S giovanni bosco


XXVII. L’Italia invasa dai Francesi



Yüklə 1,47 Mb.
səhifə28/40
tarix11.07.2018
ölçüsü1,47 Mb.
#55043
1   ...   24   25   26   27   28   29   30   31   ...   40

XXVII.
L’Italia invasa dai Francesi (149).

(Dall’anno 1789 all’anno 1799).


Io sono per raccontarvi, miei cari amici, un fatto straordinario, che mise a soqquadro l’Europa e fece provare alla nostra Italia grande parte degli orrori e delle calamità che già patito aveva ai tempi dei Goti, dei Longobardi e dei Normanni. Ripigliamo le cose alquanto indietro.

Nei vari Stati d’Italia la forma di governo, che era ai tempi di Carlo V, salvo poche eccezioni, durò sino al 1796.

Il Piemonte apparteneva alla Casa di Savoia, e sul principio di questo secolo aveva preso il titolo di regno di Sardegna. La Lombardia obbediva all’imperatore di Germania. Le due repubbliche di Genova e di Venezia continuavano a sussistere; ma l’ozio e la mollezza avevano assai guastato i costumi dei loro cittadini; che anzi, dopo la scoperta dell’America esse avevano cessato di essere le padrone del commercio e le regine dei mari, come erano state per molti secoli. Nel regno delle Due Sicilie e nel ducato di Parma regnavano prìncipi discendenti dai Borboni di Spagna. Lucca si governava a repubblica. In Toscana era un granduca, fratello dell’imperatore d’Austria. Roma e la Romagna formavano lo Stato della Chiesa. Nel mezzo dello Stato Pontificio esisteva la piccola repubblica di S. Marino.

Dovete altresì ritenere, o miei cari, come nello spazio di quasi cinquant’anni fu una compiuta pace nell’Italia e quasi in tutto il rimanente d’Europa. Soltanto contro alla Chiesa furono eccitate alcune turbolenze. Parecchi prìncipi amanti di novità volevano immischiarsi troppo nelle cose di religione. I Papi si opposero: di che nacquero gravi dissensioni e gravi mali. Finalmente il Pontefice Clemente XIV, della famiglia Ganganelli, riuscì colla sua prudenza e colle belle maniere a riamicarsi quei prìncipi cristiani, che si erano dimostrati ostili alla Santa Sede. Durante il suo breve Pontificato egli abbellì Roma, compì un museo, che da lui fu detto Clementino, e molto promosse le belle arti. Fece poi ancora altre cose assai utili ai suoi popoli. Merita di essere in modo particolare ricordato il suo distaccamento dai beni temporali. Essendo la sua famiglia di mediocre condizione, non la arricchì menomamente, e pel contrario spendeva ogni suo avere in opere di pubblica beneficenza e in soccorso dei poverelli. Egli morì dopo soli cinque anni di pontificato (1774).

