleury e ai volumi del Marietti; anzi introduce nella compagnia il buon Giannetto del Parravicini, al quale sembra dare una preferenza talvolta immeritata.


(79) Il capitolo I, oltre alle prime notizie di comune dominio, prendeva nella I edizione qualche spunto dal Giannetto, poi modificato nelle edizioni successive; di poi (Odoacre e S. Severino) dall’Henrion (a. 474), e finalmente (episodio della batt. di Verona) dal Lamè-Fleury, La Storia del Medio Evo raccontata ai fanciulli, vers. dal francese, vol. I, pag. 21-22. - Pel resto, cfr. Ricotti.
(80) La I ediz. qui ispirata al Giannetto, diceva: «... si contentò del titolo di re, dignità che corrisponde a quella di dittatore». Il cambiamento avvenne già nella II edizione.
(81) Materia prossima a questo capitolo dànno il Ricotti (S. Epifanio, Boezio) e l’Henrion (a. 525): quest’ultimo specialmente per la storia di Papa Giovanni I.
(82) Per la maggior parte di questo capitolo siamo in presenza d’una fonte sconosciuta ai più, il Pelazza, che forse l’A. avrebbe seguito più sovente, se glielo avesse consentito la eccessiva stringatezza di questo succosissimo compendio tascabile del Muratori. La differenza del tessuto è presto sentita. ­ Dal Bercastel (vol. VIII, ediz. cit.) vengono le notizie benevole su Totila, ricalcate in parte letteralmente (anche Muratori fa di Totila, come già di Teodorico, un re virtuoso e grande, benefico e rispettoso degl’Italiani). L’incontro di Totila con S. Benedetto è ricalcata su Bercastel, VIII, 3-4, così come si può leggere in Muratori o nel Baronio: giacché tutti attingono alla medesima fonte, citata anche (al modo del Bercastel!) dal nostro Autore Gregorio M., Dial. 2. Più precisamente: Dialog. lib. II (Vita S. Patris Benedicti), cap. XIV-XV (cfr. Migne, Patr. Lat., LXVI, 160-162).
(83) La prima parte del capitolo è modellata sul Ricotti, qua e là alquanto abbreviato. Le notizie sull’invasione dei Franchi, dal Pelazza, cit., donde pure proviene il cenno sull’opera di Narsete in Italia e sulla sua morte. Ma la notizia della pietà di Narsete (un po’ strana per molti!) viene dal Baronio, (a. 553, XVIII, seg. Evagrio), ed è del resto ripetuta dal Bercastel, VIII, 6. Anche il capitolo seguente cominciava (I ediz.): «Alla morte del pio Narsete». - La nota favola del richiamo di Narsete è in Paolo Diacono (De Gest. Lang.. I, 5) e la ricordano tutti gli autori. La durata di 78 a. invece di 63 del dominio Goto, rinchiude anche i 15 a. del dom. Bizantino. È una svista di computo, non mai corretta.
(84) A questo capitolo dà materia pei primi 5 periodi il Giannetto: poi sottentra il Lamé-Fl. (cap. Alboino re dei Longobardi) seguito or più or meno davvicino.
(85) Trattazione ricalcata sul Ricotti, in qualche punto trasferito senz’altro. Naturalmente è omessa la circostanza del bacio di Autari. - Tra il terzo e il quarto periodo della prima edizione, venne inserito fin dalla II ediz. il lungo tratto sul regime dei Longobardi (qualche correzione in VIII ediz.) attinto dal Ricotti e da altri testi, allora (1859) divenuti numerosi e un po’ meglio redatti: in ciò seguendo il programma ministeriale (cfr.: Il Programma Ministeriale di Storia e Geografia per le scuole secondarie analiticamente esposto, etc., negli esami di Magistero. Torino, Franco, 1858; pag. 78-79). - Il testo primitivo riprende con: «Alla morte di Clefi, etc.»
(86) Il modello è Ricotti, con alcune notizie derivate altronde: si sente l’uso del Muratori (vol. III, pag. 537) e del Moroni, op. cit., art. Corona ferrea. Su questo punto il Nostro segue opinioni rigettate dal Moroni, da cui deriva però il racconto di S. Elena. Le accenna anche il Muratori, il quale però (vol. IV, 9) parla di tre corone: l’una di ferro (o del ferro), di cui dubita; l’altra, detta di Teodolinda; la terza di Agilulfo, con iscrizione dicente che il Re la offre a S. Giovanni. Di qui l’interferenza delle notizie. Si noti che l’A. dopo il 1859, nella III-IV-V edizione avrebbe dovuto dire che la Corona si conservava allora a Vienna, e non lo fece. Nel ‘66 venne restituita, ma la V edizione era già uscita.

Il punto della contemporaneità tra la coronazione d’Agilulfo e l’elezione di Papa Gregorio Magno è reso in varia maniera dalla I alla V edizione invertendo l’ordine dei due membri. L’ediz. VIII sopprimeva tale notizia, conservando le sole parole dell’elevazione di Gregorio M. al Pontificato. Noi abbiamo restituito il testo sulla V ediz. ancorché la notizia sia incongruente. Ricotti dice: nello stesso anno. - Invece l’A intende male la sua fonte dicendo che S. Gregorio «si portò in persona alla corte di Agilulfo». Il Ricotti dice: «si procurò il modo d’intervenire nella corte di Agilulfo».

Due correzioni. La I ediz. diceva in principio: «andò ad incontrarlo fino alla terra di un certo Lomello, etc.»: svista forse dell’amanuense, corretta in seguito, II edizione.

Ma non fu corretta questa: «... Agilulfo gli assegnò una cappella, dove ora è la città di Bobbio». E tutti (compreso Ricotti) hanno: una valletta.