Ma se la lunga pace diè campo a molti valenti ingegni ad arricchire le scienze e le arti di molte ed utili cognizioni, lasciò anche tutto l’agio alle società segrete di effettuare i loro intendimenti. Queste società segrete sono generalmente conosciute sotto il nome di Carbonari, Franchi-Muratori (Francs-maçons), di Giacobini e Illuminati, e presero queste varie denominazioni nei vari tempi, ma tutte concordano nel fine. Mirano cioè a rovesciare la società presente, della quale sono malcontenti, perché non vi trovano un posto conveniente alla loro ambizione, né la libertà per secondare le passioni. Per rovinare la società, essi lavorano a schiantare la religione ed ogni idea morale dal cuor degli uomini e abbattere ogni autorità religiosa e civile, cioè il Pontificato Romano ed i troni. Questo fine ultimo è un segreto riservato ai soli caporioni; gli altri sono distinti in diversi gradi, e non conoscono dell’iniqua trama se non quel poco che loro è rivelato; ma tutti si obbligano con giuramento ad eseguire ciecamente quanto loro è comandato dai capi, fosse anche di dare una pugnalata all’amico; tutti del pari si obbligano col loro danaro ad accrescere l’erario della società. Le radunanze sono varie, secondo i vari gradi, Affinché a tutti non sia ugualmente noto il mistero d’iniquità (*).
[(*) I giovani che vengono adescati dai propagatori delle società segrete a dare il proprio nome alle tenebrose loro congreghe, leggano la seconda delle otto lettere politiche dirette nel 1847 da Cesare Balbo al signor D., e vedranno come un uomo onesto non possa essere membro di alcuna società segreta senza rinunziare ad ogni principio di moralità, di onestà e di religione (a).]
Molti si lasciarono con facilità indurre a dare il loro nome a cosiffatte società, perché nei primi gradi non è rivelata la malvagità del fine, e si parla solo di fratellanza, di filantropia e simili. Gli effetti di queste società scoppiarono primieramente in Francia. In quel regno a Luigi XIV era succeduto un suo nipote, che prese il nome di Luigi XV (anno 1715). Questo re aveva dato di sé belle speranze; ma attorniato da cattivi cortigiani, si era in appresso ingolfato nei piaceri, trascurando gli affari dello Stato e ponendo in non cale le miserie del popolo. A lui, dopo un regno assai lungo, succedette pure un suo nipote, che fu detto Luigi XVI (anno 1774). Quando salì sul trono questo re, gl’impieghi e i beni dello Stato erano mal compartiti, gravi imposte pesavano sul popolo, in alcuni luoghi la giustizia era male amministrata, e a tutto ciò si aggiungeva la carestia.

Luigi XVI tentò di porre argine ai mali della Francia, ma per opera delle sopradette società segrete i suoi sforzi furono vani. Queste andavano esagerando i mali, specialmente per mezzo dei pubblici fogli, eccitavano i popoli alla rivolta, e tanto fecero, che riuscirono a far iscoppiare nel 1789 una delle più terribili rivoluzioni.

Si commisero allora barbarie inaudite. Si cominciò dal perseguitare la religione ne’ suoi sacerdoti, fino a fame macello di duecento alla volta a colpi di cannone; la nobiltà fu abbattuta e obbligata a rinunziare ai suoi feudi e titoli; il re fu deposto dal trono e condannato a lasciare la testa sul patibolo, al quale poco stante venne eziandio condotta la regina. La classe media, ossia la borghesia, fu quella che cominciò la rivoluzione, servendosi della plebe, e la plebe alla sua volta la volle proseguire e diventare sovrana, come infatti diventò. Ed allora trasse sul patibolo a centinaia quegli stessi borghesi, che avevano condannato a morte i preti ed i nobili. Per questa rivoluzione ciò che stava sopra la società andò sotto, e ciò che stava al disotto venne sopra, e così regnò l’anarchia della plebaglia.

Le società segrete, che avevano fatta la rivoluzione in Francia, eransi già inoltrate in Italia, dove si spargevano le seducenti idee di libertà, di eguaglianza e di riforme. Un esercito francese aveva già valicate le Alpi colle mire d’impadronirsi dell’Italia per mezzo delle armi e degli affigliati a codeste società. Si oppose gagliardamente il re di Sardegna, Vittorio Amedeo III; sicché le cose andarono a rilento, finché il Direttorio, vale a dire l’assemblea che reggeva la Francia, pose alla testa dell’esercito d’Italia Napoleone Bonaparte, che è quel gran generale, di cui avrete più volte udito a parlare da coloro stessi che gli furono compagni d’armi (*).


[(*) Si ricordi che questa storia fu scritta nel 1855-56 (*).]
Questo uomo era nato in Aiaccio, principale città dell’isola di Corsica (anno 1769), da famiglia originaria della Toscana. Messo da fanciullo a studio in un collegio militare della Francia, manifestò singolare inclinazione per gli studi e per gli esercizi militari. Compiuta la carriera letteraria, entrò nell’esercito francese col semplice grado di tenente. Napoleone, miei cari, era coraggioso, accorto ed attento ad ogni suo dovere; perciò passando in breve di grado in grado, pervenne ai primi posti della milizia, e meritò che a lui fosse affidata l’impresa della conquista d’Italia.