(87) L’originario capo VIII si è sdoppiato nell’ediz. definitiva. Di esso restano della I ediz. il primo periodo e l’ultimo capoverso del presente. Tra essi era stato inserito fin dalla II ediz. un breve cenno su Rotari e l’Editto, che forma ora il secondo e terzo periodo del capitolo. Il resto fu introdotto nell’ediz. VIII (1873) in ossequio ai Programmi scolastici. Questa materia nuova viene da parecchi testi correnti in quegli anni, tra cui il Ricotti e lo Schiaparelli: salvo le osservazioni sui buoni uomini e sul duello, suggerite all’estensore (che probabilmente non è l’Autore) da letture più cattoliche o dettate da Don Bosco stesso.
(88) Con un raccordo di poche frasi si ripiglia qui la materia del capo VIII originario. Buona parte si modella sul Ricotti: la seconda metà (impresa di Esilarato e sèguito) dal Muratori, IV, a. 728-29. È strano che, con tali autorità tra mano, il Nostro abbia così debolmente accennato alle donazioni di Liutprando alla Chiesa (Muratori, IV, a. 742), d’importanza capitale per le origini del dominio temporale dei Papi, di cui trattasi nel capo seguente.
(89) DEI BENI TEMPORALI DELLA CHIESA E DEL DOMINIO DEL SOMMO PONTEFICE. - Il presente capitolo, rimasto invariato in tutte le edizioni, è frutto d’uno studio ben ponderato dell’Autore. Le correnti mazziniane e anticlericali che permeavano gl’indirizzi liberali del Risorgimento, i fatti di Roma del 1848-49, il moltiplicarsi di scritti antitemporalisti e antipapali, e il penetrare del settarismo anticlericale nei libri di scuola e perfino nei periodici di pedagogia (cfr. il Programma de L’EDUCATORE, giornale della pubblica e privata istruzione, anno I. fasc. I, Milano, 1850: sotto l’Austria!); tutto ciò doveva richiamare l’Autore ad approfondire l’argomento ed a farsene, se così si può dire, una coscienza chiara. Perciò non ricalco su alcun modello, ma idee ricavate da scritture molteplici.

Egli si vale del Moroni, op. cit., art. Roma e Sovranità dei Romani Pontefici (1854): questo secondo articolo, ricchissimo di bibliografia, è fonte delle notizie storiche e guida alle altre ricerche: dipoi soccorre la Civiltà Cattolica (anno I, fasc. VI, 1850; anno I, vol. III, 1850; anno II, vol. IV, 1851; anno IV, vol. IV, 1853, pag. 58-74). Altre fonti più remote, benché fondamentali, come il Borgia (1788) e l’Orsi (1742), non furono forse trascurate; ma già il loro contenuto era passato negli articoli della Civiltà Cattolica, e da questa nel Moroni, che ne dipende interamente, e n’è come un compendio. - Il De Maistre, Du Pape, è una fonte che diremo spirituale, non potendosi, per l’indole dei due libri, avverare derivazioni prossime di materia. Più stretta relazione ha con le idee del nostro A. il lib. II (Della Sovranità e Potere temporale dei Papi), particolarm. Cap. VI- VII. - Cfr. Disc. introd. pp. XXV-XXVI.

Notiamo, per seguire il metodo consueto: Cenno sulle oblazioni spontanee dei fedeli: Civ. Catt., a. II, vol. IV, art. II (1850-51) e Moroni, Sovranità, etc., pag. 274, 2a col.; Costantino trasferisce la capitale a Bisanzio e storia seguente: Moroni, Sovranità, etc., pag. 280 e seg.; Leone Isaurico e Gregorio II: art. Roma, pag. 236, 25 I, e Sovranità, pag. 286; possesso di Roma: Moroni, Sovranità, pag. 268 e seg. - Il parallelo singolarissimo con le Anfizionie (un cenno fugace è in De Maistre) è ispirato da Civ. Catt. (anno IV, 1853, Serie II, vol. IV) art.: Del diritto della Chiesa intorno al possesso di beni temporali, pag. 70. Il concetto un po’ esagerato che ne offre il nostro A., se non è storicamente esatto, è conforme ai testi di vecchio stampo, e, per un paragone, può servire. - Dal Salzano, Storia Ecclesiastica, cit., pag. 444, viene il parallelo cogli antichi Patriarchi: del resto questo capoverso e i due seguenti riassumono materia del Cattolico istrutto, scritto fin dal 1850 (cfr. postilla A).

Si noti la formulazione d’un principio nel 2° riflesso di chiusa. Può alla lontana essere stato ispirato da parole di Thurrot de la Rozière, citate in Civ. Catt., vol. III, art. II, pag. 95: ma il senso che vi mette Don Bosco è tutto suo. Questo principio è ancora ripetuto nella Storia Ecclesiastica (ediz. 1870): anzi Don Bosco lo riscrisse di sua mano sul copione destinato alla stampa (Cfr. Opere e Scritti, vol. I, Parte II, pag. 376, nota). Il che dimostra che l’ultimo capoverso è del tutto originale.

Non è fuor di luogo richiamar l’attenzione del lettore sul contenuto e la tessitura di tutto questo importantissimo capitolo. Scritto nel 1855, esso può ancora stare, ed anzi diviene tanto più vero e più solido, a chi bene lo intenda, dopo la Conciliazione. E fa onore a Don Bosco. (Cfr. infra, postilla A).
(90) Il presente capitolo non è che la prima parte dell’analogo cap. X (numerato IX per errore tipografico) dell’ediz. primitiva (Ultimi Re longobardi), diviso in due fin dalla Il edizione coi titoli convenienti. Il modello è Ricotti, con frequenti riporti verbali migliorati nello stile. Da notare: l° la seconda tregua di Astolfo era per 40 anni, non per venti: i correttori non vi badarono; 2° Il Ricotti dice che il Papa scongiura Pipino a soccorrerlo: il Nostro dice: «a portar soccorso agli oppressi Italiani»; 3° È il Papa che abbraccia e bacia il Re, non viceversa.

Notiamo, per chi consultasse la I ediz. (1856), che dal cap. IX in poi tutta la numerazione dei capitoli nell’Epoca Terza è arretrata di uno, essendosi per errore ripetuto il n. IX. Ma la numerazione dell’indice è giusta.


(91) L’esposizione segue fedelmente il Ricotti, qua e là abbreviando o inserendovi qualche particolare preso dal Casalis. L’ultimo capoverso, che corregge le esagerazioni nazionaliste dei libri di storia più in voga, fu aggiunto in VIII ediz. e mostra la maniera genuina dell’Autore, accostandosi all’analoga trattazione del Cattolico Istrutto (Cfr. sopra, nota 89, e la postilla A).
(92) Il capitolo è ricalcato quasi tutto, talvolta quasi letteralmente, sul Lamé-Fl., cap. Il secondo impero d’Occidente. Dal medesimo ma da altro capitolo (Gl’imperatori di Germania) derivano le notizie sul regime dell’Impero, e sul vassallaggio, già inserite nella II ediz. (cap. XII*), trasportandole dal cap. XII (= XIII) della I ediz. - Dal Ricotti la formola della proclamazione di Carlo imperatore; dal Bercastel (dal quale l’A. dissente nel resto) la nota sulla pietà di Carlo M.; dal Ricotti il cenno sui costumi.
(93) Il primo capoverso viene dal Tettoni, op. cit.; il resto dal Ricotti. Il cenno su Venezia fu introdotto già in II ediz. (cap. XIII). Il presente capitolo corrisponde alla prima metà del cap. XII dell’ediz. primitiva: diviso subito in due nella II ediz. (cap. XIII-XIV). - Il vocabolo scompartimento nel senso qui attribuito, era d’uso comune nei testi e nei Programmi del tempo.
(94) Cfr. nota prec. - Il capitolo segue Ricotti con qualche amplificazione. Dal Bercastel il cenno sulla Città Leonina; dal medesimo (ediz. cit., 1829. tomo X, lib. XXV, § 274-76) il Sacrilegio di Lotario. Ma qui il nostro Autore ha errato nell’attribuzione del fatto. Il sacrilego non è l’imperatore Lotario I. morto nell’855, bensì il figlio di lui, Lotario II, re di Lorena, morto l’a. 869, al tempo di Papa Adriano II. Per il consueto riserbo l’A. ha evitato di specificare quale fosse la questione e la colpa di re Lotario.
(95) Dal Lamé-Fleury (vol. I: Gl’imperatori di Germania) tutta la prima parte del capitolo, alla quale apparteneva pure il tratto inserito nel cap. XIII sulla feudalità, che molto naturalmente faceva seguito a quanto qui si è detto (e così stava nella I ediz.). - Dal Ricotti la battaglia del Brenta e la clemenza di Berengario verso Gilberto: nuovamente dal Lamé-Fl. il fatto di Flamberto, con ricalco assai fedele. Le vicende degli altri re, dal Ricotti: dal Bercastel la coronazione di Ottone.

Nell’VIII ediz. questo capitolo era un po’ alterato, e a ricondurlo alla propria forma guadagna di molto. Sembra che dalla metà di questo capitolo in poi sia sottentrata un’altra mano di curatore, più minuziosa e pedantesca.


(96) Il titolo primitivo (Venuta dei Normanni in Italia) preso dal Giannetto, fu completato nella III ediz. Così altrove. La prima metà del capitolo ha per sua fonte prossima il Ricotti (salvo una piccola notizia del Moroni), con riporti letterali frequenti (cfr. Penitenza di Ottone III e di Ardoino: Ricotti, 1854, I, 153). Nella II ediz. fu aggiunta la notizia sui Cavalieri. Il cenno sulla credenza millenaria e i pellegrini, da Lamé-Fl. cit., pag. 192; I Normanni al Gargano e a Bari, dal Giannetto, III, 85; la liberazione di Salerno dal Lamé-Fl., cit., pag. 192-94. - I ricalchi verbali sono frequenti.

In questo capitolo e nel seguente abbiam conservato, per comodo dei comuni lettori, qualche determinazione di date e di nomi inseriti in VIII ediz.


(97) Lo spunto iniziale è preso da Lamè-Fl., ma continua col Giannetto (cit., pag. 84). L’oppressione d’Amalfi e il sèguito, fino alla conquista definitiva dei principati longobardi, da Lamè-Fl., cit., pag. 196-203. Dal Giannetto il resto del capitolo.

Un aggiornamento riguardante il Regno delle Due Sicilie (I-III ediz.: «quale ancora si conserva oggidì, e che comprende, etc.») fu fatto in IV ediz. (1863).


(98) Il capitolo non appare ricalcato su d’un modello unico: vi si riconosce tuttavia la derivazione di alcuni passi. Dal Muratori, donde vengono (citando opportunamente la fonte, nel caso, non sospetta) i due termini di giusta e necessaria (a. 1076, pag. 248) per la scomunica di Enrico IV: qualche spunto (cfr. a. 1073, e 1076) e non più. - Il Ricotti è buona guida, e un periodo (la ritrosia di Enrico IV per la Comunione a Canossa) è preso letteralmente: così è seguito nel racconto della fine di Gregorio VII, e più nella fine di Enrico IV, dove il nostro A. ritorna, e questa volta con un esempio classico, sul suo principio del castigo storico dei persecutori della Chiesa e del Papa. - Il Moroni e il Voigt, ricordato nel testo, servono all’ultima parte del capitolo, dove pure fan capolino le impressioni personali e vive della resistenza dei Sovrani (specialmente Austriaci e austriacanti) al culto di S. Gregorio VII. L’opera del Voigt (cfr. Bibliografia) servi certamente a quanti trattarono poi di Gregorio VII, e se non fosse stata troppo voluminosa, poteva servire al nostro A., che mostra di conoscerla e averla percorsa. E più prossimamente avrebbe potuto accennare la vera fonte spirituale del suo pensiero, il Du Pape del De Maistre, lib. II, Cap. VII, art. 3 (cfr. Disc. introd., XXV-XXVI), donde poteva attingere espressioni molto efficaci sulla nota d’italianità che s’innesta a quella vitalissima lotta. Il non averlo fatto proviene da riguardi speciali a lui imposti dal1a gravità dell’ora, come forse da personale delicatezza deriva l’aver omesso anche solo un cenno della grande donna italiana, Matilde di Canossa.