La notizia dell’avvicinarsi de’ Francesi guidati da Napoleone sbalordì i sovrani d’Italia, i quali collegatisi insieme, dimandarono aiuto agli Inglesi, agli Austriaci ed ai Russi. Ma queste Potenze erano troppo distanti e i loro soccorsi ritardarono assai. Oltre a ciò le repubbliche di Genova e di Venezia e il granduca di Toscana, rifiutando si di entrare in lega cogli alleati, fecero ritornare a vuoto gli sforzi dei difensori d’Italia.

Con maravigliosa prestezza Napoleone riuscì a penetrare nel nostro paese (aprile 1796). I Piemontesi resistettero per qualche tempo; ma poi sentendosi troppo deboli di forze da poter più lungamente far fronte a sì potente nemico, dovettero venire a patti col medesimo. Quindi in Cherasco, città distante 25 miglia da Torino, si fece un armistizio tra il Bonaparte ed i ministri del nostro Re. A questo armistizio tenne dietro un trattato di pace con chiuso in Parigi. In virtù di questo trattato la Savoia e Nizza passarono alla Francia: furono occupate dai soldati Francesi le fortezze di Ceva, Cuneo, Tortona ed Alessandria; furono distrutte quelle di Exilles, della Brunetta, di Susa; insomma si può dire che fu tolto al nostro sovrano quanto avrebbe potuto servirgli di difesa.

Così noi Piemontesi fummo i primi a portare il giogo straniero. È vero che Napoleone non era uno di que’ perfidi, che volessero la distruzione del popolo e della religione; ma per appagare i suoi soldati avidi di rapina e di vendetta, ed anche per incutere terrore nei popoli soggiogati, non volle o non poté impedire che i ladronecci, il sangue, la strage, la profanazione delle chiese e mille sacrilegi accompagnassero quasi sempre le sue conquiste.

Napoleone si dava molta sollecitudine perché le idee rivoluzionarie più ampiamente si spandessero, ed i popoli si sollevassero contro ai loro sovrani. Quindi il Piemonte, perduto il suo re, fu ridotto a repubblica detta Subalpina. Milano fu la capitale della repubblica denominata Cisalpina; e così l’esercito francese avanzandosi era giunto presso Roma. Da prima mandò dire al Papa che si sarebbe contentato delle legazioni di Ferrara e di Bologna, e non avrebbe recato molestia al resto de’ suoi Stati, purché gli somministrasse una grossa somma di danaro. Il Papa Pio VI sospettava della malafede; tuttavia non volendo risparmiare cosa alcuna che potesse contribuire a rimuovere almeno da una parte de’ suoi sudditi que’ flagelli e salvare la città di Roma dall’invasione francese, in un trattato conchiuso (anno 1797) a Tolentino, città della Marca d’Ancona, acconsentì alle domande di Napoleone e pagò la somma richiesta; e siccome non trovava modo di radunar tanto danaro (ché trattavasi di trenta milioni, due terzi in contanti, un terzo in diamanti e pietre preziose), fu costretto a vendere molti oggetti sacri. Ma quando i Francesi, comandati dal generale Berthier, ebbero il chiesto danaro, entrarono in Roma, pubblicarono che il Papa era decaduto dal potere temporale, allontanarono le guardie romane, e in luogo di quelle vi misero soldati francesi.