Alcune notizie, ormai dimostrate fallaci, erano allora in voga, e si possono leggere in ogni libro, anche di parecchio tempo dappoi: per es. che Ildebrando sia figlio d’un legnaiuolo.

L’ultimo capoverso fu aggiunto già nella II ediz. e completato con l’inciso «podestà e capitani del popolo» in VIII ediz.
(99) Capitolo interamente ricalcato sul Lamè-Fl. (Medio Evo: vol. II, capitoli: Pietro l’Eremita - I primi Crociati - Gerusalemme liberata), ora abbreviando, ora riassumendo, ora trasferendo fedelmente passi abbastanza lunghi (cfr. l’elenco dei capitani e il capoverso finale). Frequenti i riporti verbali, specialmente (si noti) nei trapassi da punto a punto. Il Lamé-Fl. a sua volta ricalca pagine intere sul Michaud, Hist. des Croisades (1830), vol. I, si che potremmo quasi prendere questo per fonte diretta del Nostro. C’era infatti l’ediz. ital. dell’Ambrosoli (Milano, Fontana) in 4 vol., 1831.
(100) Il titolo è preso dal Lamè-Fl., e del resto c’era quello del Tasso. Il primo e l’ultimo capoverso sono, naturalmente, originali.

La fonte è ancora il Lamè-Fl., cap. Gerusalemme Liberata, maneggiato come per il capitolo precedente. L’arrivo dei Crociati, l’episodio del Cavaliere al M. Oliveto, sono trasferiti integralmente. - E ancora dalla fonte principale è tratto il riflesso sul1’esito del1e susseguenti crociate. Il cenno sulla modestia di Goffredo eletto re, è della VIII edizione.



Il Lamè-Fleury considera la Crociata soltanto come impresa francese, e non nomina il Tasso, pur così noto in Francia (le Tasse!). Ma certi tratti (per es. la prima vista di Gerusalemme) potrebbero dirsi la prosa delle ottave del poema. Ed è naturale; egli ricalca il Michaud (lib. IV) che riporta le pagine dei cronisti sui quali il Tasso ha costrutto il suo racconto: diciamo di Roberto il Monaco, lib. IX, cap. I; e per Tancredi (Michaud, lib. IV) cfr. Raoul de Caen, n. CXIV.
(101) Come i precedenti, il capitolo è modellato sul Lamè-Fl., vol. II, cap.: Venezia, Genova e Pisa. Originali sono le ultime riflessioni sull’immoralità del duello, e l’applicazione che se ne fa ai giovani rissosi.
(102) Fonte è il Giannetto, ediz. cit., pag. 91-99, salvo il primo ritratto del Barbarossa, ch’è del Bercastel, dal quale pure è riassunto poco più sotto in un capoverso l’accordo tra il Papa e Federigo. Il resto è ricalco fedele, con leggerissime varianti verbali. Curioso: il Parravicini, funzionario imperiale dell’Austria, parla in. disteso, e non in bene, del Barbarossa: il Lamè-Fleury, francese, non ne dice verbo. - La descrizione del Carroccio è pure del Giannetto, ma preso da altro capitolo (pag. 83). Anche la conclusione morale viene dalla stessa fonte. Entrambi gli Autori miravano allo stesso scopo.
(103) La prima parte (Lega Lombarda, Legnano) viene dal Muratori (cfr. op. cit., a. 1167, 1168, 1173, 1176) e si riconosce non dalle sole linee del racconto e dal carattere delle notizie, ma dalle coincidenze verbali. Attenti dunque a rifar l’italiano al Muratori! - In mezzo al tessuto Muratoriano v’è un periodo tolto al Giannetto (pag. 98) per dire dei 5 anni di lotta. La cronologia qui è spostata. - Di Legnano la descrizione è di Ricatti, ma Don Bosco invece di milanesi mette quei prodi Italiani. - Torna Muratori coi riflessi e il volgersi del Barbarossa alla pace: nel grande Storico con senso anche più religioso. Il resto è del Bercastel, lib. XXXVII, § 135-137 con ampi trasferimenti. Le notizie dell’Assedio d’Ancona e della tregua di Venezia, sono della II ediz. - La VIII v’ha messo la data.
(104) Dal Lamè-Fl., vol. II, cap.: Isacco l’Angelo (ed. cit., pag. 75-87). I due primi capoversi dal cap.: Venezia, Genova e Pisa, pag. 63. Il cenno su gli Ordinamenti di Venezia e Consiglio dei Dieci, dal Ricotti; per la II ediz.­ Il biasimo al Dandolo è dell’VIII ediz., come pure l’inciso in fine, da noi chiuso in parentesi. Qualche puerilità di espressione (il tragitto, etc.) viene dalla fonte.
(105) Di un lungo tratto di questo capitolo («... Enrico sesto... Corrado lasciò...») si possiede l’originale autografo (Arch. Cap. Sal., Orig. 837) di cui diamo pure il facsimile. - Fonti diverse. Dal Lamè-Fl. (vol. II, cap. Guelfi e Ghibellini, pag. 98-99) la descrizione della carta politica d’Italia; dal Giannetto (ediz. cit., pag. 90) le notizie sui Guelfi e Ghibellini; poi dal Lamè-Fl. (loc. cit., cap. Manfredi, pag. 108) i cenni su Enrico VI e i principii di Federico II. - L’autografo dimostra in qual modo si contenesse l’Autore davanti alla sua fonte.

Sottentra Muratori (op. cit., a. 1226): ma il tratto su Ezzelino fu aggiunto in II ediz. - Il seguito del racconto è intonato al Muratori, colla guida del Pelazza. - La storia di Manfredi (a cominciar dalle origini feudali del regno) è tuttavia desunta dal Lamè-Fl., cap.: Manfredi, pag. 109-115.


(106) Dal Lamè-Fl., vol. II, cap. Manfredi, pag. 115-117, Il8, e cap.: La morte di Corradino, pag. 120-127. - Tutte le simpatie del Lamè-Fl. sono per Corradino, e l’odiosità per Carlo d’Angiò. Don Bosco omette la scomunica, la Crociata, omette pure il tradimento dei Frangipani, come pure le cose odiose del re francese. Corradino ha il torto d’essere contro il Papa. - Dal supplizio di Corradino in poi la fonte è il Giannetto, pag. 111-112. Il racconto del Vespro (la data 1281 fu corretta in 1282 solo in VIII ediz.) è preso letteralmente, perché il Giannetto sa esprimersi col dovuto riserbo. La fonte omette la circostanza dell’uccisione del francese: la I ediz. aggiungeva: lo uccise, che nelle ediz. seguenti divenne fu ucciso (!). L’VIII ediz. ha restituito il vero. - Invece la notizia su Giovanni da Procida è tolta dal Pelazza, vol. II, pag. 119, che ha fornito qua e là qualche notizia più concreta. - La morale è del Giannetto, pag. 112. Il capoverso finale sul nuovo ordinamento popolare di Firenze, è, come si vede, un’aggiunta postuma, della II edizione.
(107) I capitoli XXVIII-XXIX sono le due parti in cui fu diviso l’originario capo XXIV (XXV) fin dalla III ediz. (1861). - Il cap. XXVIII è materiato dal Lamé-Fl. e ricalcato su esso. Le notizie (un po’ troppo semplicette) sulle origini del commercio e sul commercio genovese vengono dal cap. Venezia, Genova e Pisa, cit., pag. 67-68; Le rivalità con Pisa, pag. 130. ­ Solo nell’VIII ediz. fu corretto lo svarione dei copisti, che diceva: «... Genova... per lo spazio di cinquantaquattro anni» invece di cinquecento. Così invece di Maccabei, del popolo ebreo, fu sostituito Tullo Ostilio e il popolo romano, nel primo uso della moneta.
(108) Il racconto della guerra da Lamè-Fl., cap. La torre della fame, pag. 130 e seg. Poche notizie (patti con Firenze; usurpazione del Conte Ugolino) dalle solite fonti scolastiche. - Il resto (episodi di tirannide, la tragedia della torre) viene dal Giannetto, pag. 121-122, con fedelissimo ricalco verbale.

La menzione di Dante (con rispetto, alquanto povera!) è anche in Lamè-Fl., che, pure essendo francese, si attiene nel racconto della tragedia al nostro poeta (ne reca un verso) e lo nomina meglio.

Il riflesso finale è originale.
(109) Le notizie generali e quelle su Cimabue seguono il Moroni. - Il Giotto viene dal Giannetto, cit., pag. 113-117, con molta aderenza al modello.
(110) Il cenno sulle origini della lingua va riferito alle teorie predominanti circa la metà del secolo scorso. Salvo l’idea erronea, ma assai comune, che la della cosiddetta corruzione del latino debba attribuirsi ai barbari che lo dovevano parlare, il fondo consuona con l’esposizione del Cantù, St. Univers., lib. undicesimo, cap. XXVIII, e più prossimamente con St. degl’Italiani: Append. I, dei parlari d’Italia, dove (§ II) ricorre l’esempio qui addotto dalla trasformazione della parlata. - Ma poiché l’appendice del Cantù non era ancora apparsa quando Don Bosco scriveva, bisogna rifarsi alla fonte comune, o meglio, alle conversazioni coi dotti di Torino. - Il resto appartiene alle Storie Letterarie più comuni. Da tali storie letterarie provengono alcune poche notizie storiche su Dante; ma, strano a dirsi, fra tanta letteratura, l’A. non ha trovato buono che il povero Giannetto, cit., pag. 126-131. A questo deve attribuirsi la tenuità troppo elementare e pedestre della trattazione.

Di Don Bosco è però il forte biasimo a Dante per la ribellione alla patria, e l’accenno al carattere morale. Dell’VIII ediz. è la spiegazione della morale del poema. - Le parole pesanti sono facilmente un errore di copista (non mai corretto!): il modello, qui seguito alla lettera, dice parole pensate (pag. 131).

Che poi la figura morale e politica di Dante appaia in una luce meno favorevole, non deve scandalizzare nessuno. Negli anni appunto in cui il Nostro scriveva, Carlo Troya, l’autore del Veltro e di altre scritture d’argomento Dantesco, doveva difendersi dell’aver detto qualche cosa di ben più forte, deplorando in lui «un fiorentino che abusò dell’ingegno in favore dello straniero», e «sospirò e chiamò in Italia lo straniero, più che non abbian fatto e chierici e papi». (Cfr. BENEDETTO CROCE, La storiografia in Italia, etc., cit., in La Critica, anno XIV (1916), fascic. I, pag. 5: da lettera inedita di C. Troya); e nél 1871 il Tommaseo (Storia civile nella letteraria, Torino, Bocca, pag. 206) rincarava la dose, e si che parlava contro il più celebre demolitore di Dante, che fu il Bettinelli. Recentemente poi Giovanni Papini, in Dante vivo (1933), ha ben confermate (non discutiamo se con ragione o no) le note di bizzarro e di vendicativo che Don Bosco attribuisce al Divino Poeta. E si ricordi che il Nostro sapeva Dante a memoria.
(111) La prima parte (Corso Donato - Il Duca d’Atene) sul Giannetto, pag. 127, 133-34. - La seconda parte (Guarnieri e la Gran Compagnia) dal Ricotti, con frequenti riporti verbali.