In quel momento, miei cari, il generale francese volle all’oppressione aggiungere l’insulto, divisando di vestire il Papa da repubblicano con una nappa a tre colori. Ma il magnanimo Pio VI intrepidamente rispose: «Io non conosco altra divisa per me, se non quella di cui la Chiesa mi onorò. Voi, o generale, in questo momento avete ogni potere sul mio corpo, ma l’anima mia è superiore ad ogni attentato. Voi potete ardere e distruggere le abitazioni dei vivi e le tombe de’ morti, ma la religione è eterna. Essa esisterà dopo di voi, come esisteva prima di voi, e il suo regno durerà fino alla fine de’ secoli».

Mentre ei teneva così nobile discorso, altri soldati misero a sacco il palazzo del Pontefice. Entrarono ne’ più venerandi gabinetti, e molti volumi della preziosa biblioteca del Vaticano furono vilmente venduti; spezzate le guardarobe e gli armari; insomma non vi fu cosa sacra, la quale non sia stata manomessa per cercar danaro. E poiché non trovavano l’oro e le gioie che si aspettavano, un altro generale calvinista, di nome Haller, presentatosi al Papa, disse, - La repubblica Romana vi comanda di consegnarmi i vostri tesori; datemeli dunque e subito. - Io non ho tesori al mondo. - Voi avete però due belli anelli in dito, datemeli immediatamente. - Il Papa glie ne diede uno dicendo: Non posso darvi quest’altro, perché deve passare ai miei successori. - Era questo l’anello detto pescatorio, che serve di sigillo a tutti i Papi.

Sebbene nulla temesse per sé, tuttavia i gravi mali che vedeva sovrastare alla religione, la sua età avanzata, molti incomodi corporali facevano sì, che il cadente Pontefice mostrasse vivo desiderio e chiedesse quasi per grazia di potersene morire in Roma. A cui replicava l’inesorabile Haller: Io non ascolto né ragioni, né pretesti; se voi non partirete di buona volontà, vi faremo partire per forza.

Di notte oscura, per cattivo tempo, il Papa venne da Roma condotto in un convento di Certosini a Firenze. Ritenete a mente, miei cari amici, che quando il Papa è costretto di allontanarsi dalla sua sede, sovrastanno gravi mali a tutti i popoli cristiani, specialmente all’Italia, centro della cristianità.

Durante la dimora del Papa in quel convento fu visitato da parecchi sovrani, e, fra gli altri, dal re di Sardegna Carlo Emanuele IV, succeduto al padre poco appresso alla infausta pace di Cherasco. Questo principe sfortunato, dopo di aver opposta forte resistenza ai repubblicani, era stato costretto a rinunciare al trono ed abbandonare gli Stati di terraferma in mano dei nemici, per recarsi in Sardegna. Giunto in Toscana, si scontrò con Pio VI. Come lo videro il re e la regina (la venerabile Clotilde), si gettarono ai piedi suoi, sebbene egli si sforzasse di rialzarli. - In questo momento fortunato, disse il re, io dimentico tutte le mie disgrazie, io più non mi lamento del trono che perdei; tutto ritrovo ai vostri piedi. - Caro principe, risposegli il Papa, tutto è vanità, eccetto amar Dio e servire a lui. Alziamo gli occhi al cielo: là ci aspettano troni e corone, che gli uomini non ci possono più rapire. - Carlo Emanuele continuò la sua navigazione per la Sardegna, ed il venerando Pontefice con penosissimo viaggio fu condotto prigioniero in Valenza, città di Francia. Quando vi giunse, il suo corpo era già morto per metà, e dopo un mese di dolorosa prigionia, cessò di vivere il 29 agosto 1799.

Intanto due formidabili eserciti tedeschi erano venuti nel 1796 e 97 in soccorso degli Italiani e costeggiavano le rive dell’Adige, fiume il quale passa per mezzo a Verona e va a scaricarsi nel mare vicino a Venezia. Napoleone stava in quel tempo tutto occupato intorno alla fortezza di Mantova, e non sentendosi abbastanza forte per continuare l’assedio e far fronte ai due eserciti, abbandona l’assedio di quella fortezza, vola contro il primo esercito, che scendeva dalle Alpi, e lo mette in fuga; poi corre contro all’altro e lo sbaraglia; quindi ritorna all’assedio di Mantova, che costringe ad arrendersi. In quel tempo stesso in Verona, città già occupata dagli eserciti di Napoleone, era avvenuto qualche subbuglio contro ai Francesi. Inoltre un vascello francese, avendo tentato di introdursi nelle lagune di Venezia, era stato assalito dai Veneziani, che le difendevano. Napoleone cogliendo il pretesto da questi due fatti, assalì quella repubblica, s’impadronì di Venezia, abolì l’antico governo e la unì alla nuova repubblica; lo stesso fece di Genova. Così quelle due repubbliche dopo tanti secoli di gloriosa esistenza, caddero come uomo sfinito dagli anni e dalle fatiche, senza speranza di riaversi. Allora tutta l’Italia, eccettuata Napoli, divenne francese. Queste cose avvenivano nel 1797.

In quest’anno si conchiuse un trattato di pace tra la Francia e l’Austria, che fu detto trattato di Campoformio, perché fatto in un paese presso Udine, che ha questo nome. In virtù di questo trattato il fiume Reno rimase limite della Francia, la quale acquistò inoltre le isole Ionie. Pel medesimo trattato la repubblica Cisalpina si estese sino al fiume Adige.



XXVIII.
Napoleone Imperatore (150).

(Dall’anno 1800 all’anno 1810).


Nel leggere le vittorie dei Francesi, non voglio che vi induciate a credere che non abbiano essi incontrato eziandio molti disastri prodotti dalla resistenza degl’Italiani. Ciò avvenne specialmente da che Napoleone, reputando abbastanza consolidato il dominio francese in Italia, volle recarsi in Egitto per conquistare quei lontanissimi paesi. I Russi e gli Austriaci con altri sovrani si collegarono insieme per opporsi al temuto conquistatore, che minacciava d’impadronirsi di tutta Europa. I Francesi fecero prodezze di valore; ma il buon esito delle battaglie generalmente dipende dal valore e dal senno di un buon capitano; ed i Francesi non avendo Napoleone alla loro testa, furono più volte sconfitti, cacciati interamente dalla Penisola ed inseguiti sino al di là de’ confini francesi..

Quando Napoleone giunse dall’Egitto a Parigi, e seppe la grande sconfitta toccata da’ suoi, fu immerso in amaro cordoglio. Egli tosto radunò soldati quanti più poté, e colla massima celerità volò in Italia passando pel Gran S. Bernardo (1800). Nel passare quest’alto monte quell’esercito ebbe a superare gravi difficoltà, specialmente la cavalleria e l’artiglieria, sia pei ghiacci che lo ricoprono, sia per le strade fiancheggiate da molti precipizi. Giunto l’esercito al forte di Bard, non osava avanzarsi, perché non si potevano schivare le bombe de’ nemici. Allora Napoleone fa passar la fanteria per sentieri dirupati, e Affinché i nemici non udissero il calpestio dei cavalli e il rumore delle ruote, fece spargere letame lungo la via, e colle ruote de’ carri fasciate, nottetempo passò sotto al forte.

La notizia dell’avvicinarsi di Napoleone da prima atterrì gli alleati; ma quando furono fatti certi che le loro forze erano di gran lunga superiori a quelle dei repubblicani, decisero di combatterle a qualunque costo. A questo fine radunarono il nerbo dell’esercito alleato nelle pianure di Marengo, piccolo paese del Piemonte, vicino alla città d’Alessandria. Napoleone andò arditamente ad affrontare il nemico, deciso di venire ad una campale battaglia.

Quel fatto d’arme dovea decidere della sorte di Napoleone, dell’Italia e forse di tutta l’Europa. Perciò si combatté da ambe le parti con coraggio e con furore. Sulle prime prevalsero gli Austriaci, e già Napoleone meditava la ritirata. Ma la fortuna sorrise a questo guerriero. La venuta di un suo generale di nome Dessaix, gli procacciò la vittoria. I campi di Marengo rimasero coperti di sangue e di cadaveri: diciannove mila Tedeschi, otto mila Francesi restarono sul campo (anno 1800).