Invece di Piacenza leggi Faenza, come giustamente sta nell’autografo.

(112) Il racconto si modella su fonti ignote, non certo di prim’ordine (Nogaret non fu un generale, ma un giurista; di Cola di Rienzo manca l’ultima fase e la fine). Degli autori consueti, solo il Lamè-Fl. ha un capitolo: Rienzi, da cui deriva poco più d’un inciso (pag. 190, ed. cit.); il resto non fu rilevato dal nostro A. - Tuttavia si riconosce che le notizie su l’elezione di Clemente V, i motivi della traslazione, lo stato di Roma nell’assenza dei Pontefici, derivano dal Salzano, Corso di St. Eccl., lib. XVI, § 9. - Nella sua Storia Eccles. (ediz. 1845-48) della traslazione della Sede Pontificia in Avignone non si parla, salvo un fugace accenno a proposito di S. Caterina da Siena. Nell’ediz. del 1870 fu aggiunto per questo un breve paragrafo.

L’edizione II aggiunse, seguendo Ricotti, le notizie su Uguccione della Faggiuola, Ludovico il Bavaro e Castruccio Castracane.

Un tratto notevole (da: «La storia ci fa perfettamente conoscere...» a «Per tanti mali» si conserva in autografo) (Arch. Cap. Sal.; Orig. 837).
(113) Per il Boccaccio, cfr. Giannetto, cit., pag. 135-36. - Per il Petrarca, ibid., pag. 137-38. - La descrizione dell’incoronazione viene dal De Sade, vol. II, pag. 1-4, e principalmente dall’apocrifa Lettera di Sennuccio del Bene a Can della Scala, ivi riportata e discussa alla Nota XIV (pag. 5-9 delle Notes). Certi particolari sono pure in Cronaca di Ludovico Monaldeschi (1338-1341) presso Muratori, Rerum Ital. Script., XII, 560; già riportati dal De Sade.
(114) L’Henrion-Bercastel (Lib. 45) forma il fondo del racconto. L’edizione VIII aggiunge il ricordo di S. Caterina da Siena. - La lettera del Petrarca (Petrar. Ep. Rer. Senil., lib. VII) è presa dalla traduzione italiana della traduzione francese del Bercastel, con parecchie omissioni. Il viaggio di Urbano V a Roma è ricalcato assai prossimamente sulla detta fonte. Anzi l’ingresso di Gregorio XI è preso letteralmente, citando la fonte. Sono originali i riflessi sui danni dell’assenza del Papa dalla sua sede Romana, certo ispirati dai fatti recenti del 1848-49. Di questo capitolo esiste l’originale, scritto d’altra mano ma corretto da Don Bosco nel quadernetto conservato in Orig. 837. - Ivi è indicata, in margine, la fonte: «Henrion, volume 6, lib. 49» (ma è lib. 45, pag. 121).
(115) Il capitolo fu aggiunto nell’ediz. definitiva (VIII ediz., 1873), e si rivela fattura d’altra mano, diciamo cosi, più dotta, vigilata dall’A., che certamente diede il tono familiare all’inizio del racconto. Ma il resto, pur essendo nella sua corretta compiutezza abbastanza chiaro e piano, è tutt’altra cosa dal fare narrativo ed umile, proprio di Lui e dei modelli da Lui preferiti. Non vi è, per es., il solito «che si chiamava» opp. «di nome» premesso anche a nomi storici celebri ed importanti. Crediamo fuor di luogo cercare le fonti.
(116) Per la Storia di Casa Savoia l’A. si attiene fonti: il Cibrario, Storia della Monarchia di Savoia, principalmente a due che però S’arresta ad Amedeo VII, e l’Anonimo del Marietti: Compendio della Storia della R. Casa di Savoia, Torino, 1845 (vol. VII del Corso di Storia, cit.). Quest’ultimo era il Testo prescritto per il 3° Corso di Grammatica (III Ginnasiale) dal Decr. Minist. 4 setto 1855 che confermava il Decr. 4 febbr. 1852. Don Bosco lo conosceva troppo bene, avendone corretta un’edizione per conto del Marietti, nel 1850 (cfr. Mem. Biogr., IV, 135: Lettera 30 setto al Teol. Borel). Le due fonti - finché dura il Cibrario, - si alternano negli imprestiti. Ma il Cibrario è piuttosto fonte che modello.

Il presente capitolo, dopo un’introduzione ch’era stata soppressa in VIII ediz. contro il pensiero dell’A. e che noi restituiamo, parte dal Marietti (pag. 3-5), e continua (R.° di Borgogna e seg.) col Cibrario, letto e riassunto. La pietà di Adelaide (S. Pier Damiano) dallo stesso, vol. I, pag. 105. - Umberto II, id., 173. Ma nella Lettera di Anselmo l’ereditaria divozione deve rievocare la tradizionale fedeltà della famiglia di Anselmo, non del Conte (cfr. pag. 173, nota 3, dov’è citato il passo, II, 96). Da Amedeo 111 ad Amedeo IV, il Marietti, pag. 18-25. Ritorna Cibrario avvicendato con spunti del Marietti (pag. 32-34). Cfr. Cibrario, II, 65 e 81-83; II, lib. IV, cap. IV, 229-30; vol. III, lib. V, cap. I-II.