In conseguenza di questa battaglia si ritirarono i Tedeschi al di là del fiume Mincio, e i Francesi ricuperarono il Piemonte, il Genovesato e la Lombardia.

Dopo questo fatto d’arme niuno poté più arrestare i progressi di Napoleone. La vittoria accompagnava dovunque i suoi passi. Cadde allora Napoli sotto al dominio francese, e così tutta l’Italia era soggiogata; il Belgio, l’Olanda ed una parte dell’Egitto erano stati occupati dalle armi di Napoleone.

Ma egli stesso, che aveva servito alla repubblica francese, odiava il governo repubblicano e mirava a farsi padrone assoluto della Francia e, dei regni conquistati. Si era già fatto creare console con altri due colleghi, poi solo console a vita, prima ancora di venire la seconda volta in Italia. In quella carica egli introdusse parecchie riforme. Abolì le leggi che nel tempo della rivoluzione erano state stabilite contro ai nobili e contro ai preti: volle che la religione dello Stato fosse la cattolica, e affidò l’amministrazione dei dipartimenti a prefetti e viceprefetti; favorì l’istruzione pubblica e fece costruire parecchie strade per facilitare il commercio. In Italia poi aprì un instituto nazionale per promuovere le scienze, creandone membri i più celebri personaggi di quel tempo.

Dopo la vittoria di Marengo mosse di nuovo guerra all’imperatore d’Austria, cui tolse alcune provincie della Germania. Se non che, mirando al dominio universale, che Carlomagno aveva esercitato, si volle far eleggere imperatore ed incoronare solennemente dal Sommo Pontefice.

Intanto era stato dato un successore a Pio VI, morto prigioniero a Valenza. Quando finì di vivere questo Pontefice, i Francesi occupavano tutta l’Italia. I cardinali con molti vescovi erano in prigione o qua e là dispersi, talchè sembrava impossibile che i membri del Sacro Collegio, che sono i cardinali, si potessero radunare a fine di eleggere un nuovo Papa. E fu veramente un tratto della Provvidenza divina, che gli Austriaci venissero a scacciare i repubblicani da Roma, si trasportasse il teatro della guerra in Piemonte e così i cardinali potessero radunarsi a Venezia, per eleggere Papa un cardinale di nome Chiaramonti, che prese il nome di Pio VII.

Compiuta la elezione, il Papa si portò a Roma, e venne solennemente ristabilito sul trono pontificio. In simile guisa; quando Napoleone chiese al Papa di recarsi a Parigi per incoronarlo imperatore, Pio VII era tranquillo possessore di Roma. Pio VII esitò molto ad accondiscendere alle richieste del monarca francese, perché sapeva che esso voleva solamente servirsi della religione per le sue mire politiche. Tuttavia nel desiderio di rendersi amico un uomo formidabile a tutto il mondo, impedire gravi mali che sovrastavano alla Chiesa in caso di rifiuto, ed anche per far conoscere che egli non voleva rifiutare i grandi favori che Napoleone prometteva alla Chiesa, si determinò finalmente di appagarlo.

Pertanto Pio VII si parte da Roma, attraversa una gran parte della Francia e fra universali acclamazioni entra in Parigi, e mette la corona imperiale sul capo di Napoleone nel 2 dicembre 1804.

L’anno seguente Napoleone vinse l’esercito austriaco presso ad Ulma, città dell’Alemagna; poco dopo nel giorno anniversario della sua incoronazione, venuto a battaglia presso ad Austerlitz, città della Boemia, riportò un’altra insigne vittoria contro ai due imperatori d’Austria e di Russia. A questa battaglia tenne dietro un trattato con chiuso a Presburgo, città dell’Ungheria. In forza di questo trattato Napoleone ebbe tutto il Veneto e la Dalmazia, allora provincia austriaca.