(117) Da Cibrario, op. cit., III, 110, 187, 193, la prima parte: la liberazione del Paleologo coll’assedio di Varna e seguito della guerra bulgara, ibid. 201, qui con ricalco verbale. - Dal Marietti, pag. 44, la continuazione. Qui la II ediz. aveva inserito con due periodi un cenno su Vittor Pisani, che poi fu tolto nella VIII ediz. per trattarne nell’apposito capitolo XXXVI. - Dalla conclusione della Pace di Torino alla fine è un alternarsi di tratti del Cibrario, pag. 207, e del Marietti, 45-47. Purtroppo il Cibrario non prosegue oltre Amedeo VII.

Il cenno su Gian Galeazzo Visconti, primo duca di Milano (manca un capitolo speciale di storia milanese) fu aggiunto in II ediz., completando con la notizia sulla morte in VIII ediz., e segue il Ricotti. Dell’VIII ediz. è la nota sul monumento di Torino al Conte Verde.


(118) Tutta la storia del Carmagnola è tolta dal Casalis, vol. III, 1836, ad nom. Ca magnola, pag. 618-625. Il ricalco, anche verbale, è visibile. - L’altro capitano, di nome Guido, è poi Guido Torello (Rorello è errore tipo non emendato).

La storia del Duca Amedeo VIII, da Marietti, pag. 53-56, anche nelle espressioni più edificanti.

Qui comincia una serie di capitoli molto alterati nella dicitura da uno dei curatori della VIII edizione.
(119) Il Ricotti serve di guida e modello. - Una svista ha fatto confondere Giacomo, con Nicolò Piccinino. Giacomo, nipote del grande Niccolò, al tempo della battaglia di Maclodio aveva 7 anni. L’errore è rimasto in tutte le edizioni.

Il periodetto dei nomi romanzeschi degli avventurieri è dell’VIII ediz. La nota in calce su Alberico da Barbiano, come pure il periodo sul trapasso di Napoli dagli Angioini agli Aragonesi, sono della II ediz.

Un frammento di questo capitolo (dalla storia di Muzio Sforza a «fecero una sortita e l’assalirono») è in autografo nel quadernetto già citato (Arch. Cap. Sal., Orig. 837).

Dell’altra metà del Capitolo (che poteva benissimo formare un capitolo a parte) la fonte è il Giannetto, pag. 147-151, con tratti notevoli riportati verbalmente. Da altre fonti la fine del Piccinino.

La storia di Casa Foscari, derivata dal Ricotti, fu aggiunta in II ediz.
(120) I primi due capoversi, e principalmente, dal Lamè-Fl.: da questo, pag. 234, l’uso dei cannoni, riportato. - Ma i correttori dell’VIII ediz. avrebbero dovuto raddrizzare qui la notizia degli Arabi che diventano Turchi. benché poi il Lamè-Fl., vol. II, 231-41, abbia narrato col suo fare attraente La presa di Costantinopoli, tuttavia la storia di quel fatto è modellata, con abbreviamenti qua e là, sul Bercastel, vol. XVIII, lib. LIII. Le conquiste ulteriori di Maometto, l’invasione della Carniola e Friuli, le prodezze di Carlo da Montone, lib. LV; i prodigi infausti, lib. LIV; l’impresa d’Otranto, etc., lib. LV.

Si noti l’errore del còmputo cronologico dalla fondazione di Roma alla caduta dell’Imp. d’Oriente: 752 + 1453 = 2205 (e non 2155). Questo si doveva correggere nella VIII ediz.!


(121) Salvo il primo inciso, venuto in II ediz. a guastare il senso con l’anacronismo, il resto viene dal Lamé-Fleury, Storia Moderna, vol. I, 21-31 (ediz. Milano, 1855), con parecchie omissioni e qualche riassunto e abbreviamento, ma con frequenti e notevoli ricalchi verbali (cfr. cap. Cosimo de’ Medici, e La congiura dei Pazzi). Si noti che Lamé-Fl è ottimista al sommo (i figli di Pietro seguono gli esempi del padre e dell’avo!); mentre il Giannetto rileva di Cosimo anche i torti e conclude poco favorevolmente. Ma in Toscana regnavano ormai i Lorena, ch’eran tutt’uno con Casa d’Austria.

L’osservazione sul sacrilegio dei congiurati è originale. - II Giannetto fa ricordare all’A. Pico della Mirandola (che la V ediz., sola, diceva cardinale) ma non gl’impresta nulla.


(122) I primi capoversi delle invenzioni, da varie fonti, tra cui Tettoni e Ricotti, con qualche amplificazione nell’ediz. VIII. - Dal cenno sull’invenzione della polvere in poi, il Lamè-Fl., Medio Evo, vol. II, pag. 228-230, con uno spunto del Giannetto, vol. I, pag. 236. - Il ricordo di Panfilo Castaldi è dell’VIII edizione.

Il capoverso conclusivo si ispira a Ricotti, ma si limita a tre soli spunti.

Una curiosità. Nella I ediz. una giornata di stampa equivale al lavoro di duemila scrittori; nella II-V, di diecimila; nell’VIII di trentamila. Quanti sarebbero adesso?

Nella sola V edizione (1866) al primo accenno all’invenzione della stampa era apposta una nota in calce per dire dell’introduzione della stampa in Piemonte, e specialmente a Mondovì, dove la casa dei Correntino passò ai Rossi, ancora esistenti allora. Viene dal Casalis. - La nota scompare nell’VIII edizione, sostituita dall’altra, che rassegna minutamente le prime stamperie delle varie città d’Italia nel sec. XV.


POSTILLA A


UNA TRATTAZIONE AFFINE AL CAPITOLO DEL DOMINIO TEMPORALE (Epoca Terza, cap. X).