Ma in mezzo a tante vittorie una potenza era specialmente presa di mira da Napoleone. Questa era l’Inghilterra. Vedendo che sarebbe assai difficile il soggiogarla colla forza delle armi, si rivolse ad altro mezzo, a quello cioè di abbatterne il commercio, unico fondamento di potenza per quell’isola. A questo fine egli proibì a tutte le potenze amiche di Europa di lasciare entrare nei loro regni mercanzie provenienti dall’Inghilterra; al che fu dato il nome di sistema continentale.

A norma di questo sistema egli volle eziandio costringere il re di Portogallo a chiudere i suoi porti alle mercanzie inglesi, e di più gli ordinò che arrestasse tutti i sudditi della Gran Brettagna, i quali si trovassero nei suoi Stati, confiscandone i beni. Quel re non avendo voluto arrendersi, Napoleone propose di invadere il Portogallo con eserciti Francesi e Spagnuoli, e già fin d’allora divise quel regno in tre parti.

Volgeva in pensiero il novello imperatore di acquistarsi titoli e gloria pari a quelli di Carlomagno; e poiché quel re fu incoronato re d’Italia, così l’anno seguente alla prima sua incoronazione imperiale egli si recò in Italia e fecesi incoronare a Milano colla Corona di ferro, con cui solevano essere incoronati gli antichi re Longobardi. Raccontasi che quando Napoleone ebbe posta la corona sopra il capo esclamasse: Dio me l’ha data, guai a chi la tocca! (anno 1805).

Napoleone come ebbe conseguito quanto desiderava dal Papa, più non badò a mantenere le promesse fatte; anzi divisò di impadronirsi degli Stati della Santa Sede. Ma per avere un qualche specioso pretesto si fece a dimandare al Papa parecchie cose, che, senza tradire i propri doveri, non poteva concedere. Fra le altre dimandava al Papa che facesse lega offensiva e difensiva con lui, che un terzo dei cardinali fossero francesi, ed infine che il Papa cedesse il suo dominio temporale. Le quali cose il Pontefice rifiutò costantemente di concedere. Quindi Napoleone cominciò coll’imporre alla Santa Sede un tributo di parecchi milioni, per pagare i quali il Papa fu costretto a vendere molti oggetti destinati al divin culto; poscia comandò ad uno de’ suoi generali di impadronirsi degli Stati Pontifici e della medesima città di Roma. Così nel 1809, mentendo alle fatte promesse e dando un tristissimo esempio di nera ingratitudine verso il Papa, dichiarava lo Stato Romano annesso alla Francia, e Roma la seconda città dell’impero. Il Papa fu condotto in prigione a Fontainebleau, che è un castello non molto distante da Parigi.

Questo fatto, miei cari, cagionò grave scandalo in tutta la cristianità, e servì molto a far conoscere quale fosse l’animo di Napoleone. Perciocché, se si può appellare ladroneccio lo spogliare un re dal suo Stato, che diremo di Napoleone, sovrano cattolico, il quale osò togliere dal trono, mandare in carcere il Sommo Pontefice, capo della cattolica religione, da cui aveva ricevuti tanti servigi ed a cui era debitore della sua consacrazione imperiale? Tanto più che Roma in confronto dei tanti regni da lui conquistati era poca cosa. Ma l’ambizione conduceva Napoleone a tali eccessi, e questa medesima ambizione servì molto ad alienargli i buoni, sicché fin d’allora si poté prevedere che la sua potenza non sarebbe stata durevole.


Yüklə 1,47 Mb.

Dostları ilə paylaş:
1   ...   24   25   26   27   28   29   30   31   ...   40




Verilənlər bazası müəlliflik hüququ ilə müdafiə olunur ©genderi.org 2024
rəhbərliyinə müraciət

    Ana səhifə