Tra i primi libri che Don Bosco scrisse fin dal 1850 per approntar materia alle Letture Cattoliche allora da Lui ideate, e che cominciarono ad uscire nel Marzo 1853 (Cfr. Mem. Biogr., IV, 524), v’è pure un trattato popolare a dialogo intitolato: IL CATTOLICO ISTRUTTO intorno alla sua religione. - Trattenimenti di un Padre co’ suoi figliuoli. Esso è concepito per illuminare il popolo sulla dottrina cattolica particolarmente nei punti più attaccati dai protestanti e dagli altri avversari della Chiesa.

Il libro formò poi il primo fascicolo appunto delle Letture Cattoliche (Mem. Biogr., IV, 573) ed altri cinque usciti nello stesso anno; i quali tutti furono riuniti in un solo volume di 452 pagine. Questo fu ripubblicato con giunte e correzioni nel 1882 col titolo: Il Cattolico nel secolo (op. cit., IV, 572-74), ed ancora, per desiderio espresso in vita da Don Bosco, nel 19°3, pel cinquantenario delle Letture Cattoliche. I tre primi fascicoli della serie furono pubblicati anche in francese in due fascicoli; degli altri s’è perduto l’originale (Cfr. Arch. Capit. Sal., 85-IIb: Relazione di D. Gioachino Berto al Processo Diocesano). L’originale italiano si trova nell’Arch. Cap. Sal., Origino 837, e 87-F-VIII, in copia autenticata per il processo canonico.

In quella prima scrittura si trovano, fra l’art. XVII (I Valdesi) e altri due articoli non numerati (Precetti della Chiesa. - La Chiesa ha l’autorità di proibire i libri cattivi), coi quali si chiude la Parte II, si trovano, dico, tre articoli non numerati, dal titolo: Racconto istorico del dominio temporale dei Papi. - La Sacra Scrittura non è contraria al dominio temporale dei Papi. ­Alcune obbiezioni dei moderni contro al dominio temporale dei Papi.

Si noti che il lavoro, prima d’essere pubblicato, fu riveduto con qualche ritocco dall’amico Mons. Luigi Moreno, l’illustre e intraprendente Vescovo d’Ivrea (Mem. Biogr., IV, 527: Lettera di Mons. L. Moreno a Don Bosco, 4 agosto 1852).

Gli articoli accennati, di carattere schiettamente popolare, rispondono ad obbiezioni ed insinuazioni in voga al momento in cui l’A. scriveva. Egli imposta la trattazione così: «Una cosa per cui i Valdesi, i Protestanti e i moderni increduli menano gran rumore, è il dominio temporale dei Papi». E riassume i loro detti «in questo, che i Papi non dovrebbero aver dominio temporale: 1° perché i Papi dei primi tempi non avevano dominio temporale; 2° perché questo dominio disdice al Papa come Capo della Religione; 3° È contrario alla Sacra Scrittura».

Come si vede, l’aspetto politico della questione, allora cocente a causa della rivoluzione e delle idee mazziniane, esula del tutto. Siamo nell’àmbito delle sole considerazioni religiose.

Chi legge il Cap. X, Epoca Terza, della Storia d’Italia sente che deve avere una qualche affinità colla trattazione di cinque anni innanzi. L’affinità vi è certamente, per. la materia stessa; ma non la dipendenza: il capitolo della Storia non è una replica di quella trattazione, ed è di molto superiore in merito.

Ciò deriva dal fatto che l’A. dà all’altro lavoro un carattere più popolare e prevalentemente religioso che non possa essere quello d’un capitolo di Storia; e del resto Egli non aveva allora potuto giovarsi delle fonti che noi abbiamo citate per il detto capitolo.

Quei tre articoli furono dettati nel 1850: infatti ad un punto ricorda: «Noi l’anno scorso abbiam veduto le quattro potenze: Spagna, Francia, Austria e Napoli, che rappresentano l’Europa cattolica, armarsi per andar a cacciare gl’ingiusti oppressori del Papato, etc.. Ora la Civiltà Cattolica cominciò ad uscire nell’aprile 1850, e il primo articolo in materia (Il principato civile dei Papi, tutela della dignità personale) è nel fascicolo di fine giugno (Anno I, fasc. VI, pag. 637 e seg.), e il volume del Moroni citato a nota 89 uscì nel 1854. Il che si risente specialmente nella parte storica, che nell’opuscolo, pur seguendo lo stesso concetto. è piuttosto debole, mentre nella Storia si regge su dati più copiosi e più solidi. .

Invece le restanti argomentazioni, del fondamento biblico, del potere derivato da Dio, principalmente dell’incompatibilità d’una sudditanza ad un Re con l’esercizio del potere spirituale, hanno un riflesso più evidente, rias­sumendosi in tre capoversi della Storia cose esposte in quell’altro scritto più largamente.

La conclusione dei tre articoli in quattro punti è, come voleva l’indole delle due trattazioni, del tutto diversa dai tre riflessi che chiudono il capitolo della Storia d’Italia. Ma del contenuto dei tre articoli qualche altro spunto è poi passato nella Storia: l’incremento dato dai Papi alle arti e alle scienze, e la spiegazione della chiamata dei forestieri (cfr. Cap. XII, Ep. Terza).

Dire che dall’uno all’altro lavoro, in cinque anni, Don Bosco abbia acquistato qualche cosa, non è irriverenza, ma constatazione d’un fatto che lo onora molto (come affermai fin dall’Introduzione al vol. I), e che conduce al suo capolavoro della Storia d’Italia.

EPOCA QUARTA


Yüklə 1,47 Mb.

Dostları ilə paylaş:
1   ...   32   33   34   35   36   37   38   39   40




Verilənlər bazası müəlliflik hüququ ilə müdafiə olunur ©genderi.org 2024
rəhbərliyinə müraciət

    Ana səhifə